La ricerca di Dio nella fenomenologia di Edmund Husserl
Che cosa implica la fenomenologia husserliana da un punto di vista religioso, visto che essa, come scrive lo stesso Husserl in una lettera del 23 settembre 1930 a Dorion Cairns, almeno nelle intenzioni del filosofo tedesco, avrebbe voluto spingersi «sino ai problemi “etico-religiosi” e “metafisici”»? In realtà, a tali problemi Husserl, pur convertitosi al cristianesimo protestante, non avrebbe mai dato, in sede di filosofia fenomenologica e di filosofia tout court, soluzioni univoche e risposte certe, ritenendo possibili al riguardo esiti diversi. La fenomenologia, pur eticamente impegnata, fu infatti da lui concepita come una scienza non valutativa ma «puramente descrittiva e analitica», e in tal senso “neutrale”, per cui essa non è né credente né agnostica, e se pure è accaduto che alcuni discepoli o interpreti di Husserl l’abbiano deviata o orientata verso posizioni di tradizionale o confessionale religiosità oppure, al contrario, verso posizioni di più o meno radicale ateismo, ciò non può essere naturalmente attribuito, se non in modesta misura, ad un uso fenomenologico del pensiero ma a vicende private e condizionamenti esistenziali che, pur interagendo con una forma mentis fenomenologica, hanno finito per risultare preponderanti sul piano delle scelte favorevoli o sfavorevoli alla fede in Dio (Xavier Tilliette, Breve introduzione alla fenomenologia husserliana, Lanciano 1983).
Questo non significa che Husserl non avvertisse anche sul piano filosofico-fenomenologico il problema di Dio e il problema della fede non solo in una ragione immanente ed eidetico-trascendentale ma in una realtà e in una volontà divine costitutivamente poste al di là di ogni attività intenzionale della coscienza e destinate a rimanere “trascendenti” rispetto alla più radicale delle riduzioni fenomenologico-trascendentali. Egli anzi, da credente e da persona capace di una vita austera e quasi monastica, si sarebbe rimproverato di aver affrontato troppo tardi la questione religiosa a causa del suo inesausto impegno a scavare incessantemente da un punto di vista logico-metodologico, a ricercare oltre ogni possibile limite dogmatico i fondamenti del conoscere, a sondare indefinitamente l’impostazione ontologica e a riformulare di continuo gli approcci a quelle che egli definiva ontologie regionali del sapere e della vita. D’altra parte però, proprio perché la fenomenologia doveva essere una “scienza rigorosa” (rigorosa, si badi, non “esatta” come le scienze logiche e/o fisico-naturali), e dunque una scienza capace di perenne interrogazione critica, non avrebbe ritenuto di poter delineare fenomenologicamente prospettive religiose o non religiose di incontrovertibile e definitivo valore veritativo.
Da un lato è innegabile che, attraverso la fenomenologia, la filosofia venga configurandosi come una grande conversio intellettuale e spirituale. Nel paragrafo 35 della Krisis (La crisi delle scienze europee, che è l’ultima opera husserliana), si legge che l’effetto più evidente di una filosofia fenomenologica è quello di «una completa trasformazione personale» (personale Wandlung) suscettibile forse di essere paragonata «a una conversione religiosa» (religiösen Umkehrung). Dall’altro lato, però, la conversione fenomenologica in Husserl resta una conversione puramente filosofica, una conversione laica e aconfessionale. Come dire: una conversione che coincide con una ricerca critica sempre aperta del senso razionale e delle finalità etiche generali del mondo e della vita. Qui Dio si dà nei limiti in cui Egli può ricavarsi da un non precostituito e un non già indottrinato “vissuto” personale nell’ambito e secondo le modalità dell’attività intenzionale di una coscienza non empirica ma pura. Il che però rischia di mettere in discussione l’oggettività ontologica di Dio, la sua assoluta trascendenza rispetto a quell’assoluto di una coscienza pura che, come dice Husserl, pura è nel senso che non ha bisogno di nient’altro per esistere (nulla re indiget ad existendum).
Per esistere e per agire. Fenomenologicamente parlando, ci si deve chiedere, non è solo la coscienza che può aprirsi ad una dimensione divina senza che Dio possa con forza almeno pari manifestarsi nella coscienza umana personale sollecitandola magari con la sua grazia a scoprire in se stessa la verità divina? Alcuni esimi studiosi cattolici temono che in Husserl Dio finisca per essere una semplice creatura della mente sempre al limite del gratuito o dell’arbitrario, un mero prodotto della coscienza e della ragione riflessiva umane, piuttosto che rimanere creatore e signore di ogni coscienza pur dotata di assoluta libertà. Essi, convergendo singolarmente sulle posizioni espresse da studiosi e interpreti non cattolici, rilevano che, per Husserl, vale il concetto agostiniano secondo cui in interiore homine habitat veritas, ma che il vero punto di riferimento della sua teoria dell’intenzionalità non sia tanto Agostino quanto Cartesio. E argomentano infatti che, mentre il processo della conversione umana descritto dal vescovo di Ippona è la storia della manifestazione di Dio nell’uomo, la fede fenomenologica nella ragione e in una ragione non illuminata dalla grazia seppur intimamente trasformatrice non avrebbe nulla a che fare con la comune sebbene variegata esperienza della fede religiosa ma si affiderebbe unicamente alla capacità riflessiva del nostro intelletto. Secondo, per l’appunto, uno stile squisitamente cartesiano.
