Maria e i poeti "irregolari"
Prima o poi anche gli atei sperimentano il potere spirituale di Maria. Possono certo resistere a tale potere ma solo dopo aver sentito il proprio cuore turbarsi o commuoversi in modo inatteso al pensiero della Madre di Dio. Almeno questo è il convincimento che può trarsi dal vissuto poetico e dal vissuto tout court di alcuni famosi poeti laici “irregolari”, noti come liberi pensatori e particolarmente critici verso la religione e la Chiesa cattolica oltre che per la loro vita oltremodo sregolata e dissoluta. Nella loro produzione artistica la Madre di Dio è presente non solo in senso estetico (Maria come simbolo di bellezza universale) ma anche e soprattutto in senso biblico e teologico (Maria come madre di amore e di misericordia). Maria cioè vi figura come motivo reale di conforto e di speranza per le loro stesse esistenze su cui sentono incombere il peso della solitudine, dell’inquietudine e della perdizione. In un articolo relativo alla presenza di Maria nei cosiddetti “poeti maledetti”, pubblicato nel maggio del 1999 sulla rivista “Civiltà cattolica” dal padre gesuita Ferdinando Castelli, si trovano indicazioni molto interessanti.
Poiché Maria è il riflesso creaturale più alto e puro del suo figlio divino e quindi della sua bellezza in tutti i suoi aspetti, ella, bellezza creata, non può non essere un richiamo per tutti, essendo tutti «fatti per la Bellezza e da essa irresistibilmente attratti». Come scriveva Gregorio Palamas, «occorreva che Colei che avrebbe partorito il più bello tra i figli dell’uomo, fosse Lei stessa di una meravigliosa bellezza». Maria è bella in senso estetico, Maria è bella anche in senso spirituale e teologico: è madre della bellezza ed è anche madre di amore e di misericordia. E, poiché non c’è nessuno che non abbia bisogno di bellezza, di amore e di misericordia, e alla fine (consciamente o inconsciamente) di salvezza, ecco che ella si impone all’attenzione e alla riflessione spirituale di una grandissima quantità di persone, ivi compresi molti atei, molti “laici” non credenti o pagani, molti individui ritenuti, secondo un luogo comune di presunta natura religiosa, disgraziati o addirittura “maledetti”.
Nel caso specifico, ci si riferisce ad un congruo numero di poeti che in tutte le epoche della storia moderna e contemporanea sono stati affascinati e rapiti dalla figura di Maria. Si pensi ad un grande poeta francese quattrocentesco come François Villon, un povero “scapestrato” benché potesse fregiarsi del prestigioso titolo di maître des arts: dopo aver ucciso un prete ed essere fuggito da Parigi, vi fece ritorno perché graziato dal re ma dovette nuovamente lasciare la sua città nativa a causa di un furto di 500 scudi compiuto con alcuni complici nel Collegio di Navarra. La sua fu un’esistenza errabonda e infelice, sempre segnata da misfatti e relative prigionie. Venne persino condannato a morte nel 1462, all’età di appena 32 anni, anche se poi la pena di morte venne commutata nell’esilio. Da allora non se ne seppe più niente. Villon era un passionale, un violento, anche se dotato di acuta e spesso lucida intelligenza. Ma nella sua vita interiore trovano spazio anche sentimenti positivi come «l’affetto per la madre, i rimorsi e i rimpianti per la vita passata, la nostalgia del bene, il ricorso alla Santa Vergine».
Nella “Ballata per pregare nostra Signora”, composta da Villon per la propria madre, che era una donna semplice e devota, in realtà i sentimenti riferiti da lui a quest’ultima sono, almeno in parte, i suoi stessi sentimenti. Questa composizione si conclude con i seguenti versi: «O dolce Vergine, o principessa, tu portasti/Gesù, il re, il cui regno non ha mai fine./L’Onnipotente assunse la nostra debolezza,/lasciò i cieli e venne in nostro soccorso,/offrí alla morte la sua cara giovinezza./Questo è il Signore, cosí lo confesso:/in questa fede voglio vivere e morire».
Anche altri due poeti quattrocenteschi, ovvero gli umanisti Lorenzo il Magnifico e Angelo Poliziano, non certo noti come ferventi spiriti religiosi, non sono indifferenti a Maria. Il primo infatti non ha scritto solo i licenziosi Canti carnascialeschi ma anche le Laudi spirituali tra cui è compresa Ciascun laudi te, Maria. Pur imbevuto di spirito epicureo e bacchico, in questa lode Lorenzo coglie in Maria una alternativa di vita in cui la natura umana ha la possibilità di rinascere e di riscattarsi dal peccato e dalla miseria morale. Egli è cosí preso dalla non svenevole e non effimera dolcezza della Madre di Dio, cosí ammirato della sua virile e composta femminilità, che giunge a lodare il peccato originale (felix culpa) perché esso rese necessaria la nascita di Cristo da questa incantevole creatura, di cui l’uomo non può non innamorarsi visto che Dio stesso se ne è innamorato: «O felice la terribile/Colpa antiqua e ‘l primo errore,/Poi che Dio fatto ha visibile/Ed ha tanto Redentore!...».
Ugualmente Poliziano, anche lui legato al motivo “del tempo che fugge” e “della rosa che sfiorisce”, percepisce in Maria un solido punto di riferimento per tutti coloro che, pur sentendosi assediati dal male, aspirano ad un mondo di purezza e di pace: «Tu sei degli affannati buon conforto,/e al nostro navil se’ vento e porto./O di schietta umiltà ferma colonna,/Di carità coperta/Accetta di pietà gentil madonna,/Per cui la strada aperta,/Insino al ciel si vede,/Soccorri a’ poverelli,/Che son fra lupi agnelli,/e divorar ci crede/L’inquieto nimico che ci svia,/Se tu non ci soccorri, alma Maria».
