Bagnasco, governo italiano ed etica cristiana.

Scritto da Francesco di Maria.

 

Letta integralmente, e non nella versione parziale che ne dà L’Osservatore Romano diretto dal prof. Vian, la prolusione tenuta ad Ancona il 24 gennaio 2011 dal cardinale presidente Bagnasco per la sessione invernale del Consiglio Permanente della CEI, appare meno favorevole al Presidente del Consiglio attualmente in carica di quanto non sembri appunto sulla base degli stralci pubblicati dall’organo di stampa del Vaticano e dei singoli brani estrapolati e riportati dalla stampa. I giornalisti, infatti, a secondo dei propri orientamenti o interessi politici, ne hanno evidenziato alcuni aspetti piuttosto che altri, isolando una frase o una critica dal contesto e trascurando di coglierne invece il senso logico e spirituale unitario o almeno le argomentazioni prevalenti, dimenticando soprattutto che l’intervento del cardinale è stato originato e in massima parte condizionato dalle recenti vicende anche giudiziarie che hanno visto gravemente coinvolto e sottoposto ad accuse infamanti l’onorevole Berlusconi.   

Non mi pare serena e obiettiva la tesi trionfalistica di quel giornale vicino a quest’ultimo secondo la quale “chi si apettava una scomunica resta deluso”, dal momento che non c’è proprio nulla di cui rallegrarsi e che effettivamente il politico lombardo, per la rilevante funzione pubblica che assolve, potrebbe anche rischiare di essere scomunicato; cosí come non pare per niente convincente la posizione di quel giornalista cattolico che ha posto sullo stesso piano la grave ed estesa censura a Berlusconi e il brevissimo seppur a mio avviso ugualmente inopportuno riferimento polemico alla “ingente mole di strumenti di indagine” che è stata dispiegata dalla Procura di Milano per indagare su Berlusconi; né più disinteressato mi pare il giudizio di chi scrive di “un ultimo avviso” che la Chiesa avrebbe inteso dare a Berlusconi, giacché nel suo monito pur grave e preoccupato non sono ancora rintracciabili gli estremi dell’ultimatum; mentre è probabile che più fedeli alle intenzioni e al significato dell’intervento di Bagnasco siano quanti hanno evidenziato che la preoccupazione centrale dell’intervento di Bagnasco sia la conflittualità ormai esasperata e devastante tra fondamentali istituzioni dello Stato italiano con il connesso rischio di una lacerazione sempre più grave del tessuto sociale e dello spirito unitario della nazione. Tutto ciò, naturalmente, è da rilevare a prescindere da quelli che poi possano essere i pregi o i limiti complessivi, sui quali più avanti ci si soffermerà, della relazione anconitana del presidente della CEI.

Meritano tuttavia di essere proposti alla pubblica riflessione e in particolare alla riflessione dei cattolici, che però almeno in questo paese mostrano di essere profondamente divisi non solo su questioni politiche ma sia pure in forma inespressa anche su questioni decisive della loro stessa fede (sui concetti di conversione e di testimonianza, per esempio), alcuni dei passaggi centrali del discorso di Bagnasco. Come ha ben sintetizzato Vito Mancuso (La difesa del bene comune, in “La Repubblica” del 25 gennaio 2011), Bagnasco non ha mancato di rilevare «le nubi preoccupanti che si addensano sul nostro paese», la «perversione di fondo del concetto di ethos», la messa in discussione dei «fondamenti stessi di una civiltà», il dilagante «consumismo» e la sempre più pervasiva «cultura della seduzione», che, come dice testualmente Bagnasco, «ha indubbiamente raffinato le aspettative ma ha soprattutto adulterato le proposte. Ha così potuto affermarsi un'idea balzana della vita, secondo cui tutto è a portata di mano, basta pretenderlo. Una sorta di ubriacatura, alle cui lusinghe ha - in realtà - ceduto una parte soltanto della società», anche se «il calco di quel pensiero è entrato sgomitando nella testa di molti, come un pensiero molesto che pretende ascolto» (Prolusione). Donde quella «rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé» che inevitabilmente vengono generando alla lunga un vero e proprio «disastro antropologico» (Ivi).

