San Paolo, la Chiesa e i fedeli adulti

Scritto da Francesco di Maria.

 

Non si può certo negare che papa Benedetto abbia studiato ed interpretato san Paolo con severità esegetica ed amore. E’ perfettamente esatto il resoconto che del suo lavoro esegetico e teologico circa la personalità e la dottrina paoline, nel quadro dell’ “anno” dedicato all’apostolo di Tarso, ha fatto recentemente Giovanni Lajolo (Un’esegesi scientifica immersa nella Tradizione, in L’Osservatore Romano del 30 giugno – 1luglio 2009). Papa Benedetto ha trattato esemplarmente di temi essenziali e caratteristici dell’annuncio di Paolo: in primis la cristologia, poi il rapporto tra fede e opere, il tema della giustificazione, il rapporto tra Paolo e Pietro (con una evidente difesa di Pietro) e persino l’invito paolino a ringraziare il Signore con “salmi, inni e canti spirituali”.

Tuttavia, tra i temi trattati dal papa non si scorgono curiosamente almeno altri due temi che, anche alla luce del movimentato dibattito oggi in corso nella comunità ecclesiale cattolica, non possono certo definirsi secondari o marginali. Mi riferisco, da una parte, ai concetti espressi da Paolo, forse non sistematicamente ma con inequivocabile chiarezza, sulle condizioni esistenziali, spirituali e carismatiche in base a cui dei credenti possano essere ordinati presbiteri, e poi, dall’altra, all’elogio di quelle donne particolarmente ispirate e servizievoli che seguono e servono il Cristo rendendosi utili alla comunità e facendosi carico delle sue diverse necessità.

Non ho nessuna intenzione di citare cose e brani che tutti conoscono e di cui ovviamente papa Benedetto è a perfetta conoscenza, anche se egli in verità non ha ritenuto curiosamente di spiegare, in un’occasione cosí propizia come l’“anno paolino”, per quale motivo sarebbero in errore sia coloro (e sono ormai un numero ben cospicuo di fedeli) che proprio in san Paolo vedono la legittimazione di un presbiterato non necessariamente fondato sul celibato ma vocazionalmente e sacramentalmente possibile anche per soggetti anziani sposati con figli, sia anche coloro che leggono in san Paolo un apostolo aperto alla concreta valorizzazione delle donne carismaticamente dotate di dottrina e spirito di carità in seno alla Chiesa e aperto sino al punto di apparire propenso a riconoscere loro una funzione di diaconato.

Forse non si può pretendere che un papa prenda in esame tutti gli aspetti tematici di una personalità religiosa peraltro complessa come quella di san Paolo. Ma, francamente, in un tempo di tempestose e non sempre ingiustificate polemiche su questioni quali sono quelle cui si è ora fatto riferimento, stupisce che il capo della Chiesa cattolica non ritenga di lumeggiare certe posizioni della Chiesa stessa attraverso i testi del grande “apostolo delle genti”. Un pontefice non può non parlare, diffusamente e limpidamente, anche di cose che nella storia della Chiesa nessuno ha mai potuto trasformare in dogmi e che potrebbero rivestire d’altra parte una notevole importanza anche per questo drammatico presente che stiamo vivendo. Bisogna dirlo con umiltà, con amore e rispetto verso il pontefice, ma bisogna dirlo nel nome di quello spirito di verità che il pontefice stesso invoca continuamente.

Non possono non essere sottoscritte queste parole del papa: «Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza. Il mondo è sempre alla ricerca di novità, perché con ragione è sempre scontento della realtà concreta. Paolo ci dice:  il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo, un mondo rinnovato e migliore. All'inizio sta il rinnovamento dell'uomo. Questo vale poi per ogni singolo. Solo se noi stessi diventiamo nuovi, il mondo diventa nuovo. Ciò significa anche che non basta adattarsi alla situazione attuale. L'Apostolo ci esorta ad un non-conformismo». E poi: «Paolo rende ancora più chiaro questo processo di "rifusione" dicendo che diventiamo nuovi se trasformiamo il nostro modo di pensare. Ciò che qui è stato tradotto con "modo di pensare", è il termine greco "nous". È una parola complessa. Può essere tradotta con "spirito", "sentimenti", "ragione" e, appunto, anche con "modo di pensare". Quindi la nostra ragione deve diventare nuova. Questo ci sorprende. Avremmo forse aspettato che riguardasse piuttosto qualche atteggiamento: ciò che nel nostro agire dobbiamo cambiare. Ma no:  il rinnovamento deve andare fino in fondo. Il nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la realtà - tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo fondamento. Il pensiero dell'uomo vecchio, il modo di pensare comune è rivolto in genere verso il possesso, il benessere, l'influenza, il successo, la fama e così via. Ma in questo modo ha una portata troppo limitata. Così, in ultima analisi, resta il proprio "io" il centro del mondo. Dobbiamo imparare a pensare in maniera più profonda. Che cosa ciò significhi, lo dice san Paolo nella seconda parte della frase: bisogna imparare a comprendere la volontà di Dio, così che questa plasmi la nostra volontà» (Benedetto XVI, Paolo, un non conformista per una fede adulta, in L’Osservatore Romano, 30 giugno – 1 luglio 2009). 

