Riformare la Chiesa secondo Cristo

Scritto da Mimmo Giuliani on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Mi chiedo «come sia stato possibile a partire da Gesù di Nazaret costruire nella storia un apparato religioso di potere e di sacralità che solo in modo vago, intermittente, sfuocato e distorto si riferisce a lui, di fatto oscurando e tradendo la sua persona e il suo messaggio rivoluzionario, nel senso più profondo e concreto della parola… Mi chiedo spesso dove sia Gesù di Nazaret, cosa c’entri lui non solo con l’apparato del potere, ma anche con le solennità delle celebrazioni liturgiche che per i paramenti, l’ostentazione, il ritmo, le parole, i gesti, sono separate dalla vita, dalle storie delle persone. Cosa c’entri lui con i titoli di Sua Santità, Eminenza, Eccellenza, Monsignore; lui che ha vissuto in modo semplice e diretto, ha incontrato le persone, ha parlato con loro in modo completamente differente. Cosa c’entri lui con residenze di lusso, con tante proprietà immobiliari finalizzate non certo ai poveri, con le frequentazioni con i ricchi, i potenti, i diplomatici del potere. Ancora, cosa c’entri lui con una dottrina confezionata e sigillata, con un insegnamento che più volte non accoglie e non conforta, ma umilia e allontana… Credo in una Chiesa che si liberi una volta per sempre dei titoli nobiliari, di abiti che appartengono ad altre epoche, in cui il papa, i cardinali, i vescovi, i preti, le donne e gli uomini appartenenti agli ordini religiosi abitino case dignitose ma modeste ed essenziali. Credo in una Chiesa che anche quando celebra l’eucaristia non esibisce una solennità fine a se stessa. Credo nella Chiesa dei profeti e dei martiri, non dei funzionari. Credo in una Chiesa povera, essenziale, sobria. Credo in una Chiesa umile e forte della forza dello spirito». Questa è l’interrogazione apparentemente sensata di un sacerdote e parroco di Udine (Pierluigi Di Piazza, Fuori dal tempio. La Chiesa al servizio dell’umanità, Laterza 2011). 

Poi però egli aggiunge: «Credo in una Chiesa pluralista formata da uomini e donne con pari possibilità ministeriali: dal sacerdozio al diaconato...Credo nella Chiesa cattolica, cioè universale, che si esprime nelle diverse situazioni con la pluralità e l’autonomia delle teologie, delle liturgie. L’unità dovrebbe essere data non dalla gerarchia, non dalla disciplina, bensí dall’unica fede in Gesù e nel suo Vangelo, dalla coerente testimonianza che la rende credibile». E allora si capisce che, pur volendo condividere il commento di Aldo Maria Valli (Che bella la Chiesa senza titoli nobiliari, in “Europa” del 12 novembre 2011), per cui rispetto «a tanti libri che denigrano la Chiesa, questo», cioè quello del parroco di Udine, «ha il sapore della verità perché l’autore parla per amore e per costruire, non per odio e per distruggere», anche in questo caso non sussiste una inoppugnabile  chiarezza di idee, perché quel che qui si dà per scontato, ovvero il concetto di “Chiesa pluralista” e di “pari possibilità ministeriali” per uomini e donne, l’accettazione della “pluralità e dell’autonomia delle teologie e delle liturgie” nel nome della cattolicità della Chiesa, la tesi dell’unità dei cattolici e dei credenti in Cristo da assicurare o perseguire non “su base gerarchica e disciplinare” ma solo in virtù “della stessa fede in Gesù e nel Vangelo” e di una “coerente testimonianza che la renda credibile”, in realtà è molto più problematico e discutibile, molto meno “controcorrente” e conformistico, di quanto non sembri al sacerdote di Udine e al giornalista che ne commenta l'opera.

Certo, Gesù non sopportava la “religione del tempio”, ed è possibile che anche oggi prenderebbe le distanze da molta scenografia e coreografia liturgiche e anche da molta “ideologia sacrale” e da molta ipocrisia religiosa che si annidano nella sua Chiesa, ma io non comprendo perché mai ognuno di noi, e ognuno di noi non solo è parte della Chiesa ma è Chiesa, non dovrebbe avere la concreta possibilità di seguire ancora una volta l’esempio e il monito di Gesù, contribuendo con i fatti, ovvero con la parola e con la vita, e non già con semplici o personalistiche recriminazioni polemiche, a rinnovare la Chiesa stessa; inoltre mi chiedo quale relazione logica vi sia tra questa presa di posizione parzialmente giusta contro “la religione del tempio”, che potrebbe minare effettivamente la credibilità della nostra Chiesa, con l’affermazione decisamente generica ed ambigua che “l’esemplarità della vita sacerdotale” non sarebbe nella sua “separatezza” ma nel libero dispiegamento dell’“affettività” e della “sessualità” del sacerdote al quale a torto verrebbe imposto dalle gerarchie ecclesiastiche “l’ossessivo allontanamento della donna, considerata un pericolo per il sacerdote separato dagli altri”. Una relazione probabilmente c'è ma di natura così emotiva da rimanere confinata quasi interamente nella mente di chi l'ha enunciata.

