Fate quello che vi dirà

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Il racconto delle nozze di Cana di Galilea (Gv 2, 1-12) è stato giustamente definito una “foresta di simboli”. Quel che qui si vuol tentare di focalizzare, però, è  solo il rapporto tra Maria e Gesù. Maria, durante la festa di nozze, si accorge che non c’è più vino, si rivolge al Figlio e gli dice: “Non hanno più vino”. Gesù risponde: “ti emoi kai soi, gunai?”, cioè in senso letterale “che (cosa) a me e a te, donna?”, ovvero “a me e a te che cosa importa, donna?”, anche se, dal momento che questa espressione ricorre frequentemente nell’Antico e nel Nuovo Testamento con un significato piuttosto negativo, si tende ad accreditare un’altra traduzione: “Che ho da fare con te, donna?”, ovvero “che cosa ci accomuna?” e in definitiva “che cosa vuoi da me, donna?”. E precisa Gesù: “Non è ancora giunta la mia ora”, cioè l’ora della morte e della resurrezione, la grande ora della gloria del Padre e del Figlio. Senonché Maria, per niente turbata, si rivolge ai servi e dice: “Fate quello che vi dirà”. Poco dopo, ordinando ai servi di riempire “d’acqua le giare”, quindi preparandosi a dar luogo ad un fenomeno prodigioso e ad esaudire la garbata richiesta della madre, è Gesù stesso a fugare ogni dubbio circa il suo affiatamento spirituale con lei. Questo, e non altro, è ciò che conta.

Al di là del fatto storico troviamo il significato simbolico-teologico: le nozze tra il popolo d’Israele e Dio non si possono celebrare senza vino, senza amore, senza allegria, senza una reale percezione della giustizia, della sapienza e della carità divine; non l’esperto rappresentante del culto giudaico (il maestro di tavola), né altri, ma solo Maria, che è la creatura prediletta da Dio, la donna  per eccellenza predestinata ab aeterno da Dio al ruolo di perfetta e obbediente collaboratrice (ecco in che senso essenzialmente viene chiamata “donna” da Gesù), l’Israele rimasto fedele a Dio (e per questo non dice “non abbiamo più vino” ma “non hanno più vino”), si accorge che l’antica alleanza, e quindi la legge e l’ordinamento mosaici, non possono promuovere una interiore purificazione spirituale, essendosi ormai ridotti a pura e semplice prassi ritualistica ed istituzionale, a mera religiosità moralistica, a fede meccanica o abitudinaria, e allora ella, da sempre non solo al servizio della missione salvifica di Gesù e di quella stessa “ora” che pur ancora disconosce ma anche consapevole del fatto che non c’è ora che non sia l’ora della divina misericordia, adesso si rivolge a lui fiduciosa per chiedergli un “segno” di quell’amore divino che può trasformare e migliorare l’alleanza sinaitica rendendo perennemente fiducioso e festoso, pur tra i persistenti marosi dell’esistenza storica collettiva ed individuale, il rapporto dell’umanità e di ogni persona con Dio.

Maria, non solo “ascoltatrice” ma anche “interlocutrice” di Dio, qui prende il posto di Mosè: dice ai servi, ai servi ancora fedeli e obbedienti al Dio della vecchia alleanza e ai servi che ormai rappresentano simbolicamente anche i credenti e i diaconi della nuova Chiesa, di obbedire al Signore, di fare “quello che vi dirà”. Nell’Antico Testamento il popolo aveva gridato all’unisono “Tutto quello che il Signore ha detto, lo faremo” (Esodo 19,8) e Maria torna ad esortare il popolo di Dio, la sua Chiesa a non vivere velleitariamente (la fede delle pie ma sterili intenzioni) ma a rendere operativo questo proposito. E’ come se dicesse: non vi limitate ad ascoltare e ad annunciare il Vangelo, non vi limitate a predicare o ad invocare la misericordia e la giustizia di Dio, ma quello di cui parlate fatelo fiduciosamente, anzi fatelo prima di parlarne, rendetelo vita e gesto e si riempiranno di acqua viva e vivificante le anfore vuote della vostra vita. Ma Maria sa anche che l’obbedienza da sola non è sufficiente, e i servi infatti obbediscono prima perché hanno a che fare con una donna incantevole e semplicemente adorabile e poi perché hanno a che fare con un uomo di cui è già nota la serietà e l’autorevolezza. L’obbedienza al di fuori dell’amore (che è slancio, entusiasmo, passione spirituale, desiderio di dedizione) è una caricatura della fede. Anche noi qualche volta stentiamo o esitiamo a compiere gesti che derivano dalla volontà di Dio: non capiamo perché pregare, restare onesti, fare del proprio meglio dal momento che quasi sempre vincono i furbi e prevalgono i violenti. E allora finiamo per essere credenti in modo intermittente o incoerente, in un modo quindi che non può piacere al Signore.

Una fede staccata dall’amore, dall’amore per il Signore da intendere come la persona più cara ed importante della nostra vita, produce alla lunga stanchezza spirituale e sostanziale incredulità. Questo era accaduto a molti israeliani educati per secoli ad un rispetto prevalentemente formale e rituale di precetti e tradizioni della Torah e sostanzialmente incapaci di riconoscere Dio nella persona storica di Gesù. Ma purtroppo non è qualcosa che riguardi solo il passato, e oggi bisogna molto vigilare perché quella separazione tra fede e amore, tra fede confessata e fede vissuta, non diventi un dato strutturale e irreversibile della stessa Chiesa di Cristo. Maria a Cana ci ha esortato a non conservare solo le strutture esteriori ed istituzionali della fede ma a rinnovarne continuamente lo spirito e la qualità e a sperimentare nella nostra esistenza la verità della parola evangelica: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7; Lc 11,9). Maria a Cana ci ha esortato ad essere audaci nella fede e a sperimentare nella nostra esistenza, proprio come lei, la verità della parola evangelica: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7; Lc 11,9). Chiedere come lei ha chiesto, con ragionevolezza nell’amore sincero e indefettibile per il Signore, è l’unico modo per ognuno di noi di continuare ad ottenere da Dio vita in abbondanza.