Dal punto di vista economico e sociale, altrettanto veritiere appaiono le parole di Bagnasco: «Sembrava che il trend della crescita dovesse tutto sommato aumentare sempre, in un movimento espansivo che avrebbe via via incluso sempre nuove fette di popolazione. Invece la crisi si è presentata come una sorta di drenaggio generale, obbligando un po' tutti a rivedere le proprie ambizioni. C'è una verità, forse non troppo detta, ma che la gente ha intuito abbastanza presto:  si stava vivendo al di sopra delle proprie possibilità. Bisogna allora imprimere una moderazione complessiva dell'andamento di vita, senza dimenticare - anzi! - tutti coloro che già prima vivevano sul filo e oggi si trovano sotto». In una situazione cosí difficile si rende più che mai necessaria e non più procrastinabile una radicale conversione di vita: «Ora», afferma il cardinale, «ci siamo arrivati. C’è un’alfabetizzazione etica su questa nuova stagione che occorre saper alimentare anche al livello dei nostri gruppi, delle nostre associazioni, dei nostri movimenti. Se una parte di reddito va ridistribuita per poter corrispondere alle essenziali attese delle ultime generazioni, che diversamente rimarrebbero sul lastrico, ecco che c’è un lavoro di rimotivazione da compiere per dare un orizzonte convincente alla dose di sacrifici che bisogna affrontare. Si torna qui alla sfida educativa che ci siamo prefissi. Nella mentalità più diffusa, la sofferenza è l’ambito oscuro della vita che è meglio mettere tra parentesi, e da cui in ogni caso è necessario preservare i più giovani. Ma questo, pur scaturito dalle migliori intenzioni, è l’autoinganno più fatale che si sia indotto nei figli, nei nipoti, nei discepoli. Tentando di preservarli dalle difficoltà e dalle durezze dell’esistenza, si rischia di far crescere persone fragili, poco realiste e poco generose» (Ivi).

In particolare, tutte le principali agenzie educative (dalla famiglia alla scuola, dalla Chiesa alle più svariate attività culturali di un certo rilievo) dovrebbero impegnarsi molto di più per veicolare e radicare nella coscienza delle giovani generazioni l’idea-precetto che i furbi non vanno né ammirati né emulati: «il settimo comandamento "non rubare" resiste con tutta la sua intrinseca perentorietà anche in una prospettiva sociale…» (Ivi). E’ «la società nel suo complesso» che «è chiamata ad essere "comunità educante"», perché bisogna capire che se «si ingannano i giovani, se si trasmettono ideali bacati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scintillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcente della realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le mentalità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale» (Ivi). Magnifiche parole, non c’è dubbio: parole cariche di partecipazione pastorale e di energia profetica.

Tuttavia, se per larghi tratti la relazione di Bagnasco è ammirevole per chiarezza, lucidità, precisione e tensione spirituale, non manca in essa una parte che ad alcuni, tra i quali si include anche lo scrivente, è sembrata più generica ed ambigua e soprattutto ispirata da eccessive preoccupazioni diplomatiche. Questa parte è quella in cui Bagnasco esamina più da vicino la situazione politico-istituzionale del nostro paese con specifico riferimento allo scandalo in cui è rimasto coinvolto il leader del cosiddetto Popolo della libertà. Infatti, ad un certo punto, l’alto prelato lombardo, nell’auspicare che «il nostro Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale», ritiene di dover precisare che tale fibrillazione consisterebbe nel fatto che «i poteri non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni».

