Maria madre della vita

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Tra le tante donne ricordate dalla Bibbia solo Maria di Nazaret, come recita la Lumen Gentium, «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore che con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza». Perché? Perché la salvezza è la Vita, la Vita è Cristo, e Maria, chiamata da Dio a generare Cristo nel tempo e nella storia, accetta di diventare madre della salvezza e della vita eterna in Cristo. Anche Eva, che simboleggia un altro modo di essere donna rispetto a come lo è Maria, era stata chiamata da Dio a collaborare al suo progetto di rendere eternamente felici le sue creature, ma Eva volle e vuole essere donna e creatura a modo suo, non ascoltando la Parola del Signore e non obbedendo (ob-audio significa ascoltare avendo qualcuno di fronte) ad essa, non accettando di essere fedele collaboratrice della divina volontà, non accogliendo l’idea di essere libera e felice in quanto compartecipe dell’amore divino, ma rivendicando il diritto di dar retta solo alla pulsionalità della propria esistenza e di realizzarsi sulla base di un’autonomia intellettuale e morale concepita e soprattutto vissuta in alternativa alle generose e selezionate offerte divine. Eva come prototipo di donna libera ma superba, Maria come prototipo di donna libera ma umile: la prima innamorata della vita più che del creatore della vita, la seconda pronta ad assecondare, pur nella semplicità e nella povertà dei suoi mezzi materiali e umani, ogni reale e genuina esigenza di vita e d’amore solo nel nome e per conto di Dio.

Sono queste due figure di donna che, rincorrendosi ed intersecandosi dialetticamente nella vita e nella coscienza degli uomini ben al di là della schematicità in cui qui sono necessariamente rappresentate, esprimono ed incentivano la duplice possibilità del destino umano personale e collettivo: correre stanchi e rassegnati verso una separazione sempre più accentuata dalla Vita oppure lottare contro il peccato, contro il dolore e contro la fine della vita sapendo, per grazia di Dio e per intercessione della sua santissima Madre, che la vita, la vita di ognuno di noi, non è “finita”, e che oltre la morte, limite apparente della vita e legge apparentemente definitiva della natura umana, c’è altra vita, c’è ancora la vita. Eva è la degna compagna di un Adamo debole e vile (uno che dice sí sono stato io ma la colpa non è mia), di un uomo ancora privo di spiritualità e lontano dall’amorevole autore della sua intelligenza e della sua sensibilità. Maria invece, pur sentendosi soggettivamente l’umile serva del Signore, è la degna compagna del nuovo Adamo, dell’uomo escatologico, dell’uomo-Dio e del Figlio di Dio che viene a salvarci e vuole renderci simile a sé. Dio l’ha ritenuta cosí degna come donna da decretare che ella (la donna per eccellenza) potesse essere addirittura madre di Dio stesso in quanto Figlio e redentore dell’umanità. E se madre è stata una volta, Maria sempre e per sempre dovrà essere madre. Gesù sulla croce non ha forse detto rivolgendosi a Maria e riferendosi a Giovanni che era accanto a lei: “Donna, ecco tuo figlio”?

Allora che cosa significa oggi confidare in questa madre vergine? In questa madre che non poteva non essere vergine, cioè intatta, integra ed immacolata in ogni senso, dal momento che la verginità esprime la stessa natura incorrotta ed incontaminata della divinità? Significa credere che, nonostante i nostri limiti, le nostre contraddizioni, la gravità delle nostre colpe, ella, se glielo chiediamo con fede sincera e con onesti propositi di ravvedimento, può generare continuamente la presenza di Cristo, del suo perdono e della sua pace, nelle nostre vite misere o miserabili e al tempo stesso il desiderio di accedere alla santificante mensa eucaristica; e può cosí concretamente aiutarci a sentire i laceranti richiami della coscienza a un impegno spirituale più serio e coerente verso noi stessi e verso i fratelli. Confidare in questa madre vergine significa ancora che come oppressi e disperati di ogni latitudine, a dispetto di ogni contraria e brutale apparenza, possiano conservare consistenti speranze di vita, e inoltre che non dobbiamo disperare di poter anche noi in qualche modo diventare vergini come lei, vale a dire capaci di essere interamente di Dio per essere interamente di noi stessi. Ma va ancora notato che la maternità di Maria è segnata in particolare dalla gioia con cui ella dà la vita nel suo Figlio divino. Se Maria avesse trattenuto la vita per sé, è stato giustamente scritto (Paola Barcariolo), “non ci sarebbe stata più vita. E’ anche una legge di natura: per continuare nel tempo, la vita esige dono, oblatività. Se Maria avesse amato o amasse in modo possessivo, la vita cesserebbe perché nessuno la offrirebbe ad altri”. E insomma è attraverso questa madre della vita che passa una reale e non falsa emancipazione dell’umanità.

Purtroppo, molti di noi, intendo dire anche molti di noi cattolici comprendono, nel migliore dei casi, solo a parole l’amore puro, ovvero l’amore totalmente disinteressato e appunto verginale, che è quello cui tutti sono chiamati da Dio. Di questo amore puro Maria è stata, è e sarà indubbiamente l’interprete più originale e fedele. Ciò è stato voluto a nostro beneficio dall’imperscrutabile volere di Dio ed è un mistero che, nella sua interezza, sarà svelato probabilmente solo alla fine dei tempi. Ma già ora le parole di un grande intellettuale mistico come Charles Pèguy riempiono l’animo di commozione: «A tutte le creature manca qualche cosa, e non soltanto di non essere Creatore. A quelle che sono carnali, lo sappiamo, manca di essere pure. Ma a quelle che sono pure, bisogna saperlo, manca di essere carnali. Una sola è pura essendo carnale. Una sola è carnale essendo anche pura. E’ per questo che la Santa Vergine non solo è la più grande benedizione che sia caduta sulla terra, ma la più grande benedizione stessa che sia discesa in tutta la creazione. Non soltanto è la prima tra tutte le donne. Non soltanto la prima tra tutte le creature. E’ una creatura unica, infinitamente unica, infinitamente rara» (Oeuvres poétiques, Gallimard, Paris 1957, p. 578).