Semper tuus, Mater mea!

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Sia san Massimiliano Kolbe che il beato Giovanni Paolo II si consacrarono totalmente a Maria di Nazaret, il primo in modo implicito e il secondo esplicitamente secondo il noto motto “Totus tuus” ereditato da san Luigi Grignon de Montfort. Essi pensavano che tale consacrazione, il sentirsi e l’impegnarsi ad essere interamente di Maria, fosse non solo l’espressione più propria del loro immenso affetto e della loro incondizionata fiducia per la madre di Cristo ma fosse anche la via più sicura per elevarsi gradualmente alla statura di Cristo, essendo l’imitazione di Cristo il compito e l’ideale fondamentali della vita cristiana e non essendo dato a nessuno più che a Maria, che ha generato e formato il Figlio, di generare e formare anche noi ad immagine del Figlio stesso.

Già, perché essere ad immagine di Cristo non significa accontentarsi di quelle “mezze santità”, di quella “bontà” più caratteriale che morale (si pensi alla figura del bonaccione o a quella di certi spiriti fiacchi che cercano di non procurarsi mai grattacapi o anche a quella di certi retori della carità e del solidarismo cristiano), di quella capacità di evitare il male piuttosto che di impegnarsi concretamente e fattivamente a fare il bene, che sono notevolmente in antitesi all’esortazione di Gesù:  “Siate perfetti come il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Essere ad immagine di Cristo comporta ben altra fatica spirituale cui non potremmo neppure tentare di sottoporci senza l’aiuto di Maria.    

L’essere tutto di Maria, o meglio il voler essere tutto di Maria, è un atto di fede, un atto di straordinaria fiducia: perché in tal modo si chiede a Maria di essere totalmente suoi come “tutti suoi” furono Gesù,  Giuseppe che la prese come sposa, Giovanni che la ospitò a casa sua e la pose fra le sue cose e i suoi affetti più cari, gli apostoli che nel Cenacolo erano e pregavano con lei e la veneravano come loro madre e maestra. Riporre la fiducia in Maria non è un semplice atto devozionale come può essere quello per qualsiasi altro santo della storia della Chiesa, ma un vero e proprio atto di fede nella misericordia stessa di Dio che non certo casualmente ha inteso rendere Maria necessaria alla nostra santificazione, necessaria in quanto mezzo particolarmente efficace e via più breve per raggiungere il Cristo medesimo.

E non più breve o più facile nel senso che ella, che dovette sopportare che una spada le trafiggesse l’anima (Lc 2,35), provveda a tenerci lontani dalle difficoltà, dai drammi e dalle molteplici prove della vita, ma nel senso che ella, che costituisce il punto più privilegiato dell’incontro dell’uomo con Dio per mezzo dello Spirito Santo, ci dia la forza di accompagnare Gesù nella sua esperienza di dolore e di sacrificio per gli altri.

Quindi, quella consacrazione a Maria non riguarda solo la singola persona e la santificazione della singola persona ma diventa sprone ad agire per la santificazione, appunto in e con Gesù, del maggior numero possibile di uomini. E’ come se padre Kolbe e papa Wojtyla avessero voluto dire: “Tutto tuo, o Maria, per essere capace di testimoniare Dio in mezzo a tutti gli uomini”. Da una parte c’è un’assoluta fiducia in Maria in quanto la si riconosce maestra esemplare di fede e madre solerte e inappuntabile di Cristo e di tutta l’umanità ivi compresa la Chiesa la cui funzione è di operare nella e per la umanità; dall’altra, e di conseguenza, c’è l’offerta di sé perché, come è stato scritto, «riconoscendo la specificità della sua mediazione materna nel piano della salvezza, nella Chiesa e nella vita personale di ogni credente, noi ci affidiamo consapevolmente alla sua azione, sapendo che nulla, nelle sue mani, andrà perduto».

Certo, ma più esattamente che cosa si offre a Maria? Si offre quel che si è e quel che si fa o si cerca di fare. Si offre quel che si è, con le proprie speranze, i propri pensieri, le proprie meditazioni, le proprie sofferenze e le proprie paure, le proprie debolezze e i propri peccati, con tutta la propria capacità di amare e di donare; e si offre quel che si fa o si cerca di fare: azioni, gesti, tutto ciò che, sia pure tra tanti limiti e insufficienze, possa comunque concorrere ad esprimere un  apostolato e un impegno cristiano. Si legge in un sito mariano: «Il cuore di Maria è come un altare, sul quale tutto ciò che siamo e facciamo di buono si eleva come un incenso di riparazione e di impetrazione; e anche quello che c’è di male viene bruciato e consumato dal suo amore. La Madre, la “piena di Grazia”, prende tutto di noi, lo arricchisce dei suoi meriti e lo offre al Padre come fosse suo. Certo tutto questo è in relazione anche al nostro impegno. Maria potrà sostenerci e guidarci nel cammino nella misura in cui cerchiamo di avvicinarci a lei, e vogliamo imparare da lei lo stile della sequela di Cristo. Nella misura in cui la imitiamo».

Ma è proprio questo, l’impegno, l’intensità dell’impegno, il motivo per cui persone come lo scrivente non possono avere l’ardire di chiedere di essere interamente di Maria, non possono ambire ad occupare nel cuore di Maria lo stesso posto che fu di Gesù, di Giuseppe, degli apostoli.

Perché, Madre, mi chiedo e ti chiedo con tutta la sincerità di cui sono capace: dov’è o qual è il nostro impegno? E’ forse tutto nel fatto che cerchiamo di lodarti e onorarti con gli scritti, di testimoniare la fede in Cristo attraverso l’attività critico-religiosa di questo sito? Chi e come riusciamo veramente ad aiutare e ad amare nel corso di queste giornate terrene? Con quale trasporto affettivo, con quale altruismo, con quale pulizia interiore, con quale credibilità spirituale? Per tutto questo, Maria, noi ti amiamo più di noi stessi ma non siamo ancora capaci di dire: “totus tuus”. Io confido in te come un bambino confida nella propria madre, ma perdonami se, almeno per il momento, riesco appena appena a dire: “semper tuus, Mater mea!”.