Per risorgere in Cristo

Scritto da Francesco di Maria.

 

Caro fratello, cara sorella che state leggendo, noi risorgeremo per mezzo di Cristo se rimpiangeremo sempre meno di dover lasciare la nostra vita, se pregheremo e spereremo di poterla ritrovare molto più bella e più sana, oltre la pur temibile morte, sotto cieli più immacolati di quelli alpini e su una terra abitata dal sorriso sempiterno di Dio. Se non rimpiangeremo questa vita, ciò accadrà perché le nostre sofferenze ci avranno stancato, ma se in pari tempo aspireremo ad una nuova vita ciò accadrà soltanto perché saremo stati toccati dalla grazia di Dio e attraversati dal presentimento che oltre la vita c’è ancora vita.

Forse voi siete stati colpiti da una grave malattia sin da giovani e tante vostre esigenze primarie sono rimaste insoddisfatte nonostante non vi sia mancato qualche affetto sincero che vi abbia aiutato a superare momenti difficili. Forse, pur non essendo disabili, avete ugualmente sofferto per una vostra presunta inferiorità fisica o intellettuale, oppure per il costante disagio che vi hanno procurato i vostri insuccessi sentimentali o i vostri fallimenti professionali, le vostre effettive meschinità quotidiane o semplicemente l’impossibilità di comunicare con altri. E, anche se a volte non avete colto la vera importanza di uno sguardo, di una parola o di una stretta di mano, anche se non vi siete accorti che l’amore disinteressato di un vostro vicino valeva o vale molto più di un amore inebriante tante volte sognato, la solitudine vi è stata e vi è compagna sgradita ed ostile. 

Forse, benché mi senta a voi vicino, non vi so capire, non vi so ascoltare, non vi so amare abbastanza, perché la vostra esistenza è stata ed è infinitamente più travagliata e dolorosa della mia: come mi posso paragonare a te che innocente sei finito in un carcere, a te che sei rimasta incinta a sedici anni senza volerlo, a te che non sai come sopravvivere, a te che sei stato picchiato selvaggiamente o a te che hai subíto le violenze giornaliere della miseria e della fame, dello sfruttamento e della persecuzione, della menzogna e dell’odio? Non che io non sappia cosa significhi soffrire, non che per esempio non abbia conosciuto drammi familiari, non abbia patito la violenza dell’arroganza e della superbia oppure il dolore devastante legato a tragici errori personali. Anch’io ho sentito l’onta di un disprezzo e di un’avversione spesso ingiustificati, la solitudine lancinante di uno che poteva ragionare, ragionare dico e non vaneggiare, solamente con se stesso: anch’io insomma sono stato un oppresso, uno sbandato, un disperato, pur senza darlo a vedere. Sono stato a volte anche un persecutore, è vero; ma mi è costato moltissimo. Tutte queste realtà negative le ho sperimentate. Tuttavia immagino che vi siano forme ancora più gravi e mortificanti di sofferenza e per questo fatico a compenetrarmi del tutto con il vostro vissuto personale.

Ma tale consapevolezza, con la quale intendo scusarmi con voi, non mi trattiene dal dirvi che ora le mie contrarietà e le mie sofferenze sono qualitativamente diverse, non più subíte ma accettate, non più percepite oppressivamente ma come stimolo al bene, non più procurate da errori e peccati personali ma derivanti al contrario da una sincera volontà oblativa cui tuttavia si oppongono forti resistenze e diffidenze nella comunità di appartenenza. Io sono uscito da una vera e propria agonia esistenziale, sono stato guarito, anzi ho ottenuto molto di più di quel che si potesse sperare, perché la mia mente e il mio cuore sono stati aperti da Dio allo stupore per cose che non sapevo e ora so, che non sentivo e ora sento, che non vedevo e ora vedo, che non amavo e ora amo. E soprattutto, nonostante i miei persistenti limiti, sono stato affidato dalla sua infinita bontà alle cure della Madre celeste.

