Messaggio di Fatima, Spirito Santo e vita sacerdotale

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Il papa è andato in Portogallo e in particolare a Fatima per pregare Maria di trasmettere al mondo un sincero e profondo desiderio di conversione consistente principalmente nella disponibilità ad offrire se stessi a Dio per la salvezza degli altri, ad offrire se stessi nella verità, nella carità e nella giustizia per il bene dell’intera umanità. E’ un peccato che, ogni volta che si pronunciano parole cosí importanti e solenni, si faccia generalmente molta fatica a coglierne tutte le impegnative implicazioni morali e spirituali, sia sul piano dottrinale che su quello pratico e operativo. La stessa Chiesa talvolta, attraverso parole ed atti dei suoi più eminenti esponenti, appare impreparata ad esplorare adeguatamente la perenne e totale novità del vangelo, la quale esigerebbe un continuo rinnovamento dello spirito ecclesiale anche ovviamente in rapporto alla necessità di modificare e migliorare più di quanto poi non avvenga l’insieme dei suoi molteplici piani di competenza ivi compreso quello giuridico o canonico e quello strutturale e pragmatico.  

E, poiché in questo momento la Chiesa sta raccomandando a più riprese ai fedeli di pregare il Signore che mandi operai numerosi e dotati di vera vocazione sacerdotale nella sua vigna, è specificamente di questo problema che ancora una volta intendo occuparmi. La preghiera è naturalmente doverosa ma altrettanto doverosa è l’attenzione che la Chiesa deve profondere nel modo di scegliere i suoi futuri pastori tenendo conto del fatto che essi sono chiamati ad agire e a testimoniare il Cristo in una società particolarmente complessa e dinamica, e per certi aspetti essenziali anche caotica e opaca, che richiede grandi capacità di ascolto, di comprensione e di servizio disinteressato. Tali capacità non presuppongono necessariamente un elevato grado di preparazione culturale, la cui presenza anzi non sempre genera quella sana coscienza critica del reale senza cui non è possibile alcuna vera forma di conoscenza, ma esigono sicuramente una buona ed intuitiva intelligenza delle cose del mondo e degli uomini, fermezza di carattere e passione spirituale per la verità e la giustizia, disponibilità a farsi voce, carico e conforto degli oppressi e dei deboli contro ogni forma di peccato che angustia e appesantisce la loro esistenza. 

Non è più possibile cavarsela dicendo che la Chiesa, pur imperfetta e peccatrice, è sempre assistita dallo Spirito Santo che le consente perciò di fare cose sostanzialmente giuste e opportune e di operare scelte comunque illuminate e sante, perché, cosí come non bisogna nominare il nome di Dio invano, allo stesso modo bisogna evitare di nominare lo Spirito Santo per accreditare pensieri e scelte che non di rado sono totalmente privi di ispirazione divina e solo frutto di tradizioni e congetture umane. Lo Spirito Santo non può essere confuso con la retorica dello Spirito Santo o con la celebrazione di una provvidenzialità divina troppo spesso scontata o prevedibile e troppo poco sorprendente e innovativa. Non è che, per esempio, ogni volta che viene eletto un papa, egli è sicuramente il designato dello Spirito Santo (perché in questo caso persino i papi più indegni sarebbero stati opera di esso), ma piuttosto attraverso quel determinato papa, scelto da uomini di Chiesa capaci di percepire più o meno chiaramente e responsabilmente i suggerimenti dello Spirito Santo, quest’ultimo farà comunque sentire la sua presenza e la sua benefica azione in forme inedite ed inattese; e cosí anche per quanto riguarda l’attuale crisi della Chiesa, dovremo certo invocare il Santo Spirito a sostegno della sua Chiesa ma non solo al fine di liberarla dal maligno che è fuori di essa ma dal maligno che è anche o principalmente dentro di essa e dentro di noi e che si fa sentire, anche in casi apparentemente insospettabili, per mezzo della nostra presunzione e della nostra arroganza, della nostra falsa fede e delle nostre apparenti certezze, delle nostre pretenziose o ipocrite rappresentazioni di Dio.

