In attesa come Maria

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Un noto mariologo ha scritto di recente: «oggi non si aspetta più nessun messia né si nutre la fiducia in un futuro migliore, convinti che la lotta tra il bene e il male continuerà sempre minando alla base la felicità» (S. De Fiores, Senza speranza non si può vivere, nel sito “Madre di Dio” del 4 aprile 2010). Non è che i cristiani non sappiano «che la proiezione verso le ultime realtà costituisce una dimensione determinante della loro vita. Se non sono escatologici, rischiano di emigrare nella valle del ricordo o di venire irretiti nelle forre del non-senso», e dunque formalmente e liturgicamente non possono fare a meno di professare «la loro fede in Cristo che “verrà a giudicare i vivi e i morti”», conformemente a quanto insegna il Simbolo niceno-costantinopolitano (Ivi), ma spesso in realtà «questo articolo del Credo rimane una verità astratta senza influsso nella vita» (Ivi). 

Non è naturalmente il caso di prendere di mira i fedeli con un’ennesima rampogna relativa alla presunta superficialità o esteriorità della loro fede, anche perché chi rampogna non sempre è immune da quel moralismo ipocrita che è e rimane purtroppo uno dei mali peggiori della spiritualità cattolica. Ognuno, salvo facendo un principio di decenza religiosa e devozionale, fa realisticamente quel che sa e può sapendo che sarà chiamato a rendere conto del suo operato a Dio, che è il solo a vedere perfettamente quali sentimenti agiscono e come agiscono nella coscienza di ogni essere umano.

Tuttavia, ciò non esime i più consapevoli dal doversi assumere la responsabilità di muovere in spirito di carità quelle osservazioni, quelle critiche e talvolta anche quei rimproveri con relative esortazioni che valgano ad orientare o a scuotere la coscienza di quei credenti che si pongono il problema di quale sia il modo migliore di professare la propria fede. C’è indubbiamente il rischio, ben evidenziato dai vangeli, di essere credenti per tutta la vita senza avvertire (o senza far di tutto per avvertire) i limiti oggettivi della propria fede, fermo restando che non tutte le possibili forme di fede, benché tutte possano presentare qualche difetto, sono legittime e gradite agli occhi stessi di Dio. In particolare, come opportunamente fu evidenziato alcuni mesi or sono dal cardinale brasiliano Odilo Scherer, «al giorno d'oggi constatiamo purtroppo che la maggioranza dei cattolici è stata battezzata, ma non evangelizzata» (Intervista di Alexandre Ribeiro al card. Scherer, Molti cattolici sono stati battezzati, ma non evangelizzati, in “Zenit” del 29 ottobre 2009).

Egli eccepiva che non è possibile «battezzare e poi lasciare il cristiano a un’evangelizzazione ‘generica’…E’ come seminare un campo e poi abbandonarlo a se stesso; non permette di aspettarsi molti frutti; è anche come piantare un giardino e non curarlo: ci si possono aspettare fiori belli e abbondanti?...Bisogna imparare a vivere la fede cristiana e questo rappresenta un processo continuo, che si estende a tutte le tappe della vita. Ha bisogno di imparare ad essere cristiano il bambino come la persona adulta o l'anziano…Oggi più che di evangelizzare catecumeni abbiamo bisogno di iniziare a evangelizzare la maggior parte di coloro che sono già battezzati… L'iniziazione alla vita cristiana non può smettere di porre il fedele davanti alle implicazioni morali che derivano dalla sequela di Gesù e dall'appartenenza alla Chiesa… In questo modo, il cristiano è per tutta la vita 'alla scuola del Vangelo' e impara a essere fedele a Gesù, seguendolo nel suo cammino; anche alla fine della vita, davanti alla morte, perché c'è anche un atteggiamento cristiano di ammalarsi e di morire…E’ bene tener presente che non si tratta di un apprendimento meramente intellettuale, anche se questo aspetto fa comunque parte del processo, perché la fede ha anche bisogno di essere conosciuta con l'intelligenza. Più che altro, si tratta di un apprendimento esistenziale» (Ivi). Ecco perché «la formazione del cristiano adulto nella fede è la nostra missione e il nostro compito, e quello della Chiesa: chi è già discepolo di Cristo aiuta gli altri a essere discepoli a loro volta» (Ivi).

