Omaggio a san Giuseppe
Anche san Giuseppe fu e volle essere uno straordinario strumento di Dio, ascoltando il Signore e corrispondendo sempre alla sua volontà. Gli fu chiesto di mettersi al servizio di Maria e del figlio divino di Maria ed egli assolse al meglio questo compito, credendo contro ogni logica umana e facendo una scelta non puramente emotiva ma coraggiosamente razionale. Coraggiosamente razionale: perché è vero che mentre Giuseppe, a causa della inattesa gravidanza di Maria, pensava «di ripudiarla in segreto», si sentí esortare dall’angelo a «non temere» di prenderla con sé in quanto destinata a partorire un figlio che avrebbe salvato il popolo d’Israele «dai suoi peccati» (Mt 1, 18-25), ma è pur vero che la sua decisione di diventare ed essere sposo per tutta la vita di una donna vergine, che vergine sarebbe dovuta sempre rimanere per fedeltà al suo Dio, affrontando peraltro un’esistenza piena di incognite, ne fecero indubbiamente un uomo molto coraggioso.
Dovette sopportare molte privazioni e molti pericoli per sé e per le due persone che per decreto divino egli avrebbe dovuto proteggere: si pensi all’esodo forzato in Egitto, dove Giuseppe dovette pensare continuamente alla incolumità della santa famiglia costretta a vivere per molto tempo tra pericoli e stenti non lievi. Si pensi anche, insieme alla gioia incontenibile che provò per il fatto di essere stato prescelto quale padre putativo del Figlio di Dio, a qualche mortificazione cui quest’ultimo, suo malgrado, dovette infliggergli in quanto figlio appunto non suo ma di un Padre divino. In effetti, Giuseppe dovette sentirsi spesso marito di una donna che non sarebbe mai stata veramente o completamente sua moglie e padre di un figlio non suo. Ma la sua fede fu cosí grande e sincera che riuscì ogni volta a superare i suoi momenti di sconforto e restò ben consapevole che, alla fine, l’amore di Dio si sarebbe riversato abbondantemente su di lui per l’eternità.
Non possiamo saperlo con certezza, ma ci sono tutti gli elementi che inducono a pensare che oggi Giuseppe in cielo e dal cielo sia non solo il protettore di tutti i lavoratori onesti, che sono quelli che cercano di vivere solo per mezzo di un lavoro lecito e capace di procurare guadagni altrettanto leciti e volti ad assicurare condizioni non più che dignitose di vita, ma anche il celeste cancelliere che intercede fervidamente presso Maria e presso il Signore a favore in particolare di tutti quegli esseri umani che, pur consci dei loro limiti e pur non disponendo di grandi mezzi economici, di potere e capacità di influenza sociale, danno quotidianamente il meglio di se stessi con la preghiera, con l’azione caritatevole, con la solidarietà fattiva, per cercare di contraccambiare in qualche misura l’amore divino che essi avvertono cospicuamente presente nelle molteplici vicende della loro vita.
Purtroppo, nel corso dei secoli, Giuseppe è diventato sempre più un santo imbalsamato, privo cioè di quella vitalità e di quel saggio anticonformismo religioso che avrebbe caratterizzato la sua vita e la sua personalità. Perché, è bene ancora osservare, egli non fu e non è semplicemente o genericamente il santo di tutti i lavoratori ma dei lavoratori che soffrono a causa della giustizia, come dice il vangelo, dei lavoratori integri che vogliono vivere di lavoro pulito (e pulito non solo in senso legale) che non procura lusso o grandi agi ma forme sufficientemente dignitose di vita, dei lavoratori che credono sinceramente in una società più giusta di quella segnata da eccessive differenze economiche e sociali e da logiche farisaiche, venali e affaristiche di vario genere. E anche in relazione al suo matrimonio con Maria, simbolo paradigmatico “della prima chiesa domestica” della storia, esso non fu un matrimonio finto ma un matrimonio effettivo con tanto di attrazione e simpatia reciproche, di reciproco e sincero attaccamento, talvolta persino di gelosia e di apprensione, anche se scientemente e volontariamente vissuto e consumato al di fuori e al di là del rapporto carnale perché ardentemente orientato a soddisfare un comune e inestinguibile bisogno di non illusorio amore divino.
La stessa genericità di giudizio occorre evitare pure su Giuseppe come campione della fede. Qui in particolare bisogna stare attenti a presentarlo come il bucolico personaggio che se ne sta tranquillo con Gesù e Maria accanto al bue e all’asinello. La fede di Giuseppe non è affatto quietistica, rilassante, e tanto meno perbenista e buona per tutti gli usi. Giuseppe sa bene cosa siano il tumulto dei sentimenti, il dubbio dell’intelletto, l’oscurità della stessa fede e infine le difficili prove cui il credente si trova ad essere sottoposto. Con lui non ce la possiamo cavare chiedendogli di pregare per noi e per tutti, se non siamo persone capaci o già capaci di percepire il rischio di una fede che diventi poco a poco abitudine e quasi una prassi burocratica connesse ad esigenze meramente consolatorie e a sostanziale disimpegno umano e spirituale e sempre facilmente suscettibili di convertirsi in un pregare sterile o improduttivo.
A lui invece possiamo e dobbiamo rivolgerci per chiedergli che anche gli irregolari di ogni specie – come le donne che (in un certo senso al pari di Maria) abbiano avuto o abbiano un figlio al di fuori del matrimonio canonico, gli immigrati onesti ma non ancora regolarizzati (come lo furono Giuseppe e i suoi congiunti), le persone anonime e sconosciute di tutte le latitudini del mondo (come furono molti di coloro che sarebbero entrati in contatto con Giuseppe e i suoi familiari), gli individui perseguitati dal pregiudizio psicologico e sociale (come capitò a Gesù figlio “di quel carpentiere”), e poi gli indigenti, i discriminati, gli emarginati, i disperati (come furono tutti coloro che il figlio di Maria e di Giuseppe venne a salvare) –, possano confidare, anche attraverso le sue potenti preghiere di intercessione, nell’aiuto di Dio e nella sicura assistenza della Madre celeste.
Un sacerdote della seconda metà del XVI secolo come Girolamo Gracián espresse questo bellissimo pensiero che è uno dei modi migliori di rendere omaggio ancora oggi a Giuseppe sposo di Maria e padre terreno di Gesù: «Nell'ufficio antico del Carmelo c'era un inno che diceva: Nunc ad Joseph tamquam patrem, nunc ad sanctam repsit matrem, per virgineas cervices gratas alternando vices. Il che significa: alcune volte Cristo abbraccia Giuseppe come un padre, altre volte la vergine sua Madre... Io tengo per certo che dopo l'amplesso infinito tra l'eterno Padre e il Figlio, da cui procede l'Infinito Amore che è lo Spirito Santo, tra tutte le altre sorgenti d'amore nessuna mai ebbe più efficacia degli amorosi abbracci che Gesù dette a sua madre, la Vergine, e a suo padre, Giuseppe. E quindi, come dall'amplesso del medesimo Figlio con il suo Eterno Padre procedeva infinito amore, così da questi abbracci con la Madre e il Padre terreno procedette amore inaccessibile e sovrano...». Dunque, con tutte le forze di cui siamo capaci possiamo chiedergli: Giuseppe prega per noi e noi riusciremo ad essere un po’ più degni del nostro Salvatore e della nostra carissima Mamma celeste.