Quale preghiera per Pasqua?

Scritto da Francesco di Maria.

 

Quale preghiera per Pasqua se non quella di chiedere di poter capire e vivere più profondamente il senso degli insegnamenti di Cristo, il valore della sua opera di salvezza, sembrando talvolta che la comunità cattolica si sia come assuefatta a parole come carità, amore, umiltà, giustizia, perdono, riconciliazione, comunione, sino al punto di ritenere che il loro significato sia ormai scontato e univocamente acquisito dalla coscienza credente in genere? In realtà, quante volte, nella nostra stessa comunità religiosa, l’idea di Dio rispecchia solo una nostra rappresentazione parziale e arbitraria di Dio? Quante volte Gesù viene percepito e vissuto come un Signore buono e misericordioso molto più attento ai bisogni e alle sofferenze degli uomini che non alla sincerità e alla genuinità della loro fede e alla qualità spirituale delle loro opere? Quante volte se ne parla come di un amico perennemente benevolo piuttosto che come di quel giudice misurato ma severo dell’umanità pure preannunciato dai vangeli?

E non è forse vero che, per venire ai suoi santi precetti, troppo spesso la superbia viene usata solo per depotenziare le giuste e doverose critiche di chi sia animato da effettivo spirito profetico, l’umiltà è solo una superbia mascherata, l’amore e la carità un’aspirazione umana costantemente vanificata da mille “contrattempi” o “eccezioni” in cui inciampa la nostra condotta pressoché giornaliera, il perdono e la riconciliazione pratiche psicologiche sbrigative e superficiali e quasi scaramantiche piuttosto che pratiche spirituali realmente sofferte e costose, la prassi eucaristica non molto più appunto che una prassi ovvero una prassi neurotica volta a sedare occasionalmente ma non a rimuovere stabilmente la nostra inguaribile inquietudine esistenziale, lo stesso sacerdozio ministeriale più l’espressione di un tranquillo e rispettato status sociale che l’adempimento faticoso ed evangelicamente compromettente di un servizio di verità e di giustizia.

Chi si compromette ormai veramente per il Regno di Dio, per un regno di verità non sterilmente barattata o concordata ma ricercata con ostinato rigore intellettuale e inflessibile passione morale oltre che con fede adamantina, di libertà non demagogicamente e retoricamente rispettosa della libertà di tutti e di ciascuno e non indiscriminatamente pluralista ma spiritualmente aperta e selettiva ad un tempo secondo canoni evangelicamente indiscutibili, di carità e di solidarietà finalmente svincolate dalla malcelata volontà di apparire e da possibili secondi fini e per contro orientate a costruire comunità di fattiva e proficua collaborazione in cui il rispetto e la stima e l’aiuto reciproci siano stabile fattore di convivenza e di comunione spirituale? Perché nella comunità cattolica non si riesce a chiarire una volta per tutte che l’invito evangelico a non giudicare e a non condannare va di pari passo con il monito evangelico altrettanto importante a giudicare con rettitudine (dal momento che nessuna forma di vita e nessuna distinzione tra vero e falso e tra bene e male sarebbe possibile senza un corretto esercizio dell’intelligenza e del giudizio) e ad assumersi se necessario la responsabilità di rimproverare o ammonire i fratelli o qualche fratello sia pure in spirito di carità indipendentemente dalla posizione o dal ruolo ricoperti in seno alla stessa comunità di fede? Perché ancora non si fa abbastanza da parte dello stesso clero per liberare la coscienza cristiana da idee generiche ed ambigue e da modi piuttosto equivoci o decisamente ipocriti di recepire taluni precetti evangelici?

Perché, per esempio, non si dice chiaramente e senza incertezze di sorta che la giustizia di Dio pur non riducendosi alla semplice giustizia sociale è tuttavia ben comprensiva di essa e che perseguire la giustizia sociale non solo si può ma si deve proprio in un’ottica squisitamente evangelica? E perché non si è mai abbastanza efficaci nello spiegare che nell’insegnamento di Gesù amare i propri nemici non implica certo andare a braccetto con essi se o sino a quando siano bugiardi, prepotenti, avidi, usurpatori o malvagi, e che pregare per i propri persecutori non comporta affatto l’obbligo di rinunciare a difendersi da essi con le armi della risposta evangelica, della legalità e del diritto?

