La suora e Maria

Scritto da Marcello Zanfarino on .

 

Sarebbe motivo di grave sconforto per le donne e non di incoraggiamento se la Madre di Dio, nonostante gli sforzi dei pontefici e della Chiesa volti a tracciarne un esempio altissimo ma non irrealistico di femminilità, non fosse in realtà abbordabile o accessibile da parte delle donne di tutti i tempi e fosse da esse percepita come donna sostanzialmente irraggiungibile perché troppo “immacolata” ed incontaminata. Questo è il senso della preoccupazione che ispira il ritratto di Maria tracciato di recente da suor Maria Caterina Gatti dell’Istituto dei Servi del Cuore Immacolato di Maria (Maria, bellezza della donna, in Zenit del 6 ottobre 2011). 

Maria, in realtà, «era una donna nel senso pieno della parola, era uguale in umanità a tutte le donne». Perché? Perché, come già Giovanni Paolo II aveva osservato nella “Redemptoris Mater”, ella era “una persona libera e attiva”, una persona che dice sí all’angelo ma che avrebbe potuto dire anche no (quindi da donna libera), e una persona che non si offre come “uno strumento passivo” o come un semplice “burattino” nelle mani di Dio bensí come soggetto consapevole e responsabile che manifesta la propria volontà di collaborare con lui ovvero con quel Dio che aveva sempre amato sino al punto di rinunciare ad amare altri e a diventare madre (quindi da donna assolutamente attiva). Maria dunque fu perfettamente libera di percorrere tutta la sua esistenza in Dio e in funzione di Dio senza costrizioni o condizionamenti di sorta e fu altrettanto autonoma di agire nel nome e per conto di Dio senza che uno solo dei suoi atti di vita risultasse alla fine meccanico o scontato.

Certo, andò sempre «controcorrente rispetto a quello che il mondo pensa», rispetto ad una diffusa e nociva mentalità farisaica, rispetto ad una religiosità vuota e meramente ostentata, rispetto a tutte le vanità di un certo mondo femminile, ma non è forse possibile anche oggi per donne timorate di Dio e anzi di Dio amanti senza riserve imitarne il comportamento modesto, riservato, dignitoso, privo di pretese e di aspirazioni mondane, virtuoso e capace di impostare santamente il rapporto con gli altri e con Dio stesso? O si dirà che la secolarizzazione impedisce ormai alle donne di essere timorate di Dio e di amarlo senza riserve?

Se è difficile per le donne contemporanee amare Dio incondizionatamente, lo fu anche per Maria, perché ella prima di conoscere Giuseppe non passò certo inosservata come donna e non fu ignara degli effetti prodotti sugli uomini del suo ambiente dalla leggiadra bellezza della sua persona e del suo incedere, ma si sposò con Giuseppe per sposarsi con Dio e gli rimase sempre fedele per rimanere sempre fedele al suo Dio; perché ella, pur sapendo di essere madre del più potente dei re, visse sempre nell’ombra e nell’umiltà subendo anzi terribili umiliazioni e persino qualche apparente rimprovero del suo Figlio divino; perché la sua fede era cosí poco stereotipata, cosí umana, cosí sincera e profonda, da rischiare talvolta, benché prediletta dall’Altissimo, di forzare persino la volontà di Dio. Era difficile anche per Maria ma ella riuscì ad amare Dio incondizionatamente.

Non è vero dunque che oggi una donna cristiana, e non necessariamente ben istruita o colta, non possa corrispondere, proprio come Maria, alla divina volontà anche e soprattutto nelle difficoltà e nelle pene della vita. Ovviamente ogni donna, come ogni uomo, deve ottemperare al Signore in modo intelligente e responsabile: ognuno tenendo conto della specificità della sua condizione. Chi è sposa e madre  farà la volontà di Dio innanzitutto se sarà sposa fedele che si occupa principalmente della famiglia e dei figli e non se, per esempio, dopo il lavoro giornaliero o indipendentemente da esso riterrà di fare 4 o 5 ore di volontariato o di lavoro sindacale o di attività parrocchiale lasciando «i bambini a casa da soli, magari davanti al televisore che troppe volte funziona da “baby sitter”» o trascurando comunque i valori più fondanti ed intimi della propria vita, perché, come dice suor Maria Caterina, «la carità va fatta al prossimo, ma non dimentichiamoci che il prossimo è proprio colui che vive accanto a noi, quindi per voi donne sono i vostri mariti e i vostri figli. E questa missione va svolta, sull’esempio di Maria Santissima, con gioia e con disponibilità al sacrificio».

Le donne poi anche oggi possono essere gentili e premurose come lo fu Maria, quando per esempio andò a far visita alla cugina Elisabetta, e sempre attente all’ascolto e a prendersi cura di quelli che vivono con noi o lavorano con noi anche quando essi non manifestino apertamente i propri bisogni, come fece Maria alle nozze di Cana.

Ma possono essere capaci anche di tacere dinanzi ad avvenimenti che non si comprendano appieno (Maria fu capace di tacere quando il figlio dodicenne le rispose “non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”) invece di sbraitare istericamente o collericamente: «Tante volte bisogna anche saper tacere, stare in silenzio, non rispondere impulsivamente al marito che arriva stanco dal lavoro e magari è un po’ nervoso, a quella collega di lavoro che si comporta magari un po’ sgarbatamente con voi perché non condivide il vostro modo di pensare o agire dettato dalla fede in Cristo».

Dolcezza, amabilità, affabilità: nessuno, neppure Maria, trova queste doti preformate geneticamente nel suo DNA, perché esse devono essere volute e devono essere conquistate faticosamente ogni giorno e non solo quando si ha a che fare con “persone che contano” ma anche e soprattutto quando i nostri interlocutori sono persone modeste, provate dalla vita, anonime e sconosciute, di nessunissima influenza per le nostre esistenze personali. Suor Maria Caterina, cui va la nostra riconoscenza per aver evidenziato con semplicità ed acume tratti essenziali di Maria in quanto "donna", forse dimentica o omette solo una virtù mariana: quella per cui ci sono momenti in cui bisogna alzare la voce per lodare pubblicamente il Signore e per ricordare a tutti che egli è nemico dei superbi e dei prepotenti, dei ricchi impenitenti e dei gaudenti, mentre è amico degli oppressi, dei sofferenti e degli umili di cuore. Non è questa la natura dell’amore divino che viene celebrata da Maria nazarena nel suo grandioso Magnificat?