L'essenza della democrazia da un punto di vista cristiano
Leggendo l’articolo di André Bellon sulla democrazia in “Le Monde Diplomatique” del giugno 2009, si può utilmente riflettere sullo stato della democrazia contemporanea. Ormai, scrive l’autore, è invalsa l’abitudine di pensare alla democrazia come ad un metodo di governo e di partecipazione politica volto essenzialmente a procurare consenso e a garantire la pace sociale. Ci si dimentica che in realtà la democrazia nacque storicamente non come ricerca di consenso ma come metodo “per risolvere i dissensi”, e quindi le stesse contraddizioni che attraversano la società, sia pure in forma pacifica. Ma se accade, e nelle odierne società globalizzate occidentali accade piuttosto spesso, che le contraddizioni e i conflitti inerenti il corpo sociale “non possono esprimersi nel quadro istituzionale e neppure nelle strade, dov’è lo spazio di espressione necessario alla vita democratica?”. Se la democrazia cessa di essere innanzitutto “uno strumento di liberazione e di lotta”, secondo la definizione di Jean Jaurès, essa viene meno al suo compito primario che è quello di fare in modo che la complessiva condizione di vita dei cittadini, e soprattutto dei cittadini più disagiati, che non sono semplici individui, sia sostanzialmente e non solo formalmente suscettibile di reale e qualificato miglioramento.
Per questo motivo una società può dirsi democratica non solo se è basata sul suffragio universale ma su procedure che garantiscano la non aggirabilità o non eludibilità di tale principio, non solo se è basata su un libero parlamento liberamente eletto ma su regole e meccanismi che rendano praticamente impossibile che un libero parlamento sia di fatto composto in misura rilevante da avventurieri e da coscienze moralmente labili e incapaci di scorgere e perseguire sul serio il bene comune, e che facciano sí al tempo stesso che il voto dei cittadini sia libero non già nell’ambito di talune opzioni ristrette e limitate, ingiuntivamente fissate per via parlamentare e/o governativa, ma nel quadro di possibilità non parziali e non ingannevoli di voto e di partecipazione politica. Se invece i governi che volta a volta si avvicendano alla guida di un paese hanno il loro interesse prevalente nell’esercizio e nel mantenimento del potere, limitandosi a concedere ogni volta solo ciò che ritengano necessario a questo scopo, essi potranno solo pretendere di governare nel nome di una democrazia che in realtà continueranno ad usare come strumento di potere fine a se stesso e non come strumento di servizio finalizzato a soddisfare domande oggettive di eguaglianza e di giustizia.
Se non c’è un’opposizione reale, forte, responsabile e dinamica che rappresenti, con ferma determinazione e risolutezza, e in assoluto spirito di verità, le esigenze più sentite della o delle parti sociali più disagiate e sofferenti, “il principio democratico perde il suo senso profondo. Lungi quindi dal pensare che democrazia e lotte sociali possano essere antinomiche, occorre dire chiaramente che la lotta per la democrazia è la base dello scontro sociale”. In particolare, i cristiani non possono lasciarsi ingannare da concezioni o interpretazioni farsesche della democrazia. E, per evitare di rimanerne vittime, non devono fare altro che guardarsi attorno, osservare attentamente le condizioni reali di vita dei propri simili oltre che di se stessi, e chiedere energicamente senza timore e senza demagogia, senza viltà ma anche senza astratti e sterili rivendicazionismi di natura indiscriminatamente egalitaristica tutto ciò che serva ad assicurare condizioni non semplicemente più dignitose ma effettivamente dignitose di vita per coloro che ingiustamente ne siano ancora piuttosto lontani.
