La scienza come dono di Dio

Scritto da Francesco di Maria.

 

Nel corso del dibattito epistemologico del ventesimo secolo, non di rado si è affacciata la tesi per cui la scienza moderna potesse essere paragonata ad una specie di bagattella, buona più ad alimentare le illusioni degli uomini che a risolverne i problemi. Ma sarà stato vero che la scienza moderna, data in qualche frangente ormai sull’orlo del fallimento, non potesse continuare a corrispondere alle sempre più complesse esigenze del mondo contemporaneo? Sarà stato vero che, di lí a poco, non rimanesse altro da fare che mandare la scienza in soffitta? Ho deliberatamente forzato e semplificato, ma non alterato, i termini del dibattito sempre attuale sulla scienza solo per dire in modo più efficace che un conto è una legittima e doverosa critica della scienza, un conto è speculare sulle debolezze del sapere scientifico per fini non propriamente scientifici o filosofici e per fini che anche ad un uomo di fede non possono apparire legittimi.

E’ possibile qui richiamare tre o quattro cose, che sono tanto note quanto non di rado fraintese o sottovalutate. Intanto bisogna ricordare che la scienza di origine galileiana, nel corso del ’900, forse non per caso e a dispetto delle “crisi” pur numerose che l’hanno attraversata, è diventata il principale paradigma del sapere, l’espressione più alta ed universale della razionalità umana. E’ evidente che questo sapere scientifico non è e non può essere un sapere assoluto, giacché un sapere assoluto potrebbe essere solo la negazione della ricerca scientifica, essendo la verità della scienza una verità precisa e obiettiva ma relativa e problematica, una verità universale ma sempre suscettibile di approfondimento e revisione, per cui non c’è da meravigliarsi se anche la scienza, al pari di altre forme del sapere, avanza e progredisce tra incertezze ed errori.

Tuttavia, la scienza ha una prerogativa, che coincide essenzialmente con il suo compito e che nessun’altra forma di sapere o di pratica storico-umana può vantare: quella di produrre, come ha scritto il noto fisico Carlo Bernardini, elevati livelli di credibilità (AA.VV., Scienza e etica. Quali limiti?, Bari, Laterza, 1990, p. 23). Non semplicemente una qualche credibilità o una credibilità basata su una rivelazione religiosa, ma un’alta quota di credibilità perché fondata su ciò che ognuno, a certe condizioni di metodo, potrebbe verificare e constatare. Quella scientifica è una forma particolarissima e inconfondibile di credibilità e lo è soprattutto per il fatto che essa è il frutto di un metodo d’indagine o di più metodi di indagine che nascono, si modificano, si perfezionano e si espandono solo attraverso secolari e laboriosissimi processi e programmi di ricerca e attraverso studi individuali non solo intensi e impegnativi ma anche saldamente ancorati a collaudati e consolidati princípi conoscitivi che, adeguatamente applicati, e per quanto fallibili e mutevoli, favoriscono il costante incremento di ciò che si suole denominare rigore sperimentale e oggettività scientifica.

Naturalmente, allo sviluppo della metodologia scientifica e della scienza intesa come impresa razionale non sono estranei fattori extralogici e condizionamenti storico-ideologici che concorrono indubbiamente a determinarne, in misura variabile, ora i grandi rivolgimenti paradigmatici ora i mutamenti ordinari all’interno di diverse e circoscritte tradizioni di ricerca. Ma bisogna fare attenzione perché la verità razionale e oggettiva della scienza, è data, in senso specifico, proprio da quell’in più di esattezza che la scienza, attraverso dimostrazioni sempre più spregiudicate e sperimentazioni sempre più sensate, tenta continuamente e con alterna fortuna di ritagliare nel frastagliatissimo mondo dei pregiudizi e delle distorsioni mentali.

Contrariamente ad altre forme di sapere, che non sottopongono ad un controllo preventivo e sistematico le proprie costruzioni ideali o le proprie congetture, la scienza moderna fa del principio del controllo, quali che siano o possano essere le sue forme esplicative (accertamento, verifica, falsificazione e via dicendo), la condizione stessa della veridicità delle sue conoscenze. Essa pertanto è esatta in quanto è, in via formale, più esatta di altri tipi di approccio alla realtà del mondo e in quanto, pur non potendo vincere la sua inadeguatezza rispetto al mondo, si avvicina al mondo entro e non oltre modalità conoscitive che non si affidano al senso estetico o alla fede religiosa ma ad un’indagine critico-razionale rigorosa che non ammette altri criteri se non quelli dell’osservazione empirica e della dimostrazione logica. Che peraltro non significa esaltare la scienza rispetto alla fede o alla teologia, ma semplicemente distinguere i due campi come aveva già fatto Galilei per mezzo della sua famosa e saggia osservazione: la fede insegna «come si vada in cielo» mentre la scienza insegna «come vadano i cieli».