 Il sito che mi ospita in più di un’occasione ha fatto luce sulla complessità di certe questioni psicologiche, spirituali ed ecclesiali, richiamando l’attenzione sulla possibilità che, sebbene si dichiari di voler rigenerare la Chiesa, a volte si finisca per prendere scorciatoie o strade scivolose che, se realmente percorse, potrebbero renderla anche peggiore di quello che è; per cui non mi sembra qui opportuno riprendere e approfondire criticamente il discorso, quantunque sia certo che la demagogia possa insinuarsi pure nei ragionamenti di chi, come in questo caso, si richiami a figure indubbiamente eccellenti di “testimoni credibili del vangelo” (anche se l’ultima parola spetterà pur sempre a Dio giudice) quali don Lorenzo Milani, padre Turoldo, don Tonino Bello o lo stesso padre Balducci, e infine all’eroico vescovo Romero. E parlo di demagogia non perché non sia corretto sottolineare «la laicità di Dio, il suo venire al mondo nella povertà, senza pretendere luoghi speciali, da una ragazza qualunque e da un padre lavoratore» e ancora il fatto che questo Dio è sempre stato “in mezzo” agli uomini e non “separato” da essi (e tuttavia si può anche dire che egli abbia vissuto “separato” dagli o tra gli uomini pur vivendo con essi, tra essi e per essi), «partecipe, mai lontano, impassibile e neutrale», ma perché questo stesso Dio non può essere usato poi, come purtroppo accade di fare allo stesso Di Piazza, per accusare in modo unilaterale la gerarchia ecclesiastica di autoritarismo anche in ordine a questioni in vero molto delicate e complesse quali quelle bioetiche e della fine della vita

Qui mi viene in mente il libro di un altro prete: quello del siciliano don Gerlando Lentini (Prete, soltanto prete, Progetto Editoriale Mariano, Padova 1994). Anche questo libro è un esempio di spirito critico ma più in rapporto alla questione di definire la vera identità del sacerdote che non in rapporto ad un’esigenza storico-culturale di contestare gli assetti storico-teologici e le strutture istituzionali dell’intera Chiesa cattolica. Infatti, anche don Lentini ritiene che i preti non siano o non debbano essere semplici «burocrati della grazia di Dio…: se il prete non fa il prete, se si lascia incantare da altre professioni o occupazioni che non gli competono e non rientrano nel suo ministero sacerdotale, ha già imboccato una strada che può portarlo all’abbandono o al tradimento del Sacerdozio», e con Georges Bernanos esprime e ribadisce il convincimento per cui «sono i preti mediocri», ovvero i “cattivi preti”, a rovinare «il mondo»: «io chiedo al sacerdote di darmi Dio, non solo di parlarmi di Dio. Non sottovaluto il ministero della parola, ma per me la predica più efficace del prete è sempre stata la sua vita».    

Ecco: quali che siano lo stato della Chiesa, i suoi limiti, le sue contraddizioni, le sue carenze spirituali, un prete, se è tale, si sforza innanzitutto di essere degno del compito sacramentale che gli è stato affidato e di conseguenza riesce sempre a trovare il modo di offrire il suo apporto alla rigenerazione e al perenne ringiovanimento evangelico dell’assemblea ecclesiale universale, senza scelte di campo troppo chiassose e, quel che è peggio, troppo asservite a logiche sensazionalistiche cui talvolta anche i preti sono soggetti. Com’è noto, ecclesia semper reformanda, ma il problema è che essa sia riformata secondo Cristo e non secondo interpretazioni “libere” o disinvolte dei vangeli e della stessa tradizione della Chiesa.

Il che ovviamente non implica che il libro del parroco di Udine non meriti considerazione e non costituisca un’utile opportunità di riflessione evangelica per noi tutti: purché si sia consapevole del fatto che, diversamente da ciò che sembra suggerire il titolo di tale libro, anche «fuori del tempio» e di qualunque tempio non è affatto sicuro o incontrovertibile che la Chiesa si porrebbe più speditamente e genuinamente al servizio dell’umanità in cammino.