Ritratto di Gesù
Nel ritratto tracciatone dal cardinale Biffi (Identikit del Messia, in L’Osservatore Romano del 20 gennaio 2012), Gesù pone un problema centrale: quello relativo alla sua stessa identità. Egli si chiede e chiede alla sua Chiesa, che parla per bocca di Pietro, chi sia il Cristo per la gente e per i suoi stessi apostoli ovvero per coloro che hanno il compito di parlare agli altri di lui. Gesù non è infatti sicuro che su di lui, sulla sua identità e sulla sua missione, sussistano o possano anche successivamente sussistere delle certezze inamovibili ma piuttosto delle opinioni, dei pareri, dei giudizi piuttosto incerti e mutevoli. E, principalmente in tal senso, egli si mostra dubbioso circa il fatto che, al suo ritorno sulla terra, possa ancora trovarvi la fede in quel che egli è realmente, vale a dire Dio.
Il discorso vale anche per l’oggi. Oggi come ieri o più di ieri, in effetti, i giudizi su Gesù sono molto diversificati: ci sono quelli che vedono in lui un semplice “mito” che ha indubbiamente arricchito di significato e valore l’esistenza di molti e in particolare la vita dell’umanità occidentale; altri che lo identificano con un uomo non realmente esistito, leggendario, che proprio per questo è venuto gradualmente assumendo i caratteri della divinità; altri che lo considerano un genio e un rivoluzionario sotto diversi punti di vista che avrebbe conferito alla storia universale un corso nuovo e fortemente umanizzante pur in mezzo a conflitti e contraddizioni di ogni genere; altri infine che, pur ammettendone la reale esistenza storica, pensano che di lui e della sua opera non sia possibile conoscere nulla di certo e di definitivo.
Si deve osservare e precisare che oggi forse, come o più di ieri, i giudizi sull’uomo Gesù sono generalmente “positivi e benevoli” e raramente si trova qualcuno che ne parli male. Ma se Gesù era e resta interessato a sapere cosa la gente pensasse e continua a pensare circa la sua identità e la natura e le finalità della sua missione, non aspettandosi certo di avere riscontri sempre rassicuranti in proposito, ancora di più era ed è interessato a sapere cosa la Chiesa, i suoi apostoli, i suoi ministri, ne pensassero, aspettandosi con viva trepidazione di ricevere in tal caso riscontri ben più sicuri e rassicuranti, giacché alla sua Chiesa sarebbe toccato proprio di far conoscere a quanta più gente possibile, sia pure in un mondo generalmente superficiale e confuso, la sua vera fisionomia spirituale e il vero profondo e complessivo significato della sua opera redentiva.
Non soltanto il mondo, né soltanto la Chiesa sarebbe stato al centro delle fondamentali preoccupazioni di Gesù, ma l’uno e l’altra insieme, giacché il mondo pur deturpatosi a causa del peccato originale esprimeva pur sempre quella multiforme e prodigiosa ricchezza della creazione divina che si sarebbe dovuta riportare alla condizione preedenica, e la Chiesa lo strumento spirituale e sacramentale attraverso cui fosse possibile recuperare gradualmente ma universalmente il regno di Dio fattosi prima lontano e ora con Cristo sempre più vicino. Il mondo nel suo libero e autonomo sviluppo e la Chiesa nella sua continua opera non già di demonizzazione ma di conversione e valorizzazione, ovvero di evangelizzazione del mondo stesso, sarebbero dovuti essere i due grandi poli della storia della salvezza.
Ma ciò avrebbe dovuto altresí implicare non l’accettazione, da parte della Chiesa, del mondo cosí com’era ed è, ma il suo impegno a farne lievitare le realtà e le potenzialità positive, cercando di espungerne ad un tempo quelle negative pur senza cruenti atti di forza, in funzione di un interminabile processo di santificazione dell’umano in tutte le sue forme migliori. Più in particolare, la Chiesa su un punto non avrebbe potuto e dovuto transigere: sulla natura divina di Cristo, sulla origine e sulla finalità divina del suo progetto salvifico.
Come scrive Biffi, chi avesse alterato questa fede non avrebbe potuto avere, come non ha, posto nella Chiesa: «la comunità apostolica non conosce su questo punto alcuna propensione all’irenismo». Sta scritto infatti chiaramente: «Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo» (2 Giovanni, 10); «Vi metto in guardia dalle bestie in forma d’uomo, che non solo voi non dovete accogliere, ma, se è possibile, neppure incontrare. Solo dovete pregare per loro perché si convertano, il che è difficile» (Ignazio, Agli Smirnesi IV, 1); «Sono cani rabbiosi, che mordono di nascosto; voi dovete guardarvi da costoro, che sono difficilmente curabili» (Ignazio, Agli Efesini VII, 1). Sono tutte citazioni riportate da Biffi nel suo “ritratto”. D’altra parte, egli sottolinea, mentre, come si è detto, le opinioni del mondo tendono a rendere Gesù “classificabile”, «la fede ecclesiale, che si esprime per bocca di Pietro, sottolinea la sua assoluta unicità: Gesù di Nazaret è “il Cristo, il figlio del Vivente, il figlio di Dio”. Gesù di Nazaret è “il”: un caso a sé del tutto imparagonabile».
Se l’uomo Gesù è in tutto simile agli altri uomini, benché, essendo egli espressione dell’uomo escatologico ovvero dell’uomo considerato nella sua massima perfezione, assommi in sé per l’appunto tutte le migliori qualità umane, e la sua personalità sia quindi particolarmente limpida e forte, priva di ambiguità e tentennamenti, e al tempo stesso attenta e sensibilissima alle piccole cose della vita quotidiana, alle vicissitudini e alle angosce di tutti e in particolare delle persone più semplici e più umili, e persino allegra e gioiosa, nonché segnata da una totale indipendenza di giudizio e da un’assoluta libertà spirituale rispetto a tutto e a tutti, rispetto per esempio alla sua famiglia come alle autorità religiose e politiche nel momento in cui l’una e le altre vengono meno alla loro legittima funzione cominciando a ragionare e a parlare con un linguaggio antitetico a quello di Dio; ecco, se come uomo, Gesù è del tutto abbordabile e, per cosí dire, a portata di mano come tanti altri uomini, in quanto figlio unigenito di Dio egli è unico, imparagonabile, decisivo; è “una singolarità assoluta”, e dunque non accostabile a nessun altro uomo.
Il cristiano vero, fedele, santo è colui che ha ben compreso come egli rappresenti una realtà radicalmente diversa da tutte le altre realtà materiali e umano-spirituali, e perciò giudica i suoi “comandi” non alla stregua delle tante forme storico-mondane di comando ma come comandi ben superiori e degni di essere non solo ascoltati ma eseguiti con la massima coerenza e solerzia possibili. E conclude pertanto il cardinal Biffi: «Il nostro puntare la vita per lui non può che essere totale, assoluto, definitivo, come nessuna militanza è ragionevole che sia: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Matteo, 10, 39)».