 Ne siamo sinceramente e profondamente convinti: ognuno di noi, nessuno escluso, deve imparare a rivedere radicalmente il suo modo di pensare e di sentire, non una volta ma sempre; ogni membro della Chiesa, nessuno escluso, deve imparare ogni giorno a non conformarsi sia alle vanità del mondo sia anche talvolta a certe verità non compiutamente espresse dalla Chiesa stessa. In che modo? Chiedendo sinceramente e con tutta l’onestà di cui si è capaci che lo Spirito Santo illumini, guidi, dia forza e coraggio di dire sempre la verità, costi quel che costi, anche se l’annunciare la verità o delle verità da tempo sepolte o obliterate dovesse contrastare con i canoni di una tradizione plurisecolare non ricavata fedelmente dalla parola di Dio e non completamente rispondente alla sua volontà, quanto piuttosto da esigenze economiche e disciplinari dell’istituzione ecclesiastica in un determinato momento della sua storia.

Non c’è dubbio che il papa abbia ragione quando, parlando della necessità di una “fede adulta”, afferma: «La parola "fede adulta" negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s'intende spesso nel senso dell'atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere - una fede "fai da te", quindi. E lo si presenta come "coraggio" di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo "schema" del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una "fede adulta". È la fede che egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo».

A dire il vero, “per aderire alla fede della Chiesa” non sempre è necessario il “coraggio”, perché non è infrequente il caso in cui si dia la propria adesione semplicemente per ipocrisia, per calcolo o per altri motivi non propriamente dignitosi. E’ probabile che il pontefice non ne sia affatto ignaro, ma è comunque verissimo quel che egli lamenta: anche i cattolici spesso cercano solo “gli applausi” opponendosi al Magistero della Chiesa e non prestando ascolto ai suoi Pastori, benché il pontefice sia consapevole del fatto che, suo malgrado, egli stesso in questo mondo non è solo osteggiato ma spesso anche esaltato, non sempre per motivi religiosi, e fragorosamente applaudito. Ma ci sono anche cattolici, e negarlo non sarebbe generoso, che, senza correre “dietro ai venti e alle correnti del tempo” non cercano affatto né applausi né onori ma solo di essere ascoltati dalla Chiesa come suoi figli che hanno un’unica preoccupazione: di testimoniare, al meglio delle proprie capacità spirituali, la propria fede in Cristo e in quella Chiesa che ha da Lui ricevuto il compito di annunciare sempre ascoltando il prossimo, di seguire il suo fondatore cercandolo perennemente anche nelle parole e nella vita di fedeli umili e sconosciuti o emarginati, di amarlo incondizionatamente attraverso un permanente processo spirituale di approfondimento del senso di tutte le articolazioni del suo divino insegnamento.

E, per esemplificare, è certo da fedeli “adulti” «impegnarsi per l'inviolabilità della vita umana fin dal primo momento», «riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita» e obbedire al pontefice su tutte le questioni su cui, in forza del loro conclamato valore dogmatico o del loro indiscutibile significato etico, vi sia obbligo d’obbedienza. Ma su questioni ancora aperte e per nulla definite, seppur rilevantissime, come quelle sopra sollevate non potremo opporci al Magistero della Chiesa per il semplice fatto che lo stesso Magistero non può assumere su esse una posizione definitiva, non potremo opporci al papa per il fatto stesso che egli non ha oggettivamente elementi per trasformare una norma giuridica e disciplinare della Chiesa, per quanto dotata di elevato valore spirituale, in un indiscutibile dogma della fede. 

Noi non ci opponiamo al pontefice ma ci genuflettiamo dinanzi a lui, con tutta l’umiltà di cui siamo capaci, per pregarlo in modo accorato di ascoltarci, di ascoltare anche noi insignificanti creature di Dio, quale che sia il nostro destino o il nostro ruolo personale in seno alla Chiesa, e di non chiudere la sua ragione e la sua fede a possibilità ancora nuove ed inespresse della Parola di Dio. Noi non ci opporremo alla Chiesa di Cristo anche se essa dovesse decidere in modo difforme da come pensiamo e sentiamo sia giusto decidere su temi cosí delicati e rilevanti per il futuro stesso della Chiesa e della fede nel mondo. Non ci opporremo ma continueremo ad implorare il Signore, con “cuore o amore indiviso” benché coniugati, affinché ci renda degna “voce” della sua Parola e accolga la nostra preghiera: «Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato» (Salmo 24). Perché anche noi, per usare ancora le parole del papa, possiamo agire sempre secondo verità nella carità.