Anche il giusto perisce se si allontana dalla giustizia e fa il male

Scritto da Piero Raimondi on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Il giusto per eccellenza è il Santo di Dio, detto Cristo. Gesù Cristo è il giusto in senso assoluto. Questo non toglie che anche gli uomini, in senso relativo, possano essere più o meno santi, più o meno giusti, più o meno vicini a Cristo Signore, più o meno amici di Dio. In questo senso, pertanto, è possibile parlare biblicamente di uomini giusti e di uomini empi, di uomini che, in virtù dell’opera salvifica svolta da Cristo in favore del genere umano,  si sforzano di conformare la loro condotta di vita ai precetti divini e di uomini che invece, nel misconoscere la divinità di Cristo o la divinità tout court, restano pervicacemente distanti da ogni sia pur minimo sentimento di fedeltà a Dio e alle sue leggi.

L’uomo giusto è innanzitutto colui che sa di non poter determinare autonomamente il male e il bene, l’errore e la verità, l’iniquità e la giustizia, ma di poter esercitare la sua libertà e la sua capacità di ricerca e discernimento nell’ambito o nei limiti della legislazione divina, anche quando ancora non ne colga perfettamente tutte le articolazioni spirituali. L’uomo giusto è colui che riconosce l’origine divina della sua intelligenza e della sua sensibilità cercando di usarle non contro Dio o a prescindere da Dio ma in armonia con il suo volere e con le finalità generali della sua creazione. L’uomo giusto è inoltre colui che, pur proteso verso il bene e capace di amore solidale per il prossimo, si sente intimamente e sinceramente limitato, debole e peccatore di fronte al Signore e in rapporto agli uomini, e percepisce se stesso come sempre soggetto a quelle tentazioni del mondo e della carne rispetto alle quali, nonostante la sua quotidiana attività di preghiera, talvolta soccombe.

In termini cristiano-cattolici, il giusto è il “salvato” in Cristo, il giustificato in Cristo. Ma bisogna precisare che persino il giusto inteso nella sua accezione spirituale e teologica più elevata, ovvero colui che vive un particolare rapporto di familiarità e di amicizia  con Dio, non è già salvo ma, pur “salvato” e “redento” al pari di tutti dal sacrificio unico e irripetibile di Cristo, deve continuamente esercitare una volontà di adesione ai suoi salvifici insegnamenti. Anzi egli, là dove in modo deliberato e sconsiderato, in un determinato momento della sua esistenza venga a rompere questa relazione spirituale privilegiata con Dio, finisce per essere ai suoi occhi ancora più colpevole di quanto non siano tutti coloro che non abbiano fatto un’esperienza oltremodo ravvicinata di Dio stesso e per ritrovarsi nella condizione dell’empio.

Su questo punto la Parola di Dio è chiarissima, tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento: «La giustizia del giusto non lo salva se pecca, e il malvagio non cade per la sua malvagità se si converte dalla sua malvagità, come il giusto non potrà vivere per la sua giustizia se pecca. Se io dico al giusto: “Vivrai”, ed egli, confidando sulla sua giustizia commette il male, nessuna delle sue azioni buone sarà più ricordata e morirà nel male che egli ha commesso. Se dico al malvagio: “Morirai”, ed egli si converte dal suo peccato e compie ciò che è retto e giusto, rende il pegno, restituisce ciò che ha rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e non morirà; nessuno dei peccati commessi sarà più ricordato: egli ha praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà…..Se il giusto si allontana dalla giustizia e fa il male, per questo certo morirà. Se il malvagio si converte dalla sua malvagità e compie ciò che è retto e giusto, per questo vivrà. Voi andate dicendo: “Non è retta la via del Signore”. Giudicherò ciascuno di voi secondo la sua condotta, o casa d'Israele» (Ezechiele, cap. 33, 12-16, 18-20). E, com’è noto, il Vangelo stigmatizza duramente l’atteggiamento spirituale di tutti quei “giusti”, presunti o reali che siano, che, non essendo  capaci di percepire o piuttosto smarrendo la capacità di percepire l’altrui sofferenza e di alleviarla con gesti concreti di carità o solidarietà, finiscano per vanificare la loro stessa fede religiosa.

Tanto più grave è la posizione di chi, battezzato e assiduo frequentatore della santa eucaristia, venga disonorandola con atti oggettivamente peccaminosi, e di chi, pur beneficiando di una particolare vicinanza di Dio, non riesca a corrispondere alla grazia ricevuta se non in modo del tutto imperfetto o approssimativo. Se ci si comunica nelle feste comandate o anche nei giorni feriali, se si recita quotidianamente il rosario e si legge il breviario o le sacre scritture,  se si amministra da sacerdoti o da collaboratori laici l’eucaristia e non si parla d’altro che di Dio e dei santi, ma contemporaneamente non si riesce a fare a meno di fumare regolarmente mezz’ora prima della celebrazione eucaristica, di chiacchierare durante la santa messa, e poi, peggio, di coltivare conoscenze inopportune, di interpretare e vivere in modo generico ed evasivo il divieto di rubare, di non uccidere, di fornicare e via dicendo, o infine di confessarsi in modo del tutto abitudinario e superficiale; se per l’appunto si sia affetti, e purtroppo non è mera ipotesi o prodotto di un giudizio irrealistico, da siffatte dicotomie o incongruenze esistenziali, a quale salvezza si potrà mai avere accesso?