Ora, che una certa conflittualità vi sia stata o possa esservi tra poteri dello Stato democratico italiano è non solo vero o possibile ma anche abbastanza fisiologico, perché proprio la compresenza di diversi poteri voluta dalla Costituzione sta a denotare che i diversi legittimi interessi dello Stato come gli stessi equilibri di cui esso necessita sono sempre da garantire e mai garantiti in astratto e definitivamente, per cui è inevitabile che tra poteri costituzionali ed istituzionali una qualche dialettica sussista e sia sempre operante. Ma, nella fattispecie, essendo lo scenario politico-istituzionale cui ci si riferisce quello del governo Berlusconi, la conflittualità in questione, che non è più normale o fisiologica ma decisamente abnorme, non è affatto provocata a turno dalle varie istituzioni dello Stato (come dire: oggi il governo, domani il parlamento o la Presidenza della repubblica, dopodomani la magistratura o la Corte di Cassazione), ma esclusivamente da un presidente del Consiglio che, qualunque cosa succeda, la butta quasi sempre in caciara, assumendo atteggiamenti obiettivamente istrionici e offensivi, beffardi e sprezzanti, e adottando un linguaggio pedestre e volgare verso tutti coloro che osino criticarlo.

Ciò non è contestabile. Gli imbroglioni del suo partito, naturalmente, potranno contestarlo, e anzi non perdono occasione per giustificare ogni atto e ogni parola del loro leader e per presentarlo come una povera vittima e come un eterno perseguitato, ma le persone oneste e in particolare i cattolici non possono abboccare e non riconoscere, sia pure di fronte ai gravi limiti di altre forze e di altri personaggi politici, l’abnormità del personaggio Berlusconi, anche a prescindere, ma forse il pubblico e il privato si tengono in questo caso più che mai per mano, dalle azioni immorali da lui probabilmente compiute in privato e dai reati da lui probabilmente commessi. Perché parlare dunque di “tranelli” che si tenderebbero reciprocamente i poteri dello Stato? Questa pretesa reciprocità, nel caso in questione, non esiste, perché il responsabile principale della permanente conflittualità tra poteri istituzionali è in misura soverchiante proprio questo ricchissimo e spavaldo imprenditore sceso in politica per fare essenzialmente i suoi comodi e ancora oggi in sella grazie ad un consenso popolare ancora persistente che non è affatto scandaloso o esagerato definire immorale perché rispondente soprattutto ad aspettative o a logiche illecite ovvero non orientate al perseguimento del bene comune ma piuttosto a meschini ed angusti interessi particolari. Berlusconi in prima persona, la sua mentalità, il suo modo di essere, i suoi numerosi supporters sono causa primaria dello sfacelo nazionale e disconoscerlo significa non già rendere un buon servizio alla verità e alla causa di una più civile convivenza ma allontanarsi da quel rigore evangelico cui la Chiesa dovrebbe ispirarsi sempre e comunque. 

I cristiani che non intendono chiudere gli occhi sanno bene che Berlusconi si comporta come una persona empia, per la quale indubbiamente bisogna pregare ma da cui occorre altresì prendere concretamente le distanze indipendentemente dal fatto che sia disposta a concedere dei benefici sostanziosi o enormi vantaggi di carattere fiscale alla loro Chiesa; che egli è una persona che rende culto a se stesso, sacrificando ogni valore sull’altare della stima che si dà da solo e che riceve dagli altri, cercando di piegare Dio e la divina volontà ai suoi capricci e ai suoi perversi disegni personali. I veri cristiani non si lasciano abbagliare dalle promesse peraltro improbabili di benessere o di progresso civile di governanti che riconoscano la signoria di Cristo da un punto di vista politico per meglio ignorarla e calpestarla nella intimità della propria vita e nelle reali motivazioni delle proprie scelte quotidiane. 