Insomma, quand’è che la comunità cattolica in genere uscirà da un suo persistente stato di minorità per approdare ad una condizione di compiuta autonomia spirituale e di pieno e sano intendimento delle stesse verità evangeliche? Il compito della Chiesa non è proprio quello di renderci adulti nella fede nel momento stesso in cui cerchi di educarci a rimanere come bambini nello spirito? Quando finiremo di lavarci e farci lavare i piedi solo nel quadro della liturgia pasquale, di celebrare l’eucaristia solo per stare o sentirci insieme, di parlare della risurrezione di Cristo e di crederci solo per dovere teologico ed istituzionale o per ossequiare la nostra ortodossia religiosa, di essere cattolici solo per abitudine o per presunta ed inconscia convenienza sociale? Quando vorremo capire veramente che l’amore di Cristo è un amore esigente che fa tutt’uno con la sua giustizia e che non c’è pace cristiana senza spada e quindi senza una sana ma radicale conflittualità con la ricchezza, con il potere nelle sue molteplici forme, e persino con certe discutibili abitudini di vita che spesso capita di considerare normali o addirittura positive e immodificabili? Siamo sicuri di aver compreso le ragioni più profonde, meno scontate, fortemente compromettenti, del porgere l’altra guancia? Del presentare «la guancia a coloro che mi strappavano la barba», dell’esporre «la faccia agli insulti e agli sputi», di «rendere la mia faccia dura come pietra», ben sapendo tuttavia che, per il coraggio di affermare e testimoniare la verità al cospetto di chicchessia e di resistere al conseguente terrore di poter essere isolato ed escluso sul piano sociale o comunitario oppure persino soppresso fisicamente o civilmente, il Signore Dio «mi assiste» e non mi lascia «deluso» (Isaia 50, 5-7)? Ne siamo sicuri?

Quand’è che ci decideremo non già a professarci cattolici, esercizio che facciamo sin troppo spesso disinvoltamente, ma a vivere e ad agire da innamorati non dell’icona di Cristo ma di Cristo stesso? Vale a dire: quando smetteremo di rubare, di usare inganno o menzogna a danno del prossimo; di giurare il falso servendoci del nome di Dio; di opprimere il prossimo e di spogliarlo di ciò che è suo sia in senso materiale che in senso spirituale; di commettere ingiustizia in giudizio trattando con parzialità il povero e usando preferenze verso il potente; di calunniare o addirittura di cooperare alla morte del nostro prossimo, di covare odio contro il fratello anziché rimproverarlo apertamente e lealmente; di vendicarci contro chi ci abbia fatto del male senza fare del proprio meglio per perdonare e amare il nostro prossimo come noi stessi (Levitico 19, 1-2, 11-18)? La santità, come si vede, non è proprio a portata di mano.

Sono solo precetti del vecchio testamento? Leggiamoli bene e li troveremo intatti anche nel nuovo. Anzi, talvolta li troveremo persino potenziati: «E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza» (Gc 5, 1-6).

Quale preghiera per Pasqua se non quella di chiederti, Signore, di farci essere tuoi seguaci non secondo il mondo e secondo certe sue “sacre” ma talvolta erronee  rappresentazioni, bensí secondo la tua volontà? Di farci sentire davvero poveri e anzi straccioni se o quando siamo materialmente ricchi e tanto più ricchi quanto più poveri materialmente saremo capaci di essere o di diventare con il tuo santissimo aiuto pur senza disprezzare o male utilizzare i beni materiali che Tu ci concedi? Di allentare in noi la concupiscenza del denaro oltre che della carne?

Quale preghiera per Pasqua se non quella di chiederti di proteggerci da errori grossolani e da giudizi temerari, di farci dono ogni giorno della tua luce affinché con essa possiamo sperare di non brancolare nel buio ma di intravvedere sempre più chiaramente i santi contorni della salvezza, di alimentare in noi quell’amore che ti è gradito benché spesso da noi frainteso e tradito, di tenere sempre desta in noi la coscienza dei nostri limiti e della nostra totale dipendenza da Te?

Soprattutto, Signore nostro e nostro Dio, elargiscici la grazia di saper lottare con mente e cuore integri affinché, nonostante i nostri inevitabili errori, non la tua parola sia adattata allo spirito del mondo ma quest’ultimo si senta il più possibile sospinto ad elevarsi e a conformarsi sulla tua parola. E Tu Maria, Madre del Redentore, preservaci dal pericolo di peccare contro i doni dello Spirito Santo.