Tuttavia, qualche dubbio in proposito sembra sussistere, giacché la migliore lezione della fenomenologia (la cui complessa elaborazione conobbe indubbiamente diverse fasi) è quella per cui, in virtù del rapporto intenzionale tra io e mondo, se il soggetto si apre e va incontro al mondo (a tutto ciò che è o possa essere mondo, ovvero altro da sé, ivi compreso l’idea o la realtà di Dio), con una gradualità etico-conoscitiva suscettibile di illimitato avanzamento e perfezionamento, anche il mondo o l’altro da sé e dunque quella stessa radicale alterità-prossimità che si suole denominare Dio si aprono e vanno incontro al soggetto intenzionale nel quadro di un rapporto che non è dunque unilaterale ma bilaterale o di reciprocità. Per cui, contrariamente alle interpretazioni suddette, non è pacifico che la presenza e l’azione di Dio nella coscienza individuale e collettiva delle persone e delle società si dissolvano nelle costruzioni soggettivistiche e relativistiche dello sguardo fenomenologico ma sussistono al contrario buone possibilità che esse possano oggettivamente concorrere alla formazione fenomenologica di giudizi universali e di valori perenni nello spirito del fenomenologo.
Husserl fu certo privatamente un uomo religioso in quanto convertito a Cristo ma il suo sforzo fu quello di elaborare una filosofia che consentisse a tutti di pervenire anche sul piano religioso, nel segno del rigore critico e di un’assoluta e matura autonomia di pensiero, a risultati non generalizzabili né prevedibili aprioristicamente e a prospettive di fede o di non fede diversificate seppur comuni a tutti gli esseri razionali. Il cristiano protestante Husserl avrebbe cercato di render possibile «un cammino non confessionale verso Dio», una via puramente filosofica a Dio che non avesse bisogno della teologia, delle sue argomentazioni e dei suoi metodi, sí che fossero mai precluse ma sempre possibili le domande: chi è Dio? Quale Dio? Cos’è Dio: verità o illusione? Una realtà ontologica in sé perfetta e posta oltre qualsivoglia forma di immanenza, o un ideale, un telos di sviluppo infinito dell’umanità verso una autenticità e una pienezza di civiltà sempre più perfette? E fossero poi altrettanto possibili, nell’ambito stesso della tanto differenziata comunità cristiana, altre domande sulla figura di Cristo riassumibili nella domanda posta proprio da quest’ultimo: e voi chi dite che io sia? Dunque: chi è veramente Cristo? Qual è il reale e più profondo significato della sua predicazione e della sua opera di salvezza? E’ veramente credibile la resurrezione dei morti da lui preannunciata e, se sí, cosa essa potrà davvero comportare? E cosí via.
La conversione del fenomenologo è senza fine ma il credente in Cristo ha forse raggiunto la sua meta definitiva o non dovrà chiedersi incessantemente se quel Cristo cui si è convertito non sia ancora altro dal Cristo storico morto sulla croce per noi? Certo, potrà sempre dirsi che la fenomenologia è una versione “colta” della fede naturale del credente “ingenuo”, dal momento che essa riflette, sia pure ad un più alto livello critico, le stesse trame della vita di fede dei credenti comuni. Né è detto che a Dio certe versioni colte della fede siano più gradite di tante forme incolte ma sincere e schiette di fede. E’ difficile dire se la fenomenologia husserliana sia più utile o dannosa ad una seria e genuina ricerca di Dio, anche se non è necessariamente falso che «il linguaggio religioso non è stato cacciato dalla città dei saggi: il fenomenologo è “un bambino nel regno dello spirito puro”», ovvero “nel regno di Dio” (Husserliana VIII, 123, 227, 433).
Comunque occorre riflettere sul fatto che, a differenza di molti critici cattolici del pensiero husserliano, la prediletta allieva di Husserl, ovvero Edith Stein, si mostrasse ben più generosa verso «il suo caro maestro». Ormai suora carmelitana, il 23 marzo del 1938 scriveva infatti da Colonia quanto segue a suor Adelgonda Jaegerschmidt: «Per il mio caro maestro io non mi dò eccessivi pensieri. L’idea che la misericordia di Dio sia legata alle frontiere della Chiesa visibile mi è sempre stata abbastanza estranea. Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, sia che lo sappia chiaramente, sia che non lo sappia» (E. Stein, Aus der Tiefe Leben. Kösel V., München 1988, p. 185). E’ lo stesso pensiero che desidero qui esprimere per un insigne studioso laico del marxismo e della fenomenologia husserliana come Aldo Zanardo, mio caro ed indimenticato maestro fiorentino.