Maria tra teologia e intuizione religiosa comune

Scritto da Martina Solari on .

 

Che ci siano studiosi, che ci siano mariologi che, sia sotto il profilo storico sia sotto il profilo teologico, facciano del loro meglio per consegnarci un’immagine di Maria quanto più veritiera, più realistica e più completa possibile, è certamente un’opera meritoria che nessuna persona ragionevole potrà mai disconoscere. Che però la conoscenza della Madre di Cristo si esaurisca nei torrentizi fiumi d’inchiostro che sono stati versati, specialmente tra XX e inizio del XXI secolo, sulla sua figura o che non possa anche nascere e perfezionarsi al di fuori di trattati, volumi, convegni, conferenze e quant’altro, questo forse è eccessivo e inesatto.

Eccessivo e inesatto perché se duemila anni or sono fu sufficiente annunciare, sia pure in modo miracoloso, la venuta in terra del Figlio di Dio e del Redentore del mondo perché dei semplici pastori, privi di ogni formazione culturale e di ogni nozione teologica, credessero in un Dio vero, in un Dio storico, in un Dio personale, in un Dio che non aveva bisogno di molte altre parole e disamine per risultare chiaramente comprensibile a loro e a tanti altri soggetti emarginati, non si vede perché oggi, cioè dopo due millenni di storia della Chiesa e di relativo annuncio teologico e pastorale, per avere una conoscenza abbastanza precisa e coinvolgente della Madre di Dio, si dovrebbero pretendere particolari requisiti conoscitivi di ordine teologico e non dovrebbero essere più che sufficienti, per chi per esempio non può o non sa né leggere né capire molto le cose scritte nei libri né partecipare a dibattiti teologici con una sufficiente capacità di comprensione e approfondimento, delle esperienze spirituali particolarmente intense e significative oppure una vita dedita con sincerità di cuore alla preghiera e all’impegno quotidiano in opere non necessariamente grandiose di carità. Non bisogna esagerare, anche perché altrimenti forme molto elementari di fede come quelle di santa Bernadette o della beata suor Lucia di Fatima potremmo lodarle solo in modo ipocrita.

Semmai, i dotti, i colti, i teologi, devono stare molto attenti a come usano le loro importanti e raffinate conoscenze, perché Dio non concede a nessuno di capire cose particolarmente profonde e misteriose senza esigere che dalla sua grazia derivino poi gli effetti corrispondenti alle sue stesse aspettative. Chi più ha o riceve, più deve dare, non complicando i discorsi su Dio ma rendendoli sempre più chiari e comprensibili ad un numero sempre più grande di persone e sollecitando la stessa cultura religiosa dotta, la stessa teologia ufficiale, a rivedere continuamente il loro linguaggio, la loro struttura logica e concettuale, i loro criteri di analisi e di interpretazione, insomma il loro complessivo spirito di ricerca, in funzione della maggiore chiarificazione possibile di quelli che in fondo dovrebbero essere messaggi circa l’unico grandioso e universale messaggio di Dio agli uomini.

Quindi, bisogna ben fissare il concetto per cui Maria può essere ben conosciuta, anche al di fuori di dotte ed utili disquisizioni, attraverso un rapporto intenso e vitale di natura umana e affettiva sia pure naturalmente fondato sui princípi essenziali della fede cristiana. Instaurare anche cosí, semplicemente e senza armature di carattere teologico e culturale, un rapporto vitale, un legame di amore e di corrispondenza tra noi e lei, può senz’altro favorire un legame altrettanto significativo tra noi e Dio e tra noi e tutti gli altri uomini, perché in Maria si ritrovano tutti: il suo fiat a Dio, infatti, comprendeva non solo la maternità verso Gesù ma, pur non essendone immediatamente consapevole, la maternità stessa verso tutti gli altri figli che nel corso dei secoli sarebbero stati chiamati alla vita e alla salvezza.

Naturalmente, tutto questo non significa che l’amore e il culto a Maria possano consistere, come è stato ben scritto, «nel tenere a casa un’immagine che la raffiguri, portare una medaglia, o visitare qualche Santuario. Ma consistono soprattutto nel cammino di riscoperta della nostra vocazione battesimale. Ognuno di noi, quando è nato alla grazia, quando è stato consacrato a Cristo, attraverso il Battesimo, era nelle braccia di Maria. In lei e nella Chiesa, mediante lo Spirito, Cristo ci ha reso “figli di Dio”, partecipi della Sua stessa vita. Nel Battesimo, inoltre, è avvenuta la consegna che, sulla croce, Egli ha fatto di ognuno di noi a Maria: “Donna, ecco tuo figlio. Ecco la tua madre” (cfr Gv 19.26-27).

E Maria, nel Battesimo, ci ha preso con sé, è venuta “nella nostra casa”, ci ha unito a sé con un indissolubile vincolo di amore, per cui, riscoprendo questo nostro rapporto con Maria, questa consacrazione a lei, riscopriamo la nostra consacrazione cristiana. Siamo, perciò, devoti di Maria quando, con il suo aiuto e sul suo esempio, cerchiamo di compiere il nostro cammino di fede e di essere fedeli agli impegni cristiani, quando facciamo nostra la volontà del Padre, quando portiamo Cristo in noi e attorno a noi, quando ci lasciamo trasformare dallo Spirito Santo.

Questa è devozione. Una devozione che, facendone esperienza giorno dopo giorno, sentirà il bisogno di arrivare alla sua espressione più alta e completa: la consacrazione di noi stessi a Maria, come atto libero, cosciente e personale».