L'umanità di Maria secondo don Tonino Bello

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Resto talmente affezionato al ritratto di Maria tracciato da don Tonino Bello, compianto e coraggioso vescovo di Molfetta, che ho ritenuto di dovervi ritornare su, dopo averne parzialmente scritto in un precedente articolo del 29 marzo 2009, in questo stesso sito. Tutti sanno che Maria fu la serva di Dio: lo amò e lo serví incondizionatamente per tutta la vita e, per amore verso di lui, fece altrettanto verso i suoi simili. Fosse vissuta in un’epoca come la nostra, in cui la figura del servo è giuridicamente e socialmente obsoleta, ella probabilmente si sarebbe definita come una donna di servizio, portata però ad offrire le sue amorevoli prestazioni spirituali in modo del tutto gratuito e non per essere retribuita. Tuttavia, osserva acutamente don Tonino Bello, quell’appellativo di serva, che da un punto di vista biblico-religioso denota una grande elevatezza spirituale, «non trova posto nelle litanie lauretane! Forse perché, anche nella Chiesa, nonostante il gran parlare che se ne fa, l’idea del servizio evoca spettri di soggezione, allude a declassamenti di dignità, e sottintende cali di rango, che sembrano incompatibili col prestigio della Madre di Dio. La qual cosa fa sospettare che perfino la diaconia della Vergine sia rimasta un concetto ornamentale che intride i nostri sospiri, e non un principio operativo che innerva la nostra esistenza» (Maria donna dei nostri giorni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1993, 2001, p. 77).

Maria si diceva serva perché si sentiva serva ed operava non come una serva frustrata ma come una serva fedele; noi invece troppo spesso ci diciamo servi o per falsa modestia o in senso puramente retorico, mentre ci guardiamo bene, talvolta anche come ministri del culto, dal mettere esistenzialmente e rigorosamente al servizio di Dio e del prossimo le nostre vite, le nostre intelligenze e sensibilità. Essere servi di Dio è cosa molto più semplice a dirsi che a farsi, per cui non si può che condividere la preghiera rivolta da don Tonino a Maria: «Tu che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari del protagonismo. Rendici consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si nasconde il Re. Apri il nostro cuore alle sofferenze dei fratelli. E perché possiamo essere pronti a intuirne le necessità, donaci occhi gonfi di tenerezza e di speranza. Gli occhi che avesti tu, quel giorno. A Cana di Galilea» (Ivi, pp. 78-79).

Noi ci ammantiamo non di rado di falsa umanità: bisogna che la Madre nostra, portatrice di vera e santa umanità, ci aiuti a liberarci dalla falsità o dall’ipocrisia dei nostri pensieri e dei nostri propositi, a rendere vera la nostra volontà di bene, ad essere testimoni e portatori di vera e non finta ed ostentata umanità. In Maria Dio ha trovato una umanità vera, schietta, completa, compiuta; un’umanità di cui nel nostro cammino anche noi dobbiamo cercare di rivestirci per fare cosa gradita al Signore e per servire realmente chi soffre o ha bisogno d’amore. Gli stessi pastori della Chiesa devono implorare Maria affinché possano imparare ogni giorno «a farsi inquilini di quelle regioni alte dello spirito da cui riesce più facile il perdono delle umane debolezze», purché sinceramente ammesse e riconosciute, «più indulgente il giudizio sui capricci del cuore», purché onestamente avversati dalla volontà penitente, «più istintivo l’accredito sulle speranze di resurrezione», purché coltivate con coerenza tenace (Ivi, p. 103, ma gli incisi fuori virgolette, che non alterano il pensiero del vescovo di Molfetta, sono miei).  

Don Tonino sente molto il problema di una sempre maggiore elevazione spirituale dei pastori della Chiesa. Per questo egli, pastore tra pastori, continua a pregare Maria in questi termini: «sollevali dal pianterreno dei codici, perché solo da certe quote si può cogliere l’ansia di liberazione che permea gli articoli di legge. Fà che non rimangano inflessibili guardiani delle rubriche, le quali sono sempre tristi quando non si scorge l’inchiostro rosso dell’amore con cui sono state scritte. Intenerisci la loro mente, perché sappiano superare la freddezza di un diritto senza carità, di un sillogismo senza fantasia, di un progetto senza passione, di un rito senza estro, di una procedura senza genio, di un “logos” senza “sophía”. Invitali a salire in alto con te, perché solo da certe postazioni lo sguardo potrà davvero allargarsi fino agli estremi confini della terra, e misurare la vastità delle acque su cui lo Spirito Santo oggi torna a librarsi» (Ivi).