D’altra parte, se le strutture epistemiche della scienza moderna e contemporanea e della scienza tout court non fossero oggettive non ci sarebbe altra possibilità che l’anarchia di conoscenze necessariamente prive di oggettività ma proprio per questo tutte ugualmente legittime. Cosa, a quel punto, sarebbe realmente o propriamente conoscibile? Non è vero che, se non potessimo neppure ritenere di conoscere, nulla più sarebbe ragionevole e nulla sarebbe significativamente asseribile e comunicabile? A queste domande non può sfuggire l’odierno scetticismo antiscientifico e non solo antiscientista (che è un dogmatismo tra altri dogmatismi), neppure se o quando esso sia indotto da una fede religiosa non intesa correttamente o persino fraintesa. Infatti, una fede religiosa concepita e vissuta secondo la correttezza dell’intelletto e la rettitudine del cuore non può che prendere atto che nella scienza in quanto tale non vi è nulla di presuntuosamente prometeico ma solo la fatica e l’umiltà di un’indagine seria, difficile e illimitata che non può non dischiudere alla stessa fede religiosa orizzonti sempre nuovi di stupore e di ricerca spirituale.

Il credente in Cristo può solo lodare il Signore per aver elargito all’umanità un dono cosí straordinario come la capacità di organizzare e di unificare progressivamente molteplici e diversificate conoscenze disciplinari e specialistiche in funzione di una lenta ma graduale e sempre più universale conoscenza delle verità del mondo e della vita stessa dell’uomo. Il credente in Cristo, cosciente del fatto che non solo questo dono prezioso ma lo stesso dono supremo della fede può essere oggetto di un uso umano sbagliato o pericoloso, vede giustamente nella scienza un potente strumento di progresso umano, uno strumento che usato con spirito di carità, come auspicava Francesco Bacone, può essere molto utile a nobilissime cause di solidarietà e di civiltà, e anche per questo il cristiano non può che esprimere a Dio perenne gratitudine.

Ma se l’oggettività della scienza non può essere messa in discussione, alcune critiche, da parte di credenti e non credenti, possono essere concentrate sull’ambiguità della scienza: non su quella che può essere definita come la naturale ambiguità teorica della scienza, ma su quell’altra forma di ambiguità scientifica che, legata a certe possibili “degenerazioni” e a certi ipotetici “effetti perversi” dell’impresa tecnologico-scientifica, costituisce uno dei problemi più drammatici del nostro tempo. Non c’è dubbio infatti che la scoperta e l’uso dell’energia atomica e nucleare, le cosiddette manipolazioni genetiche, gli studi sulla riproduzione “artificiale” e le relative tecniche d’intervento, particolari forme di terapia intensiva e di trapianti d’organo, e insomma quanto di più avanzato e stupefacente esiste oggi sul piano della tecnoscienza, pongano problemi di natura morale civile e religiosa molto delicati e complessi. E molti ormai, e in modo particolare la Chiesa cattolica, pur non dichiarandolo apertamente, si vengono convincendo che sarebbe forse il caso di porre o di imporre dei limiti all’autonomia e alla libertà della ricerca scientifica in quanto tale, cioè proprio in quanto ipotetica attività rigorosamente conoscitiva. Ma, benché il più delle volte sia ormai impossibile tenere divisa la ricerca pura da quella applicata, in linea di principio non è corretto confondere la scienza come ricerca del vero, che va incondizionatamente sostenuta ed alimentata, con la scienza (in tal caso da sottoporre sí, ove possibile, a “verifiche esterne” rigide e tempestive) come utilizzazione più o meno strumentale e talvolta irresponsabile dello stesso vero.

D’altra parte, non è affatto semplice stabilire come e quando si debba intervenire per bloccare la ricerca, posto in via ipotetica che essa, oltre una certa soglia, possa diventare obiettivamente pericolosa, anche perché non si deve credere che la comunità scientifica, pur esposta storicamente ad errori clamorosi e a valutazioni discutibili anche sotto il profilo morale, non abbia al suo interno degli anticorpi capaci di contrastare tendenze e operazioni azzardate. Anche la comunità scientifica è provvista di un’etica, di un’etica laica generalmente diversa dall’etica religiosa ma rigorosa ed efficace.

Resta perciò ancora essenziale la tradizionale distinzione tra scienza e usi strumentali e distruttivi della scienza, e nel trovare sostanzialmente sensata e condivisibile oltre che suggestiva l’affermazione dell’epistemologo ungherese Imre Lakatos, secondo cui la scienza conosce l’errore ma non il peccato, a me pare evidente che una scienza soggetta ad atteggiamenti inquisitori di qualsivoglia natura sarebbe non solo impensabile ma anche non auspicabile per una storia umana che avverta realmente il bisogno di risolvere i suoi problemi razionalmente e ragionevolmente.

Si vuole sostenere che storicamente la scienza genera talvolta dei mostri o delle mostruosità? Ammesso che sia cosí, ma provarlo non è semplice, anche questa non sembra essere una buona ragione per rinunciare alla sua libertà o per invocare che la sua libertà sia limitata. Il problema è piuttosto quello di capire in che senso e perché la scienza possa favorire o determinare fenomeni di alienazione e di disumanizzazione. Il problema è quello di adoperarsi affinché la scienza sia sempre più libera e vada affrancandosi innanzitutto dall’assedio politico e tecnocratico cui continua ad essere pesantemente sottoposta. La scienza deve tener conto dell’etica, ma l’etica (religiosa e non) deve tener conto della scienza e delle sue implicazioni etiche (o anche religiose). E’ necessario che ciò accada, se non si vuole rischiare che la scienza sia prevalentemente un feticcio e che l’etica si dissolva in cupo e sterile moralismo, in un moralismo nemico della nostra stessa fede, la quale è amante della Sapienza che va oltre ma non contro la scienza.