Il più delle volte lo Spirito Santo non è nel “vento grande e gagliardo”, non è nel “terremoto” o nel “fuoco” che devastano e distruggono, ma “in un sussurro di brezza leggera” (1Re 19, 12): esso non è, come ha scritto Piero Pisarra, «nel frastuono, non è nei proclami roboanti» di quel mondo iniquo cosí spesso presente e operante anche nella Chiesa e nelle sue sacre gerarchie, «non è nei fuochi di artificio, nelle apparizioni in technicolor, negli effetti speciali di una religiosità ridotta a psicodramma o allucinazione collettiva. Non è nel furore o nel clangore delle armi, nella retorica dello scontro di civiltà» ma è appunto «nel sussurro di una brezza leggera, nella “voce di un silenzio sottile”, come sperimenta Elia sul Monte Horeb» (in “Jesus”, maggio 2010) e come può sperimentare solo chi si sforza continuamente di svuotare se stesso dei propri pregiudizi e delle proprie passioni e di anteporre senza incertezze l’amore di Dio all’amore (magari inconsapevole) di sé.  

Quando la Chiesa invoca lo Spirito Santo, lo invoca correttamente solo se sia consapevole che il suo cammino storico non è né facile né lineare, che la sua fede dev’essere continuamente alimentata dalla grazia di Dio, che lo spirito di verità di cui cerca di nutrirsi non è solo un punto di partenza ma anche e soprattutto un punto di arrivo, una conquista, una perenne acquisizione spirituale che presuppone la capacità di ascoltare non una volta ma sempre e in modi sempre nuovi la Parola di Dio stesso. Se, pur inavvertitamente, lo invoca solo a supporto e a giustificazione di quello che essa viene decidendo e operando storicamente, solo in funzione di certe sue pur inevitabili logiche temporalistiche, di certe sue pur antiche e venerabili ma ormai logore ed inefficaci pratiche di vita sacerdotale (come, per esempio, l’obbligo di obbedire sempre e comunque alla gerarchia più che ai comandi evangelici), e di certe sue sincere ma pur sempre particolari e storicamente determinate forme di comunione umana e comunitaria, c’è da dubitare seriamente che lo Spirito possa alitare su di essa. E poi tutti, dal più umile fedele alle più alte eminenze della gerarchia ecclesiastica, dovrebbero essere capaci di sottoporsi a costanti e severe verifiche spirituali per evitare che persino i più nobili intendimenti evangelici siano vanificati da comportamenti e atteggiamenti farisaici o incoerenti: sapendosi realmente e pesantemente esposto alle tentazioni del maligno, indipendentemente dal ruolo ricoperto nella comunità ecclesiale, ogni cristiano potrà implorare in modo sensato l’aiuto dello Spirito Santo senza correre il rischio di farne un uso meramente declamatorio.

Perciò, ritornando al reiterato invito della Chiesa e del papa a pregare per l’intensificarsi delle vocazioni sacerdotali, sarà il caso che, nell’affidarsi allo Spirito Santo, non si stia lí ad attendere che il numero dei pastori s’ingrandisca da solo e semplicemente applicando le regole tradizionali che presiedono alla scelta e alla formazione dei presbiteri (anni obbligatori di seminario, trasmissione di conoscenze stereotipate oppure troppo sofisticate e spesso in ambedue i casi prive di aggancio reale ai problemi reali della vita ordinaria delle persone, acquisizione di una mentalità servile o conformista più che liberamente e responsabilmente aperta al “servizio”, assimilazione di un modello sacerdotale più istituzionale che carismatico con un non infrequente svilimento psicologico della funzione catechetica e pastorale del futuro sacerdote). E’ inutile agitarsi muovendo accuse di riduzionismo o di eccessiva e polemica semplificazione. Questi difetti esistono realmente nella Chiesa di oggi, nei giovani preti di oggi, nei formatori e negli istituti ecclesiastici di oggi, e un occhio attento ed esercitato (e non necessariamente malizioso) può verificarne quotidianamente l’esistenza e l’incidenza sulla condotta di molte comunità parrocchiali.