Benché Maria sia sempre appartenuta e continui ad appartenere alla realtà più profonda ed intima del mistero di Dio, la sua vita terrena è stata quella di una donna normale che ha visto ingiustizie di ogni genere, che ha sofferto per mille soprusi e umiliazioni subite, senza tuttavia ritenere definitivo e privo di senso tutto il dolore accumulato in questo mondo ma sempre rispondendo al male con il bene e con le opere buone e confidando nel potere salvifico di suo figlio Gesù. Maria è stata una donna vera. Non è nata santa ma, sia pure sotto uno speciale impulso divino, è diventata santa in mezzo a notevoli tormenti: ciò nonostante la sua santità è venuta assumendo strada facendo forme particolarmente eleganti. E’ a questa donna vera, graziosa ed elegante che si rivolge ancora rapito e commosso don Tonino: «Santa Maria, donna elegante, dal momento che vestivi cosí bene, regalaci, ti preghiamo, un po’ dei tuoi abiti. Aprici il guardaroba. Abituaci ai tuoi gusti. Lo sai bene, ci riferiamo a quei capi di abbigliamento interiore che adornarono la tua esistenza terrena: la gratitudine, la semplicità, la misura delle parole, la trasparenza, la tenerezza, lo stupore. Ti assicuriamo: sono abiti che non sono ancora passati di moda. Anche se sono troppo grandi per le nostre misure, faremo di tutto per adattarli alla nostra taglia. Svelaci, ti preghiamo, il segreto della tua linea. Innamoraci del tuo “esprit de finesse”. Preservaci da quelle cadute di stile che mettono cosí spesso a nudo la nostra volgarità, …da quello spirito rozzo che ci portiamo dentro, nonostante i vestiti raffinati che ci portiamo addosso e che esplode tante volte in termini di violenza verbale nei confronti del prossimo» (Ivi, pp. 110-111).

A questa Donna e a questa Madre che Gesù costituì non solo nostra “conterranea” ma anche “contemporanea di tutti” e quindi anche nostra contemporanea, possiamo e dobbiamo fiduciosamente rivolgerci in ogni concreta situazione della nostra esistenza: «Mettiti…accanto a noi,..ascoltaci mentre ti confidiamo le ansie quotidiane: lo stipendio che non basta, la stanchezza da stress, l’incertezza del futuro, la paura di non farcela, la solitudine interiore, l’usura dei rapporti, l’instabilità degli affetti, l’educazione difficile dei figli, l’incomunicabilità perfino con le persone più care, la frammentazione assurda del tempo, il capogiro delle tentazioni, la tristezza delle cadute, la noia del peccato…» (Ivi, pp. 115-116). Se le nostre preghiere saranno convinte e sincere, ella ci ascolterà e farà ogni volta tutto quello che occorre per il bene e per la salvezza di ognuno di noi.

Tanto più ci ascolterà quanto più le nostre preghiere saranno semplici ed essenziali, come semplici ed essenziali sono per esempio, anche se formulate con espressioni e toni meno ispirati di quelli usati da don Tonino, altre sue due preghiere. La prima: «Facci capace di abbandoni sovrumani in Lui. Tempera le nostre superbie carnali. Fà che la luce della fede, anche quando assume accenti di denuncia profetica, non ci renda arroganti o presuntuosi, ma ci doni il gaudio della tolleranza e della comprensione. Soprattutto, però, liberaci dalla tragedia che il nostro credere in Dio rimanga estraneo alle scelte concrete di ogni momento, sia pubbliche che private, e corra il rischio di non diventare mai carne e sangue sull’altare della ferialità» (Ivi, p. 123). La seconda: «Santa Maria, vergine della notte, noi t’imploriamo di starci vicino quando incombe il dolore, e irrompe la prova, e sibila il vento della disperazione, e sovrastano sulla nostra esistenza il cielo nero degli affanni, o il freddo delle delusioni, o l’ala severa della morte. Liberaci dai brividi delle tenebre. Nell’ora del nostro Calvario, tu, che hai sperimentato l’eclisse del sole, stendi il tuo manto su di noi, sicché, fasciàti dal tuo respiro, ci sia più sopportabile la lunga attesa della libertà» (Ivi, p. 124). Amen.