Benché poeta “pagano”, com’egli stesso volle più volte definirsi, Wolfgang von Goethe ha scritto versi che non è eccessivo giudicare mariani: «Dominatrice altissima del mondo,/Fammi, nell’azzurro/Spiegato padiglione del cielo,/Contemplare il tuo segreto./Accogli quanto il petto dell’uomo/Di vivo e di tenero agita,/E con un santo piacere/ Verso di te lo trae». E poi: «Invitto è il nostro coraggio,/Quando tu imperi dall’alto;/Sull’istante ci si mitiga l’ardore,/Quando tu ci dai la pace./Vergine, pura nel più alto senso,/Madre degna di onore,/A noi eletta regina,/Nata pari a un dio (...)». E ancora: «A te, Immacolata,/Non disconviene/Che chi con poco si lasciò sedurre/ Familiarmente si accosti./Travolte dalla fragilità/Si salvano a fatica:/Chi può spezzare di forza propria/Le catene del piacere? (...)».
Tra coloro che si sentirono attratti dalla figura di Maria, troviamo persino due poètes maudits, poeti maledetti, quali Paul Verlaine (autore nel 1884 della prima edizione di un’opera per l’appunto cosí intitolata) e Arthur Rimbaud. La vita di Verlaine fu una vera e propria “tempesta”, secondo la sua stessa definizione. Questo è il commento di padre Ferdinando Castelli al riguardo: «Tempesta di avventure degradanti, d’incontri sordidi, di malattie fisiche e morali, ma anche di nostalgia di redenzione e di sforzi per scuotersi di dosso il fango. Devastante fu particolarmente la sua amicizia ambigua con Arthur Rimbaud, che si concluse con due anni di carcere. Nel silenzio della prigione Verlaine avvertì tutta la vergogna della sua vita, e si convertì, deciso a far riemergere il fuoco del suo battesimo dal "mucchio di cenere" del suo passato. E per un certo tempo restò fedele agli impegni della conversione. Ma le vecchie abitudini lo travolsero, e finì per rassegnarsi alla sua degradazione. Prima di morire, fece chiamare un confessore per ricevere il sacramento della riconciliazione». In un quadro esistenziale cosí tragicamente movimentato si trova un momento particolarmente toccante e persino sorprendente: quello in cui Verlaine dedica una lirica alla madre di Cristo che, compresa nella sua più nota raccolta poetica intitolata Sagesse, «resta tra le sue cose più belle». Basti citare solo alcuni versi per rendersene conto: «Voglio amare ormai solo Maria/…Solo per Lei ho cari i miei nemici,/Per Lei ho promesso questo sacrificio,/E la mitezza di cuore e lo zelo al servizio,/ Fu Lei a concederli, a me che la pregavo/…E poi ch’ero debole ancora e malvagio, vili le mie mani/Gli occhi abbacinati dalle strade,/Ella mi chinò gli occhi, mi giunse le mani/ E m’insegnò le parole che sanno adorare./…Voglio ormai pensare solo a mia madre Maria,/ Sede della Saggezza, fonte di ogni perdono,/…Maria Immacolata, amore essenziale,/Logica della fede cordiale e vivace,/Amando voi, ogni bontà non è forse possibile,/ Amando voi, Soglia del cielo, unico amore?».
Quanto a Rimbaud, amico e amante dello stesso Verlaine, bisogna ricordare qui la sua lirica, in versi latini, alla Santa Vergine, intitolata Il sangue e le lacrime, anche se questa composizione non raggiunge gli stessi livelli di umanità e spiritualità propri della poesia di Paul Verlaine. Abbastanza vicino alla intensa preghiera mariana di Verlaine è invece uno scrittore vissuto tra secondo ottocento e primi anni del novecento, ovvero J.K. Huysmans, anche lui uno spirito inquieto e spesso coinvolto in esperienze terribili come quella in cui subí l’attrazione del satanismo. Alla fine, fortunatamente, voltò le spalle alle “messe nere” e preferì buttarsi “ai piedi della croce”: dopo essersi convertito rimase fedele a Cristo e morí con tutti i conforti religiosi. Il personaggio Durtal (in cui egli si immedesima) del suo romanzo La cathédrale, ad un certo punto prega Maria in questo modo: «Ah, Vergine santa, santa Vergine, abbiate pietà delle anime che si trascinano tanto pietosamente quando non sono più attaccate alle vostre vesti. Abbiate pietà delle anime indolenzite per le quali ogni sforzo è una sofferenza. Abbiate pietà delle anime che nulla riesce a sgravare e che sono afflitte da tutto! Abbiate pietà delle anime senza tetto e senza focolare, delle anime vagabonde, incapaci di trovarsi insieme. Abbiate pietà delle anime deboli e affrante. Abbiate pietà di tutte le anime come la mia. Abbiate pietà di me!».
Se tanti poeti per cosí dire “irregolari”, e certo in numero ben più ampio di quanto qui sia stato possibile riferire, hanno saputo interiorizzare con tanta sensibilità e tanto trasporto l’immagine di Maria di Nazaret facendone attraverso i loro versi momento di grande conforto umano e di alta speranza religiosa, è del tutto lecito pensare che la Madre di Dio sia e resti miracolosamente presente nella vita di ogni uomo, quale che sia la loro particolare condizione umana e la loro epoca storica.