Ascoltatemi, non vi racconto frottole. Dio mi ha ascoltato e soprattutto mi ha risposto. Non so perché ma è successo e io adesso non posso che dirlo anche a voi, che naturalmente avete tutto il diritto di rimanere scettici. Però, se prenderete per buona questa pur imperfetta testimonianza, vi sentirete meglio e la speranza per voi sarà una fedele compagna. Se Dio ha risposto a me, che sono uno zero non retorico soprattutto nel quadro delle cosiddette relazioni sociali, vuol dire che può rispondere anche a voi, ad ognuno di voi, nei modi che riterrà più opportuni; se io, che sono sano di mente quantunque ipocritamente scambiato tante volte per folle, vi parlo cosí, non è per una sorta di mistica autoesaltazione ma solo perché quel che vi dico è vero e quindi perché, essendo vero, può essere utile alla vostra rinascita. Falsa generosità? No, non è né falsa generosità né semplice generosità, ma la conseguenza del fatto che non posso tenere la lucerna sotto il moggio e non posso non preoccuparmi di sollecitarvi, con molto di quello che mi è stato fatto conoscere, a confidare sempre e comunque nella meravigliosa presenza di Dio.     

 Quando, spendendovi generosamente per gli altri o cercando comunque di impegnarvi con serietà, non ce la farete più e non avrete neppure la forza di respirare, quando sarete sfiniti per la fatica e le amarezze di ogni giorno, quando chiunque vi si avvicini non avrà né voglia né tempo di starvi a sentire sia pure per qualche minuto e persino il sacerdote cui avete pensato di confidare le vostre ambasce e le vostre pene vi sembrerà distratto o frettoloso e piuttosto inadeguato a trasmettervi una vera parola risanatrice di perdono e di conforto, quando il mondo vi sembrerà totalmente privo di senso, quando i compiti che dovete eseguire sovrastano largamente le vostre forze e le circostanze non fanno altro che accrescere la vostra umiliazione e il vostro malessere, quando siete immersi nelle sabbie mobili dell’impotenza e dell’agonia e tuttavia non siete disposti ad accettare che anche la vostra vita debba essere insensata, litigate pure con Dio, gridate il vostro dolore a Dio, ditegli con veemenza che la croce che state portando è troppo pesante, lottate con lui come fece Giacobbe e fategli capire che non lo mollerete sino a quando non vi risponderà e non vi concederà finalmente la sua pietà. Se siete ostinati come Giacobbe o giusti come Giobbe, si farà sentire; altrimenti, quanto meno la sua compassione non ve la negherà.

 Ma anche se a voi sembrerà di non aver fatto proprio nulla per meritare la sua attenzione e il suo paterno soccorso, non abbiate remore: chiamatelo lo stesso, urlategli il vostro bisogno di voler essere più in pace con voi stessi e di voler credere di più nelle vostre migliori risorse personali. Vedrete che vi risponderà; se non è solo uno sfogo occasionale, se non è qualcosa che somigli più ad una insana o maldestra imprecazione che ad una preghiera per quanto inconsapevole, vi risponderà e vi farà sentire quello che siete sempre stati: figli suoi amatissimi.

Se poi il vostro mestiere è prevalentemente quello di pensare e il pensare vi ha già portato lontano o vi sta portando lontano dalla fede, anche a causa di una fede troppo mistificata che vi disturba e vi fa giustamente temere inganno e sopruso, provate ad immaginare una fede pura senza sovrapposizioni di tipo strumentale e chiedetevi con insistenza se una fede cosí depurata possa trovare maggiore consenso nel vostro intelletto. Se la risposta sarà positiva, state quasi per essere raggiunti dalla grazia di Dio; se è negativa, non foss’altro che per coerenza, continuate a cercare senza superbia e anche voi otterrete la benefica risposta divina. Solo se dite che la cosa non vi interessa affatto, non saprei cosa dirvi. Anzi sí: pregherò in ogni caso anche per voi.

Però almeno quelli di voi che si sono interamente consacrati a Cristo Signore non riducano, come talvolta accade purtroppo, le loro preghiere ad un puro pensare, a mero esercizio intellettuale. Pregare è sempre più che pensare, è sempre meglio che pensare, sebbene naturalmente non si possa pregare senza pensare; pregare è un pensare più un sentire, pregare è chiedere, pregare è implorare, pregare è lodare, pregare è sperare che Dio stia camminando realmente con noi, e se voi pregate chiedendo, implorando, lodando e sperando per ognuno di noi, il nostro viaggio si fa meno pesante, diventa un fardello leggero in vista dell’eterna e festosa città che è già pronta nei cieli ad accoglierci come piccoli dei. Lo so che vi sforzate di condurre una vita di sacrificio e che non siete immuni da incomprensioni e giudizi malevoli,      anche se a volte le vostre debolezze prendono effettivamente il sopravvento sulle vostre migliori virtù, ma vi prego: anche voi, caro fratello presbitero e cara sorella di servizio o di clausura, dovunque operiate e serviate Gesù, non vi stancate di pregare per noi con l’esempio della vostra stessa vita, perché senza la vostra degna preghiera anche le nostre preghiere stentano ad innalzarsi verso il cielo o a giungere totalmente efficaci all’orecchio di Dio.

