Maria e i filosofi
Di Maria di Nazaret si sono interessati poeti, letterati, pittori, scultori e naturalmente teologi oppure filosofi in quanto teologi, ma nel novero dei suoi estimatori sono veramente pochi i filosofi “puri”, i filosofi nel senso specifico della parola. Non manca qualche relativa eccezione: lo stesso Sartre ne parlò, con toni commossi, in una sua commedia giovanile ma, commozione e sentimento a parte, il dato emergente è che sembrerebbe impossibile occuparsi di lei anche sotto il profilo squisitamente intellettuale e filosofico.
Tuttavia tale dato, per quanto culturalmente indicativo, non è incontrovertibile. Maria è la sede della sapienza perché ha accolto nella sua mente e nel suo grembo il creatore di ogni sapienza celeste e umana, di ogni sapienza esplicita o implicita e di ogni forma di sapere scaturita dall’originaria e perfetta sapienza divina. Maria, per quanto semplice ed umile di condizioni sociali e di spirito, fu letteralmente inondata di sapienza quando il Verbo, il Logos, il Pensiero di ogni pensiero, volle incarnarsi in lei. La sapienza divina le fu compagna per tutta la vita, istruendola gradualmente sui segreti della vita e del mondo nel rispetto della sua umana facoltà di interlocuzione con il Maestro e con il divino e supremo magistero di verità. La sapienza divina la formò criticamente e spiritualmente, sollecitandola a meditare sulle cose della sua esistenza e della storia degli uomini, a non pensare e a non vivere quindi superficialmente fatti o accadimenti ma ad approfondirne di continuo il significato e a coglierne valori e disvalori attraverso un saldo ancoraggio della sua attività intellettuale al progressivo affinamento della sensibilità affettiva e morale del suo cuore (Lc 2, 51-52).
Quella di Maria fu cosí non solo un’umanità che pensa ma anche e soprattutto un’umanità che sente, un’umanità che pensa soffrendo e soffre pensando, che riflette e apprende sentendo e sente in un continuo accrescimento di coscienza e conoscenza. Se la filosofia è amore del sapere, Maria, animata da un potente e indefettibile Spirito di Verità e letteralmente abitata dallo Spirito Santo, fu anche filosofa perché non fece altro che cercare il senso particolare e complessivo delle cose, il senso razionale e spirituale della propria esistenza personale e dell’esistenza comunitaria della sua gente e del mondo storico a lei noto. Ma fu filosofa silenziosa (silenziosa non muta o incapace di vigorose e talvolta clamorose iniziative) e sobria, non votata a pubblici ed esibizionistici contraddittori bensí ad un sano e interiore discernimento e ad operose e fruttuose scelte pratiche che l’avrebbero portata a stare dalla parte dei semplici e degli oppressi piuttosto che dei ricchi e dei potenti, degli uomini di fede piuttosto che dei teologi e dei custodi ufficiali e titolati del Tempio.
Tuttavia fu anche filosofa impegnata, non certo filosofa per anime belle, come testimonia inequivocabilmente il Magnificat, in quanto appassionatamente interessata alle sorti e al riscatto storico e sovrastorico dei “poveri del Signore”, di coloro che hanno fame e sete ivi compresi coloro che hanno fame e sete di giustizia e che per la giustizia sono perseguitati.
Gli intellettuali, certo, e gli stessi intellettuali “laici” e scettici, hanno un moto di commozione di fronte alla donna Maria di Nazaret, a questa donna che avrebbe donato e sacrificato tutta se stessa a suo figlio e per il suo Dio, e ne apprezzano la gentilezza e la grande sensibilità. Tuttavia difficilmente ne percepiscono la specifica tempra intellettuale e la indomita capacità di interlocuzione con il più autorevole maestro di ogni sapere possibile e reale. C’è in essi come una sorta di ritrosía ad ammettere, oltre che la passione e la fedeltà religiose, anche la valenza intellettuale e filosofica della madre di Cristo, pur sussistendo validi indizi evangelici per ritenere che la sua fede non fosse affatto priva di intelligenza o di critica intellettualità ma sostenuta da una rigorosa vivacità intellettuale: anche se è molto pericoloso attraversare delle zone montuose per andare a trovare la cugina Elisabetta ella decide ugualmente di partire, anche se Gesù è il Figlio di Dio non esita a fargli sentire i suoi diritti di madre quando lo ritrova nel tempio dopo tre giorni di affannosa ricerca, anche se sa o sospetta che forse non è ancora giunta l’“ora” non esita a chiedere a Gesù di “salvare” per il momento una festa di matrimonio che rischia di essere rovinata dalla improvvisa mancanza di vino, anche se sa che il Figlio non può fare favoritismi ed eccezioni neppure e amaggior ragione verso i propri congiunti non gli nasconde la sua amarezza umana e materna quando si sente disconoscere da lui pubblicamente come madre, e anche quando il Figlio morente le affida il compito di diventare madre di altri ella ancora una volta ottempera alla sua volontà ma non senza provare verosimilmente un senso di profonda e dolorosa frustrazione.
