Non più generici appelli a cambiare stile di vita!

Scritto da Luciano Candiano on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa possiamo e dobbiamo porci una domanda: ammesso che fosse consentito a noi cattolici di risolvere immediatamente l’attuale crisi economico-finanziaria, cercheremmo di correggere il vigente modello di sviluppo o saremmo propensi a cercare altri modelli economici per una ripresa effettiva e duratura dell’economia? Ormai questa è la grande questione intorno a cui anche i cattolici devono interrogarsi e in parte si stanno interrogando senza pregiudizi di sorta. Questo modello capitalistico è ancora in grado, sia pure con determinati correttivi tecnici, di guarire se stesso ovvero di produrre sviluppo e ricchezza sociale offrendo anzi richiedendo a tale scopo nuova occupazione e posti di lavoro almeno relativamente stabili e contribuendo a tenere sufficientemente alto il consumo, oppure esso è ormai “un illusorio sistema architettonico”, sostanzialmente e sempre più visibilmente fallimentare e, come tale, da sostituire con un nuovo sistema di sviluppo seppur ancora non escogitato da nessuno?

Non sono pochi i cattolici che pensano che senza un cambiamento profondo e radicale di tanti stili di vita e professionali, di tanti comportamenti pratici personali, non ci sia alcuna possibilità di superare la crisi attuale. Come dire: senza valori, senza un ripristino di talune fondamentali regole etico-antropologiche, non può esserci alla fine che degrado e disperazione. Il crollo del sistema economico intacca non solo le strutture produttive e finanziarie del mondo e di singole nazioni ma la vita stessa di ogni singola persona. Con il diminuire infatti dei beni economici, soprattutto le giovani generazioni non possono che percepire il loro futuro in termini di forte preoccupazione verificandosi in molti casi persino una drastica caduta della propria autostima. Per cui la crisi economica non può non implicare prima o poi una crisi sociale, psicologica, umana.

Dunque, non si può continuare a pensare e ad agire come se non fosse accaduto nulla di straordinario e non potesse accadere ancora di peggio. Si rende assolutamente necessario, dicono tali cattolici, “un pensiero diverso” ma diverso non ancora all’interno del “pensiero dominante” bensí in decisa rotta di collisione con le diverse ma uniformi articolazioni di quest’ultimo. Qui non è possibile che questa crisi, molto diversa da tutte le crisi precedenti, venga intaccando in modo progressivo ma sempre più violento istituzioni sociali e garanzie economiche, costate secoli di lotta di sacrifici e di sangue, che solo fino a pochi anni fa erano inamovibili prerogative dello Stato: pensioni, welfare, sistema sanitario, sistema scolastico e via dicendo.

Occorre pertanto elaborare forme critiche di pensiero, ma direi anche di fede, che mentre mettano in discussione la cosiddetta “evidenza dei dati economici e sociali”, risultino davvero più funzionali a recepire il senso più profondo e mai scontato, più “provocatorio” se si vuole e più combattivo ma anche più radicalmente liberante, delle indicazioni sempre nuove e sempre antiche del Vangelo di Cristo. Temo che, in tal senso, non sia necessario un generico appello ai buoni comportamenti, a stili di vita e professionali diversi, che è peraltro un appello che manterrebbe entro certi limiti una sua validità esortativa in qualunque sistema economico, da quello obiettivamente meno efficace a quello più efficace e razionale, perché ormai il problema è di cominciare a porre in essere una misura grave ma moralmente ineccepibile oltre che necessaria: rifiutarsi di pagare un idolatrico “debito pubblico”, che è diventato un onere largamente soverchiante il dovere cristiano di "dare a Cesare quel che è di Cesare" e di cui si ignorano la composizione effettiva, i criteri di calcolo in base a cui sarebbe maturato, i motivi reali del suo galoppante accrescimento nonostante reiterate e vessatorie operazioni governative di dura espoliazione retributiva, fiscale e sociale, e infine la precisa identità dei suoi titolari o gestori primari che forse oltre che a pretendere sarebbero anche tenuti a spiegare qualcosa a tutti i popoli del mondo.

D’altra parte, non c’è quasi nessuno che non riconosca come questo fantomatico “debito pubblico” nazionale ed internazionale, che mette virtualmente o già attualmente in pericolo la vita stessa di molti cittadini non abbienti e non solo italiani, sia un vero e proprio debito usuraio praticato a danno di milioni di persone da strozzini patentati. Cosa si fa in questi casi, quando cioè un cittadino è vittima di pratiche usuraie che ne mettano in pericolo persino la sopravvivenza? Lo si arresta e lo si manda in galera, secondo precise leggi dello Stato. E allora perché il diritto internazionale non prevede o non dovrebbe prevedere che gli strozzini, di cui il mondo è pieno, vengano arrestati e resi finalmente innocui?

Il debito, mettendo in pericolo la vita di tantissime famiglie e di moltissimi individui privi degli strumenti economici minimi per sopravvivere, semplicemente non si paga, non si deve pagare, qualunque cosa succeda, perché è semplicemente immorale e contrario ad ogni principio evangelico l’avallare irresponsabilmente, sia pure con argomentazioni apparentemente suadenti che tuttavia si rivelano ogni giorno più false e ingannevoli,  quali sono quelle quotidianamente esibite dai nostri attuali governanti, la logica secondo cui, se non si paga e non si estingue il debito per mezzo di "impressionanti riforme strutturali", un popolo è condannato ad impoverirsi enormemente rispetto agli odierni standard di vita.

Ammesso ma non concesso che una siffatta previsione sia fondata, i cattolici dovrebbero poter rispondere che è molto meglio che una società si impoverisca momentaneamente restando tuttavia solidarmente coesa al suo interno secondo criteri di sussidiarietà e di giustizia sociale nonché libera da padroni o da usurai, piuttosto che restare apparentemente ricca ma con l'ineluttabile tendenza ad impoverirsi ugualmente anche se in modo graduale a causa del trasferimento della propria ricchezza nelle mani di un gruppo di vili speculatori e di un cinico parassitismo finanziario. Ma i cattolici dovrebbero anche sapere che, nel perseguire pacificamente indubbie idealità evangeliche di umana e immediata (ovvero non mistificata) solidarietà e giustizia sociale, potranno sempre confidare nel loro Dio che non abbandona mai i suoi figli e i suoi popoli specialmente in momenti di particolari e drammatiche avversità.

Peraltro, è stato scritto significativamente: «Sembra insufficiente l'interpretazione che della sussidiarietà danno le politiche europee intendendola come una mera azione sostenuta dagli Stati membri ma controllata dalle istituzioni europee. Invece, la sussidiarietà capace di sostenere la coesione sociale ha bisogno di un preciso quadro normativo di riferimento che richiede inoltre di essere fondato sul principio della solidarietà». 

Tante altre cose, pertanto, sarà poi possibile o doveroso fare, ma solo a condizione che si cominci da qui, cioè dalla volontà di impedire ai faraoni della finanza, della burocrazia e della politica internazionali di questo tempo di tentare di costruire una nuova e altezzosa Babilonia per mezzo di una progressiva e insensata unificazione del genere umano sotto l’egida e il controllo assoluto di uno Stato transnazionale dispotico che venga imponendo le sue leggi e le sue regole, non solo estranee allo spirito democratico occidentale ma anche e soprattutto prive di spirito religioso ed evangelico, a tutti gli Stati e i popoli del mondo. Alziamo la testa e lottiamo, fratelli: il Signore non ci abbandonerà!