Non possono esserci dubbi: se il battezzato è una persona che dall’acqua purificatrice viene lavata e liberata dal peccato di origine manifestando il proposito di morire al peccato in Cristo e di rinascere in Cristo ad una vita di purezza spirituale e di eterna salvezza, egli solo dallo Spirito Santo può essere rigenerato ovvero può ottenere quella forza spirituale e quell’amore incondizionato verso gli altri oltre che verso Dio che gli consentano di mantenere fede alle promesse battesimali di rinnovamento interiore e di essere quanto più degno possibile di quel sacrificio offerto e di quel sangue versato con cui nostro Signore ha voluto riscattare e redimere gli uomini. Tenendo presente che Dio comunica a tutti il suo Santo Spirito, sia pure in modi e forme diversi e specialmente a chi lo chiede con insistenza nella preghiera, e che tuttavia esso può essere ricevuto solo da coloro che pur sempre sorretti dalla divina misericordia hanno la capacità di accogliere questo grandissimo dono, si può altresí affermare che quello che principalmente un cristiano e un cattolico sinceri e coerenti non devono mai perdere di vista, o meglio non devono mai smarrire nella propria interiorità, sono il carattere e la finalità eminentemente messianici della loro fede, per cui, dal sentire che il Signore può venire o tornare non simbolicamente ma realisticamente in ogni momento della loro vita, possano far conseguire un comportamento quanto più possibile solerte onesto e coerente con ciò che professano nelle preghiere giornaliere e durante i riti liturgici cui generalmente partecipano.

In questo senso, essi non possono trovare un migliore esempio da seguire di quello offerto dalla madre stessa del Signore. Come è stato ben scritto: «Il mondo contemporaneo, guardando a Maria, trova in lei una chance e un paradigma per ricuperare la dimensione messianica del cristianesimo. Infatti l’esistenza della Vergine di Nazaret si è svolta tra le due venute di Cristo» (De Fiores, cit.), la prima che le era stata annunciata dall’angelo Gabriele, che le aveva rivelato che il Figlio di Dio, destinato ad essere da lei concepito per opera dello Spirito Santo, «avrebbe regnato per sempre sulla casa di Giacobbe» (Ivi), e la seconda, predetta da Cristo stesso, che fa seguito alla resurrezione quando il Salvatore trionfa sul peccato e sulla morte e promette il suo ritorno definitivo alla fine dei tempi come Salvatore e come Giudice di tutti gli uomini. Maria aveva atteso con trepidazione l’ingresso del Signore nella storia degli uomini pur non potendo prevedere che proprio lei dovesse esserne il tramite, Maria aveva accolto Dio nel suo grembo leggendo il Magnificat, che è l’esatta preconizzazione della rivoluzionaria rappresentazione evangelica della vita e della storia umane, senza mai dubitare per un istante che Dio potesse mai lasciare irrealizzate o incompiute le sue promesse di liberazione e di salvezza universali ed eterne, e di nuovo Maria, nonostante l’immane dolore per la morte del figlio suo, è lí ad attenderne fiduciosa quella resurrezione e quel definitivo ritorno in vita che egli stesso aveva profetizzato.

Maria è dunque colei che vive continuamente e mirabilmente in attesa di Dio, del suo Dio, dell’unico Dio, è colei che, sempre capace di schietta e materna umanità verso tutti e in particolare verso i poveri del Signore, prega e agisce, soffre e spera esclusivamente in funzione del Signore e del suo regno di giustizia e d’amore. Ella è la Vergine dell’attesa, dell’attesa non oziosa ma operosa, non inerte ma dinamica e produttiva nella purezza e nella carità del sentire e del fare. Chi aspetta Gesù non può aspettarlo se non nello stesso modo in cui lo aspettò Maria, se non alla luce dell’esempio di Maria, se non attraverso la gratuita intercessione e la materna e regale assistenza di Maria.

Ella è il primo e il più significativo esempio «di attesa del ritorno di Cristo. Ella ci invita a guardare in avanti verso il Signore che ritornerà, secondo la promessa angelica. La Madre di Gesù ha ascoltato questo messaggio al momento dell’Ascensione e secondo il suo modo abituale ha adeguato la sua esistenza al ritmo della Parola di Dio. Se una madre anela a vivere con suo figlio e aspetta l’ora felice di ricongiungersi a lui, questo vale tanto più per Maria che con la comunità primitiva proclama: “Gesù è il Signore!”. L’affetto materno coincide in lei con l’amore di Dio sopra ogni cosa. E quante volte avrà cantato o implorato anche lei con i fedeli cristiani: Maranathà, vieni Signore Gesù! Per tutti i discepoli vale la consegna del divino Maestro contenuta nella parabola delle dieci vergini: “Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13). In Maria questa consegna diviene vita, poiché nessuno come lei è la Vergine in attesa che va incontro allo Sposo “con più chiara lampa” (Petrarca). Pegno di questo incontro definitivo è la comunione sacramentale che Maria con la comunità di Gerusalemme riceve “con gioia e semplicità di cuore” (At 2,46). Maria partecipa non solo alla celebrazione domestica dell’Eucaristia, ma anche ai sentimenti che animano i discepoli del Signore: la gioia o giubilo che proviene dalla fede (cf. At 8,8.39; 13,48.52; 16,34) e che ella ha sperimentato ed espresso nel Magnificat (Lc 1,46-47) e la semplicità di cuore, propria del povero di JHWH e della persona evangelica» (Ivi). Ci aiuti Maria ad essere o a diventare degni discepoli del divino Maestro, capaci di attenderlo sempre, nella buona e nella cattiva sorte.