 In particolare voi vescovi guardatevi dall’ostentare sotto una fitta coltre di falsa modestia di essere completamente assorbiti da impegni spirituali e pastorali peraltro doverosi, specialmente se soggiacete alla frequente tentazione di sentirvi blanditi dalla presunta importanza sociale del vostro ruolo e vi sentite condizionati più dai chiassosi consensi istituzionali e mediatici che dal sommesso e riservato giudizio di uomini integri. Se siete davvero coloro che «guardano dall’alto» non potete sbagliarvi sulle priorità da adottare e sugli obiettivi indifferibili da perseguire. Né la blindatura istituzionale di cui solitamente vi circondate può impedirvi di curare pecorelle ferite o smarrite e di gioire più per il ritorno di figli anonimi ravvedutisi dei loro peccati che non per i consueti bisogni di massa pure reali e da non trascurare.          

Se infine, contro ogni più rosea previsione, mi state leggendo anche voi che non avete mai sperimentato momenti particolarmente dolorosi e avete sempre realizzato le vostre speranze terrene, senza pagare dazio per niente e a nessuno, e per questo non fate altro, a casa o in chiesa o sul posto di lavoro, che ringraziare il Signore per la straordinaria bontà che vi avrebbe in tal modo manifestato, non siate cosí certi di essere soggetti privilegiati della sua misericordia e chiedetevi piuttosto se avete fatto di tutto per capire cosa Dio si aspettasse da voi e se avete corrisposto alle sue attese, perché nel caso in cui tutto vi sia andato liscio solo perché vi siete sistematicamente sottratti alle vostre responsabilità, facendo finta di non sentire o di non vedere e limitandovi a scansare ogni “seccatura” e tutti gli ostacoli frappostisi ai vostri obiettivi, e rimuovendo magari ogni scrupolo con astute razionalizzazioni, è consigliabile che vi affrettiate a cambiare vita anche se prossimi alla fine, a pentirvi sul serio anche se notoriamente incapaci di pentimento e penitenza, e ad avvertire finalmente l’urgenza assoluta di ricevere la vera misericordia divina. Alle vostre preghiere di pentimento e di conversione devono aggiungersi anche quelli che solo per vanità personale, benché frequentatori di messe e di sacramenti, non esitano ad esibire la preziosità del loro tempo dimenticando che Cristo-Dio ha consumato il suo tempo terreno senza mai fare “il prezioso” e senza mai negarsi a nessuno di coloro che lo cercavano in buona fede.

E’ difficile che coloro che su questa terra in un modo o nell’altro sono stati felici, cioè esistenzialmente sazi ed appagati anche se apparentemente schiacciati dal peso di molti impegni, possano risorgere. Questo monito giunge da Cristo, con il quale possono sperare di risuscitare soltanto fratelli e sorelle che abbiano avvertito la mancanza del Cielo nelle viscere del proprio cuore, che abbiano percepito almeno parzialmente con fede sincera la presenza di una felicità non transitoria tra le amare vicende di una faticosa esistenza, tra i rottami e le continue tormentate ricostruzioni della propria umana esperienza, tra i frenetici sussulti di un’anima che alla fine capisce di non potersi salvare se non attraverso un costoso donarsi. Oggi tra essi, tra coloro che potranno risorgere in Cristo, sono sicuramente le sorelle e i fratelli abruzzesi cosí duramente provati ma cosí intensamente presenti nel cuore di Dio.   

Caro fratello, cara sorella che avete avuto l’umiltà di riconoscervi tra gli “sfiniti” cristianamente gioiosi che ho cercato qui di descrivere: felice Pasqua! Felice Pasqua di cuore! La resurrezione, preparata ab aeterno nel santissimo grembo e nel cuore immacolato di Maria di Nazaret, vi appartiene; la resurrezione vi attende in Cristo e con Cristo là dove vi attende anche Maria, che è la splendida porta del cielo!