L’ultimo giudizio resta certo a Dio; ma se la nostra fede si fonda sulle scritture, sulla tradizione apostolica e sugli insegnamenti stessi della Chiesa, sarà mai ragionevole in casi del genere coltivare una speranza di salvezza? Ma, si badi, lo stesso ragionamento vale anche e persino per chi, generalmente e veramente giusto sul duplice piano della sapienza religiosa e della pratica morale, si lasci travolgere inopinatamente da insane e rovinose passioni. E’ pur vero che Dio saggia talvolta la fedeltà delle sue migliori creature lasciando che esse si trovino sottoposte a prove veramente dure e difficili, ma è proprio nei momenti più avversi o più sfavorevoli che i veri giusti, i veri amici di Dio, sono chiamati a dimostrare la graniticità della loro fede e del loro amore verso Dio stesso. Essi, pur essendo largamente beneficiari della misericordia e dell’amore divini, possono ugualmente cadere e spesso cadono, cioè peccano, e infatti nella bibbia si legge che il giusto pecca sette volte al giorno, anche perché abbiano sempre buoni motivi per non inorgoglirsi e per non ritenersi superiori agli altri, ma bisogna anche considerare le più intime ragioni per le quali cadono e peccano: perché ad esempio essi, nonostante i molteplici segni benedicenti ricevuti da Dio, potrebbero ancora commettere qualche odioso peccato a causa del fatto che la loro conversione a Cristo non sia stata in realtà abbastanza radicale e dunque non abbiano interamente rinnegato la loro precedente vita di peccato o di perdizione.

Naturalmente il giusto che pecchi e si riconverta inaspettatamente all’empietà contro Dio o alla malvagità contro gli uomini, potrà ancora una volta pentirsi sinceramente e affidarsi alla misericordia di Dio, ma non è detto che il Signore sia disposto ad accettare frequentissimi atti di pentimento, magari relativi sempre agli stessi vizi e agli stessi peccati, che non abbiano mai il loro culmine in un cambiamento sufficientemente stabile e sicuro della propria vita spirituale. Persino Pietro ha tradito e ha peccato contro Cristo ma Pietro ha saputo poi ampiamente riscattarsi, sia pure in virtù della persistente assistenza dello Spirito Santo, morendo appeso su una croce con la testa all’in giù per Cristo medesimo.

A volte il sentirsi peccatori di fronte a Dio è solo un vezzo spirituale o poco più, una espressione che si pronuncia quasi per esorcizzare la possibile punizione divina ai nostri danni, mentre dovremmo avvertire una profonda angoscia ogni volta che arrechiamo grave offesa a Dio e alla nostra stessa vita e trovare di conseguenza la forza di rompere definitivamente con abitudini o risorgenti pratiche di vita che intorbidiscono il nostro rapporto con Cristo Signore e Giudice. E anche l’uomo santo e giusto, l’uomo che coltiva un rapporto sincero ed intenso con il divino, che si sforza di corrispondere fedelmente alla divina volontà, non può concedersi né pause né distrazioni né debolezze troppo disonorevoli, se vuole realmente entrare nel regno di Dio. Nei suoi confronti anzi le aspettative di Dio sono maggiori di quelle che Egli ha verso tutte le altre creature: come recita il vangelo, a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più (Lc 12, 48). E, poiché il Signore da buon pedagogo talvolta punisce per le loro trasgressioni  proprio i figli che ama maggiormente, all'interno o al di fuori dell'ordine presbiterale e religioso, sarebbe molto meglio eventualmente essere puniti nel corso della vita piuttosto che per l’eternità.

Chi si allontana da Dio non può pensare di potersi a lui riavvicinare con calma o con tiepidezza, ma al contrario con l’ansia fiduciosa e dolorosa ad un tempo di chi è consapevole che il riconoscimento di uno stato peccaminoso non può essere solo verbale e semplicemente dettato dalla paura della punizione divina ma deve coinvolgere mente e cuore in profondità e sollecitare potentemente l’una e l’altro a non voler peccare più e a manifestare un amore autentico verso il Signore. Come recita il sacro testo: «Come pensaste di allontanarvi da Dio, cosí ritornando decuplicate lo zelo per ricercarlo, poiché chi vi ha afflitti con tante calamità vi darà anche, con la salvezza, una gioia perenne» (Baruc 4, 28-29).

Ma come? Persino un malfattore sulla croce ha avuto il perdono di Dio e ha potuto ritrovarsi in paradiso con lui, e un santo uomo, un uomo giusto che tale è stato per larga parte della sua vita può rischiare addirittura di andare all’inferno "solo" per aver compiuto un’azione perversa?

Oggi come ieri, i figli del popolo di Dio potrebbero dire: quanta esagerazione! «”Non è retta la via del Signore”»! Ma oggi come ieri il Signore risponde: «È la loro via invece che non è retta! Se il giusto si allontana dalla giustizia e fa il male, per questo certo morirà. Se il malvagio si converte dalla sua malvagità e compie ciò che è retto e giusto, per questo vivrà. Voi andate dicendo: “Non è retta la via del Signore”. Giudicherò ciascuno di voi secondo la sua condotta» (Ezechiele, cap. 33, 17-20). E, pur confidando nella sua infinita misericordia, faremmo molto male, noi che giusti in senso alto certamente non siamo, a non tenerne conto e a non gridare con le lacrime agli occhi: "Signore, abbi pietà di me che, nonostante il mio amore per te, ho continuato a peccare contro di te. Liberami per sempre dal male e dal maligno!".

Anche perché non è forse giusto che chi vuole il cielo dimostri di potersi privare di qualunque indebito godimento terreno e che chi desidera stare faccia a faccia con Dio sia disposto a martirizzare la carne per dare pace al cuore e non a martirizzare il cuore per far godere la carne?