Il cristiano non deve evitare i conflitti, li deve capire e li deve risolvere con la preghiera e con l’impegno quotidiano; il cristiano non deve essere per forza un “moderato” se il moderatismo politico funge in realtà da oppio della democrazia ed è un modo accattivante di conservare privilegi e vantaggi illeciti di individui e di gruppi, o agisce come trappola ricattatoria tesa principalmente a coloro che hanno ben chiari le intenzioni mistificatrici e i trucchi che sottendono determinate e diffuse forme dell’agire democratico. Il cristiano non può fingere di non vedere la realtà dei fatti e anzi deve sforzarsi di capire e di testimoniare sempre e comunque, anche o soprattutto contro ogni possibile interesse personale, la verità delle cose. Né egli può rettamente giudicare solo in base ad etichette politiche e a schieramenti politici specialmente oggi soggiacenti ad un’imperante omologazione e ad un diffuso malcostume: egli, per esempio, deve opporsi coraggiosamente a quella che, benché fallace, è ormai diventata una convinzione comune ad ogni schieramento governativo e spesso anche non governativo: che in democrazia tutto si possa fare ma pur sempre in un rapporto di compatibilità con quelle che sarebbero le immutabili leggi del mercato e dell’economia.
Il cristiano onesto che ha cercato sempre di capire e di giudicare senza farsi condizionare da preconcetti schemi ideologici e dal timore di essere tacciato di ideologizzazione religiosa non può e non deve concordare sul fatto che nel mondo economico e sociale ci sarebbero leggi e strutture immutabili o immodificabili. Certo non si può non tener conto delle dinamiche economiche storicamente in corso ma avendo coscienza del fatto che l’economia va dove la portano gli uomini, che l’economia è quel che gli uomini nella loro libera scelta vogliono che sia, e, a seconda che a prevalere siano gli egoismi oppure comportamenti più generosi e responsabili, essa appare più o meno giusta, più o meno vicina a certi princípi di equità e più o meno proficua non solo sul piano produttivo ma anche su quello della giustizia sociale (non è vero che le due cose non possano procedere congiuntamente, perché anzi la vera produttività è quella che favorisce la giustizia sociale e la vera giustizia sociale è quella che favorisce lo sviluppo della produttività).
Se, al contrario, la democrazia favorisce unilateralmente la produttività a scapito della giustizia sociale o un’istanza mistificata e strumentale di giustizia sociale a scapito della produttività e della ricchezza economica oppure non favorisce né l’una né l’altra al di là di determinate dichiarazioni di principio, vuol dire che bisogna lavorare ancora molto non solo politicamente ma anche sul piano culturale, etico e naturalmente religioso, per fare in modo che nella coscienza civile della gente comune si faccia strada l’idea che, in democrazia, il buon governo è un governo che pensa innanzitutto a quelli che non hanno niente o hanno poco, pur avendo essi offerto o potendo ancora offrire abbastanza o molto alla crescita e al progresso economici e sociali, ed è in pari tempo un governo che non ritiene inessenziale una rigorosa moralizzazione della vita pubblica e civile.
In questa visione della democrazia (che, ricordiamolo, nacque in Francia nel 1789 da una rivoluzione, per cui, se dovesse mai accadere che essa si converta nella sua negazione di fatto, potrebbe sempre succedere la stessa cosa per ripristinarla) c’è forse del marxismo? Il cristiano non discrimina niente e nessuno aprioristicamente: se il marxismo significa ateismo, il cristiano certo non può che combatterlo; se il marxismo significa utilitarismo di massa o peggio dittatura, il cristiano non può che prenderne le distanze; se il marxismo significa metodo di studio e di analisi dei processi storico-sociali e si pone come contributo all’emancipazione dell’umanità, il cristiano può e deve essere interessato perché egli sa che le cose buone ispirate dallo Spirito Santo possono venire da qualunque parte e persino dagli uomini apparentemente più lontani da Dio.
D’altra parte anche i più fieri avversari del marxismo, per riprendere un’osservazione di Claudio Magris, oggi non possono fare a meno di chiedersi «se e come - anche dinanzi a enormi sacche di miseria sulla Terra, a crescenti disuguaglianze e allo spettro di un futuro affollato di masse disoccupate - un capitalismo non corretto dal suo avversario possa risolvere e gestire le contraddizioni del mondo» (Caro vecchio Marx benvenuto nel 2000, Corriere della Sera, 20 giugno 1997).