Se Küng tacesse
Adesso Küng ha stancato. Nessuno nega la sua cultura teologica, il suo acume e la sua profondità di analisi, ma quando le idee diventano ossessive fino a non poterne fare più a meno e a reiterarle maniacalmente con un frequente ed insano piglio narcisistico, finiscono per perdere autorevolezza e credibilità. Nel suo ultimo libro “Salviamo la Chiesa” pubblicato da Rizzoli, Küng, malgrado il titolo, torna ad esercitarsi nella non difficile arte di buttare fango sulla Chiesa in un modo cosí smodato e plateale che francamente anche gli osservatori più prudenti non possono ormai non vedere come tutto ciò che il teologo tedesco scrive in realtà non esprima il suo amore per la Chiesa ma piuttosto la sua infantile avversione per una comunità ecclesiale cattolica che lo tratta a ragion veduta con diffidenza e con sempre maggiore distacco.
Egli, come al solito, anche qui viene discorrendo di abusi sessuali e della crisi cattolica sostenendo che l’origine o la causa dell’attuale malattia della Chiesa sarebbero «il monopolio del potere e della verità, il clericalismo, la sessuofobia e la misoginia» (Il manifesto di Küng, in “La Repubblica” dell’1 ottobre 2011). Nel “manifesto” appena citato egli, pur non avendo mai atteso che altri lo sollecitasse a parlare male della Chiesa, afferma in modo grottesco di non potersi assumere «la responsabilità di tacere» sulla crisi ormai «sistemica» della Chiesa e della sua leadership «che richiede una risposta su basi teologiche», su basi teologiche, non morali, non spirituali: perché? Ma perché a questo teologo sembra non importare tanto l’effettivo risanamento morale e spirituale della Chiesa quanto il fatto che in essa sia finalmente riconosciuto diritto di cittadinanza alle sue idee e alla sua persona in primis.
Küng, al di là dei meriti o demeriti strettamente teologici, è un esempio luminoso di cristianesimo ipocrita e individualistico che, pur tutto puntato su uno studio attento e rigoroso delle dinamiche spirituali ed istituzionali della Chiesa, non è né privo di malizia né di un sordo risentimento personale che nella oggettiva crisi di quest’ultima trova terreno fertile sia pure nel nome della fede per rovesciarsi pesantemente sulle sue gerarchie centrali e in particolare sulla figura del pontefice. Dov’è infatti lo spirito cristiano di carità in affermazioni accesamente polemiche come la seguente: «La straordinaria messinscena delle grandi manifestazioni e dei viaggi papali (organizzati di volta in volta come "pellegrinaggi" o "visite di Stato"), tutte le circolari e le offensive mediatiche non riescono a creare l'illusione che non si tratti di una crisi durevole. Lo rivelano le centinaia di migliaia di persone che solo in Germania nel corso degli ultimi tre anni hanno abbandonato la Chiesa cattolica, e in genere la distanza sempre maggiore della popolazione rispetto all'istituzione ecclesiastica»?
Sembra che Küng abbia sempre un conto aperto con il vecchio collega di università Ratzinger e non perde occasione per lanciargli contro i suoi strali velenosi. Nell’articolo citato, per esempio, dice che non avrebbe scritto un nuovo libro «se si fosse avverata la speranza che papa Benedetto avrebbe indicato alla Chiesa e a tutti i cristiani la strada per proseguire nello spirito del concilio Vaticano», mentre al contrario «ha continuato con testardaggine sulla via della restaurazione tracciata dal suo predecessore, prendendo le distanze dal concilio e dalla maggioranza del popolo della Chiesa in punti importanti e ha fallito riguardo agli abusi sessuali dei membri del clero in tutto il mondo»; se i vescovi, inoltre, si fossero dimostrati più responsabili e attivi verso e contro il potere centrale della Chiesa mentre «la maggior parte di loro è tornata al ruolo di funzionari, semplici destinatari degli ordini vaticani, senza dimostrare un profilo autonomo e un'assunzione di responsabilità»; se infine «la categoria dei teologi si fosse opposta con forza, pubblicamente e facendo fronte comune, come accadeva un tempo, alla nuova repressione e all'influsso romano sulla scelta delle nuove generazioni di studiosi nelle facoltà universitarie e nei seminari», mentre «la maggior parte dei teologi cattolici nutre il fondato timore che, a trattare criticamente in modo imparziale i temi divenuti tabù nell'ambito della dogmatica e della morale, si venga censurati e marginalizzati. Solo pochi osano sostenere la KirchenVolksBewegung, il Movimento popolare per la riforma della Chiesa cattolica diffuso a livello internazionale».
Senza voler a tutti i costi negare che qua e là qualche elemento di verità possa anche esserci, ci si chiede francamente se un cristiano, e per giunta teologo e prete, non possa esprimere tali concetti in un diverso modo, in un modo meno categorico o perentorio, e con toni meno astiosi e offensivi, perché è vero che bisogna dire “sí, sí, no, no” ma è altrettanto vero che occorrerebbe essere “candidi come colombe” mentre Küng, con le sue frequenti impennate personalistiche, appare tutt’altro che candido.
Küng continua a reclamare le riforme di cui ormai la Chiesa avrebbe assoluta necessità e ci tiene a far sapere, senza che sia peraltro verificabile l’attendibilità di quel che sostiene, che da «più parti mi pregano e mi incoraggiano di continuo a prendere una posizione chiara sul presente e il futuro della Chiesa cattolica. Cosí, alla fine, invece di pubblicare articoli sparsi sulla stampa, mi sono deciso a redigere uno scritto coeso ed esauriente per illustrare e motivare ciò che, dopo un'attenta analisi, considero il nocciolo della crisi: la Chiesa cattolica, questa grande comunità di credenti, è seriamente malata e la causa della sua malattia è il sistema di governo romano che si è affermato nel corso del secondo millennio superando tutte le opposizioni e regge ancora oggi. I suoi tratti salienti sono, come sarà dimostrato, il monopolio del potere e della verità, il giuridismo e il clericalismo, la sessuofobia e la misoginia e un uso della forza religioso e anche profano. Il papato non deve essere abolito, bensí rinnovato nel senso di un servizio petrino orientato alla Bibbia. Quello che deve essere abolito, invece, è il sistema di governo medievale romano. La mia "distruzione" critica è perciò al servizio della "costruzione", della riforma e del rinnovamento, nella speranza che la Chiesa cattolica, contro ogni apparenza, si mantenga vitale nel terzo millennio».
Anche noi naturalmente speriamo che la Chiesa cattolica “si mantenga vitale nel terzo millennio”, anche se dubitiamo profondamente che la sua futura vitalità possa affidarsi a riforme talvolta molto discutibili (come per esempio il sacerdozio femminile o il matrimonio dei preti già consacrati), per nulla evangelicamente fondate e invocate da Küng solo nel nome di uno sterile e demagogico democraticismo ecclesiale che è radicalmente estraneo alla pratica della collegialità ecclesiale correttamente intesa. Perciò se Küng fosse cosí umile non già da sparire dalla scena pubblica ma da non ritenersi indispensabile, se egli decidesse di placare i suoi bollenti spiriti non inondati ancora probabilmente di Spirito Santo e di tacere ogni tanto per consentire ad altri figli meno celebri della Chiesa di far sentire la propria voce, i buoni cattolici certo gli sarebbero grati e potrebbero leggere i suoi scritti con maggiore serenità e maggior profitto.