Sono tutti atti che presuppongono evidentemente un giudizio, una capacità di analisi, di riflessione, di valutazione critica. Ma gli intellettuali generalmente non sembrano ritenere che gli atti compiuti da quella donna siano il frutto di una intellettualità matura, ben attrezzata sotto il profilo squisitamente razionale ed oltremodo motivata dal punto di vista etico-spirituale.
E’ una grande donna di fede, si tende a pensare: ma non si può certo aggiungere molto di più. Eppure Maria è sia un paradigma di razionalità che interrogandosi continuamente sulla condizione umana approda non dogmaticamente o fideisticamente ma criticamente e combattivamente alla fede, sia un paradigma di fede che viene implicando non già un Dio desideroso di disporre di uomini e donne semplicemente proni al suo volere ma capaci di lottare coraggiosamente con la stessa divinità e con gli uomini (un Dio che ama quindi i combattenti nella preghiera come nella vita e non soggetti religiosamente inerti o passivi).
Maria non ha del filosofo le tecniche linguistiche (posto senza concedere che esse siano generalmente efficaci), le procedure discorsive o gli accorgimenti metodologici (necessari ma non sempre proficui), ma ha certo la cosa più importante: l’amore e non il possesso del sapere e della verità. Maria è essenzialmente filosofa perché vede Dio, vede la Verità, ma non la possiede, non la domina, bensí, pur partecipandone in modo molto ravvicinato, sempre la ricerca, la scruta, la segue o la insegue, per coglierne quanto più perfettamente possibile aspetti e significati peraltro inesauribili e mai totalmente esplorabili.
Maria è una santa filosofa perché adora un Dio che non le chiede e non la rende capace semplicemente di genuflettersi e fare atti di contrizione ma di vedere intellettivamente oltre ogni limitata ed umana visione e di amare oltre ogni forma di amore terreno.
I filosofi, per quanto ella sia stata omaggiata con suo figlio dai magi ovvero da una qualificata rappresentanza del pensiero filosofico e scientifico della sua epoca, non la trovano filosoficamente rilevante perché è troppo semplice, troppo lineare, troppo chiara e diretta, troppo netta ed esplicita, troppo diversa dal filosofo tipico e professionale cosí complesso e problematico quanto spesso astratto e verboso, cosí marcatamente analitico e riflessivo quanto orgogliosamente convinto che la verità pur se oggettiva ed empiricamente verificabile si esaurisca nei processi conoscitivi e “scientifici” della soggettività storico-umana. Eppure nessuno più di un filosofo, più di un amante del vero e del bene secondo ragione e secondo coscienza morale, dovrebbe essere naturalmente portato ad apprezzare un modo agile ma profondo di pensare e un modo prudente ma intenso e determinato di agire come quelli impersonati da Maria di Nazaret. Ma questo può accadere solo se un filosofo è semplice come un bambino mentre, come l’esperienza e la stessa storia della filosofia insegnano, il più delle volte i filosofi diffidano di pratiche di pensiero troppo semplici, lineari, precise ed essenziali, da essi unilateralmente e frettolosamente ridotte a cianfrusaglie filosofiche e quindi a costruzioni intellettuali semplicistiche, scolastiche e dogmatiche.
E doveva conoscere molto bene la natura di filosofi e dotti l’anonimo autore dell’Akáthistos, un bellissimo inno liturgico del V° secolo rivolto a Maria e molto noto soprattutto nella Chiesa ortodossa: «Ave, Tu i dotti riveli ignoranti,/ Ave, Tu ai retori imponi il silenzio./ Ave, per Te sono stolti sottili dottori,/ Ave, per Te vengon meno autori di miti./ Ave, di tutti i sofisti disgreghi le trame,/ Ave, Tu dei Pescatori riempi le reti./ Ave, ci innalzi da fonda ignoranza,/ Ave, per tutti sei faro di scienza/».