Che Berlusconi si schieri con la Chiesa sulle problematiche della famiglia, dei rapporti tra i sessi, del matrimonio, della bioetica e quant’altro, che egli si faccia paladino della lotta pontificia a relativismo ed edonismo, non è certo cosa che possa indurre in errore quei cristiani prudenti e vigilanti che hanno avuto molto tempo ormai per chiedersi seriamente se per caso l’attuale presidente del Consiglio dei ministri non rientri a pieno titolo nella schiera di coloro che, «pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato», sopraffatti da «una mentalità e uno stile di vita che prescindono dal messaggio evangelico, e vivono come se Dio non esistesse, ed esaltano la ricerca del benessere, del guadagno facile, della carriera e del successo come scopo della vita, anche a scapito dei valori morali» (Messaggio di Benedetto XVI del 25 gennaio 2011). I cristiani, che hanno certo l’obbligo della gentilezza e del rispetto verso il proprio prossimo ma non l’obbligo della diplomazia pseudocaritatevole ed ipocrita verso chi si comporti obiettivamente in modo indegno, non possono chiedersi «a cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine»: se Berlusconi viene trattato come un possibile delinquente è evidente che i giudici, sulla base di precisi riscontri e non di fantomatiche congiure di palazzo, sospettino di poterlo ritenere tale e non c’è affatto motivo di sospettare che essi vogliano tendergli dei “tranelli”. I cristiani, la Chiesa tutta, devono chiedersi piuttosto se un tale politico, un tale governante, possa contribuire o concorrere alla crescita spirituale della nostra nazione e non al contrario alla progressiva degenerazione del costume sociale nonché all’offuscamento della stessa credibilità già ampiamente minata della Chiesa cattolica.

Temo che, in questo caso, l’eretico Mancuso abbia ragione: «Le parole di Bagnasco sono state per molti tratti un buon esempio di cosa significa parlare di politica senza fare ingerenze partitiche, perché la nostra situazione non è più questione di destra o di sinistra ma solo di decenza e di dare un governo vero a un paese che ne ha urgente bisogno. Alla fine però ha ceduto alla diplomazia, ha usato il bilancino che le consente di avere tutti i forni sempre aperti. E così il sale evangelico ha perso ancora un po’ del suo sapore» (cit.). Si può e si deve continuare ad essere vicini al cardinale Bagnasco e alla Chiesa che egli cerca di servire al meglio delle sue possibilità, ma l’augurio è che egli voglia prendere in considerazione le critiche dei suoi fratelli e delle sue sorelle di fede per contribuire a rendere il giudizio della Chiesa sempre più all’altezza del suo pur impegnativo compito di testimoniare Cristo nel mondo.

Per il momento però non è affatto sconveniente ritrovarsi sulle posizioni espresse dal vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro: «Il potere esplosivo e rigeneratore della società è la Chiesa di Cristo. La Chiesa può essere non accettata dalla società. Ma essa, per mandato di Cristo, a costo di qualsiasi persecuzione, si trova sempre in mezzo agli uomini. Che dire allora di una Chiesa che tace e talora si compiace del qualunquismo imperante? La volontà del Padre è diversa da quella del capriccio umano. E se la Chiesa compie certi gesti di incontinenza, Dio si scandalizza di essa. Come è possibile che uomini di Chiesa “importanti” facciano la barzelletta del peccato? Si può “contestualizzare la bestemmia”, “la trasgressione pubblica della pratica sacramentale” perché al capo si devono concedere tutte le licenze?.....La Chiesa non reca salvezza se rimane collegata agli interessi di classe, di razza e di Stato. Non porta salvezza se è complice dell’ingiustizia e della violenza istituzionali. La Chiesa non può rimanere in rapporto con i poteri oppressivi, col rischio di diventare egoista e indifferente, priva di amore e vergognosamente timorosa. Noi cerchiamo la Chiesa di Cristo, che mette in movimento tutte le forze portatrici della salvezza dell’uomo (1 Cor 12). Noi cerchiamo una Chiesa, che agisca da catalizzatore per l’opera di redenzione di Dio nel mondo, una Chiesa che non sia solo luogo di rifugio per privilegiati, ma una comunità di persone a servizio di tutti gli uomini nell’amore di Cristo. La Chiesa può sbagliare solo per amore dell’amore. Buona parte del nostro popolo pensa che la corruzione e il malcostume che oggi affliggono l’Italia vengono assecondati dall’attuale governo. La Chiesa, perciò, non può tenere rapporti di amicizia con esso» (R. Nogaro, L’etica del vero cristiano, in “La Repubblica” del 25 gennaio 2011).

Beninteso, se anche un intero popolo fosse corrotto e le sue perverse tendenze fossero assecondate da un determinato governo, la Chiesa non solo non potrebbe instaurare con esso un rapporto di amicizia e complicità ma dovrebbe combatterlo apertamente in spirito di verità e di giustizia. Nel nome di Cristo Signore.