La Chiesa dovrebbe prenderne atto non per gettare a mare la sua pedagogia religiosa, i suoi metodi e i suoi strumenti didattici tradizionali, ma per rivederli, per modificarli, per aggiornarli e ampliarli alla luce della crescente evoluzione della società contemporanea e della persona che vi opera. D’altra parte essa, ormai da lungo tempo soggetta a pressanti e drammatiche sollecitazioni interne ed esterne, dovrebbe sentirsi richiamata dallo Spirito Santo a riconsiderare le forme classiche del sacerdozio aprendo coraggiosamente le porte dell’ordinazione sacerdotale anche ad uomini sposati anziani che abbiano i requisiti intellettuali, morali e spirituali per chiedere di poter servire Gesù anche in quanto presbiteri e ministro del culto. Non si tratterebbe in tal caso di sottoporre i nuovi aspiranti a defatiganti e burocratici corsi di formazione e abilitazione teologiche, ma di accertarsi della sincerità e del vigore della loro vocazione, della solidità delle loro conoscenze teologiche e liturgiche (tutte cose che possono essere acquisite anche al di fuori dei seminari), delle loro reali attitudini psicologiche e dialogiche, della loro capacità di sottoporsi a compiti spirituali particolarmente faticosi (come lo stare per ore e ore in confessionale, il prendersi cura quotidianamente dei sofferenti e dei malati, l’essere equanimi onesti e caritatevoli verso tutti e verso ciascuno, senza trascurare mai i propri compiti liturgici), riservandosi semmai di procedere nei loro confronti a tutte quelle integrazioni e a quei supporti che risultassero non pregiudizialmente ma obiettivamente opportuni e necessari.

Se la Chiesa ha a che fare con un ingegnere, un professore, un medico, un operaio, che abbiano famiglia e abbiano altresì manifestato la loro vocazione sacerdotale e il desiderio di essere ordinati presbiteri, dovrebbe poterli accogliere gioiosamente già per questa loro dichiarata disponibilità e, pur verificandone ovviamente la complessiva idoneità, non dovrebbe sottoporli a condizioni e controlli vessatori e opprimenti ma valorizzarne le specifiche qualità e metterli subito alla prova, in una certa misura anche prima della loro ordinazione, e lasciare poi che essi possano testimoniare concretamente la loro fede sul piano operativo il più presto possibile.

Il messaggio di Fatima, ha ricordato il papa, «ci parla di conversione, ci parla di penitenza, per rinnovarci in modo tale che la nostra testimonianza sia coerente», dove è abbastanza chiaro che, repetita iuvant, di conversione e penitenza non necessitano solo i persecutori per cosí dire esterni della Chiesa ma anche coloro che peccano pur facendone parte, ma anche noi tutti peccatori che professiamo la fede in Cristo e tuttavia siamo ancora soggetti alla tentazione del peccato e al peccato stesso procurando cosí grandi sofferenze e difficoltà alla Chiesa che pure diciamo di amare (La lezione del papa? La sofferenza della Chiesa alla luce di Fatima. Un bilancio del viaggio del papa in Portogallo, in “Zenit” del 16 maggio 2010). Questo, se non sbaglio, significa anche che non dobbiamo dare nulla per scontato tranne l’universale ed intangibile necessità spirituale che, di conversione in conversione e di penitenza in penitenza, noi non ci stanchiamo mai di approfondire il senso della nostra fede e del nostro spirito di verità provando ad aprire lo sguardo del nostro intelletto anche a ciò di cui non pensavamo di doverci più occupare e la sensibilità del nostro cuore anche a richiami che pensavamo dovessero rimanerci definitivamente estranei.

Che ognuno di noi, secondo il messaggio sempre attuale di Fatima, non si senta mai arrivato, non senta mai di essere giunto alla perfezione della fede, anche nel caso in cui sia veramente un campione di spiritualità evangelica; che ognuno di noi sappia sempre meglio che il valore della sua fede è nel quotidiano rinnovamento spirituale e in un’incessante preghiera al Signore e alla celeste Signora affinché aiutino chi resti eventualmente indietro nella comprensione dei più profondi e reconditi desideri dello Spirito; che ognuno di noi non accusi e non biasimi nessuno e in particolare quei pastori che restano talvolta distanti dal loro gregge ma li incalzi e li incoraggi con la parola amorevole, con la spiegazione puntuale e rigorosa, con la testimonianza e con l’opera compiute nel nome della verità e dell’amore per Cristo e per i fratelli.

Madre, aiuta tutti i figli della tua Chiesa a dire sempre il vero, a perdonare, a sperare; aiutali «ad avere fiducia nell’azione di Dio» (Benedetto XVI: il messaggio di Fatima insegna a sperare in Dio, in “Zenit” del 19 maggio 2010), anche per quanto concerne l’auspicato e radicale rinnovamento della vita sacerdotale. E fa che dal loro cuore si levi sempre alto e forte uno dei canti più belli dell’innografia cristiana: «Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato./…Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola./ Sii luce all’intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore». Madre, fà che lo Spirito Santo inondi le nostre vite, ci guidi «alla verità tutta intera» e ci ricordi tutto ciò che Gesù disse in Palestina ai suoi discepoli (Gv 14, 26).