Maria Grande Madre e Regina
Sulla Porta Santa in Vaticano può leggersi una frase in latino tratta da un antico inno: mutans Evae nomen. Il soggetto sottinteso è Maria di Nazaret e quindi il significato di questa brevissima frase è il seguente: Maria, colei che cambiò il destino o la sorte di Eva. Peraltro, i latini avevano scoperto che la parola Ave (Ave Maria) è l’inverso di Eva e che quindi l’Ave dell’annuncio angelico a Maria dovesse essere inteso come capovolgimento della triste sorte di Eva, che Adamo aveva chiamato cosí in quanto “madre dei viventi” e che dopo il peccato originale era invece diventata “madre dei viventi destinati a morire”.
In ogni caso è indubbio che, già all’inizio della creazione e quindi sin dalle prime battute bibliche, alla donna, sia nella sua versione trasgressiva e negativa sia soprattutto in quella non peccaminosa e gradita a Dio, viene riconosciuta una grandissima importanza nel quadro dell’economia della salvezza. Quell’Ave dell’annunciazione è dunque il recupero della donna in una storia non più di perdizione ma di salvezza, l’inizio e in un certo senso già il compimento della storia della Grande Madre che protegge i viventi dai pericoli, dal peccato e dalla morte. La Grande Madre è una donna potente perché è colei che trasmette e custodisce la Vita del Signore, la quale è poi fonte della vita di tutto e di tutti: ella è la Madre del Re e dunque non è più nemica di Dio, come lo era stata o potrebbe sempre esserlo Eva, ma sua intima e fedele collaboratrice. In tal senso è anche la sua Sposa, è la Regina del creato, colei che, pur creatura, più di altri è destinata a condividere il destino regale ed immortale di Dio.
Eva aveva parlato con il serpente e aveva ceduto alle sue lusinghe: il serpente, nella simbologia egiziana, è simbolo di potere umano tanto è vero che il faraone sulla tiara porta proprio l’immagine del serpente. Dunque Eva cede alla tentazione di pensare che sia possibile un potere e quindi anche un sapere esclusivamente umani che possano renderla completamente indipendente da Dio. Eva diventa perciò madre carnale di un’umanità già atea, già restìa ad ascoltare e ad obbedire al Signore, già indifferente e anzi ostile alla vita che Dio ha programmato ab aeterno per essa, mentre Maria subentra nel piano salvifico di Dio come madre spirituale di un’umanità consapevole del suo distacco da Dio e bisognosa di superare tale distacco attraverso una vita di pentimento, di contrizione, di conversione continua, pur nella fiduciosa attesa di poter essere alla fine riscattata dal sacrificio universale e redentivo del Re Messia tanto agognato e vincitore del male.
Ma non è che Maria sia una creatura ontologicamente diversa da Eva. Ha la sua stessa umanità, la sua stessa intelligenza, la sua stessa sensibilità, la sua stessa capacità di discernimento, i suoi stessi limiti umani e il suo stesso desiderio di felicità. Solo in una cosa se ne diversifica profondamente: nel modo di percepire e usare tutto ciò, nelle scelte che compie e che compie chiedendo di essere illuminata e fortificata da Dio, da cui non vuole separarsi per inseguire forme illusorie di felicità ma al quale intende rimanere umilmente fedele per poter godere solo della sua presenza e del suo amore.
Maria è la “piena di grazia” non solo perché gode del favore divino ma anche perché, nella sua semplice ed ingenua umanità, avverte proprio un bisogno radicale e inestinguibile della grazia di Dio attraverso una vita conforme ai suoi comandamenti. Se Maria è la prescelta di Dio, non c’è nessun altro e nient’altro che ella ami come Dio. Ella viene riempita di una grazia che non fa altro che chiedere da quando viene al mondo nella preghiera, nella lode al Signore e in una condotta irreprensibile di vita. Ma il suo particolare stato di grazia non impedisce a Maria di farsi avvocata presso Dio di Eva e di tutti i figli che Eva ha generato e genera storicamente, perché Maria esprime una maternità regale che proprio per questo non è né “aristocratica”, né elitaria, né ricercata, né insomma umanamente irrealistica, ma semplice e schietta, amorevole e generosa, alla portata della donna cosí come è stata pensata archetipicamente da Dio.
Maria pertanto non resta separata da Eva ma continua ad essere unita ad Eva per aiutarla a fare chiarezza in se stessa, a risalire dall’abisso di vanità e di superbia in cui è precipitata, a recuperare il suo giusto rapporto con Adamo e con il resto dell’umanità in Cristo e per mezzo di Cristo. Maria è la nuova Eva ma non nel senso che la prima Eva, quella stessa Eva che in qualche modo continua ad abitare in ogni donna della storia e del tempo stesso in cui viviamo, sia da lei sentita come una figura ormai abietta e irrecuperabile bensí nel senso che si pone accanto ad essa non per mortificarla spiritualmente ma per indicarle un nuovo percorso esistenziale fatto di autonomia intellettuale e morale nell’ascolto della Parola fattasi carne e nell’obbedienza ad un Dio che tiene talmente alla nostra felicità da sacrificare se stesso su una croce.
La nuova Eva, in ossequio ai piani redentivi di Dio, non vuole e non chiede la morte della vecchia Eva ma opera per la sua guarigione e la sua resurrezione, cosí come non vuole e non chiede la dannazione dei figli che ha generato ma la loro rinascita in Cristo, nel Figlio prediletto dei figli stessi di Dio. Maria però, nell’accettare di diventare Madre di Dio, non sapeva ancora che il suo destino sarebbe stato anche quello di diventare Madre dell’Umanità per volontà di suo figlio Gesù e del suo antico Dio. Dentro di sé aveva questa capacità, questa disponibilità, ma solo dalla bocca semichiusa del figlio agonizzante apprende che il Padre e il Figlio nell’unità dello Spirito Santo ne avevano decretato da sempre il ruolo di Grande Madre e Regina di tutta l’umanità.