La fede di Maria tra certezza e oscurità
Ha scritto Benedetto XVI nel suo recente volume su “L’infanzia di Gesù” (Rizzoli, 2012) che «la fede di Maria e' una fede "in cammino", una fede che ripetutamente si trova nel buio e, attraversando il buio, deve maturare». Ma subito dopo ha aggiunto: «Maria non comprende la parola di Gesù, ma la custodisce nel suo cuore e li' la fa arrivare pian piano alla maturità» (p. 144). Nessuno può permettersi di dare un’interpretazione diversa da quella data dal papa, però forse si potrebbe provare umilmente a precisare che la fede di Maria è “in cammino” proprio perché, pur trovandosi ripetutamente nel buio e nell’incapacità di cogliere immediatamente tutte le implicazioni della Parola di Gesù, non è in sé una fede cieca o puramente abitudinaria, o meglio priva di riflessione e razionalità, ma una fede che è già apertura “critica” alla conoscenza e alla verità rese progressivamente accessibili in una gamma via via più ampia di aspetti e significati anche in virtù dell’azione dello Spirito Santo.
Perciò Maria custodisce nel suo cuore la parola di Gesù nelle forme e nei limiti in cui ogni volta è capace di intenderla e in cui lo Spirito Santo la rende capace di intenderla, ben sapendo che, pur potendone assimilare sempre meglio l’essenziale valore salvifico, forse non basta una vita intera per coglierne il significato nella sua interezza o assolutezza. Si può ritenere che sia forse questo il senso complessivo del brano sopra citato.
La fede di Maria è la fede come deve essere, non c’è un modo migliore di coltivare la fede oltre quello per cui quest’ultima si configura come capacità di custodire “tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 50-51). La fede è sí conoscenza e accettazione di fondamentali verità religiose come l’esistenza di un Dio unico, giusto e misericordioso o come la necessità di sottomettere la propria volontà umana a quella divina o come il destino di luce e di vita eterna riservato ai giusti e ai semplici e il destino di tenebre e di morte riservato ad empi e malvagi, ma poi è anche e soprattutto capacità di assimilazione di queste verità e di verità a queste connesse, capacità di interiorizzazione sempre più profonda della stessa Parola incarnata di Cristo.
Maria sa che Gesù è il Figlio di Dio ma, mentre lo stringe tra le sue braccia, pur essendo sicurissima della sua divinità, non può cogliere, non può vedere Dio in lui direttamente ed esaustivamente. E cosí, come in un certo senso usano fare probabilmente anche tante altre mamme del mondo, Maria riflette su tutti gli avvenimenti riguardanti suo figlio e li confronta con cose scritte o profetizzate nelle sacre scritture, per meglio capire e inquadrare la messianicità del Figlio che pure era stata preannunciata dai profeti. La certezza che Gesù fosse il Dio-con-noi, il Dio Salvatore, non impediva a Maria di essere psicologicamente incerta e preoccupata circa il destino futuro e terreno del figlio, né le avrebbe risparmiato l’angoscioso e lancinante dolore di assistere alla sua persecuzione e crocifissione.
Tuttavia, tutto ciò viene custodito da Maria sia nella mente che nel cuore. Ci si è chiesto giustamente: «Che differenza fa' tra il custodire le cose nella mente e il custodirle nel cuore»? (A. del Favero, La fede di Maria è la più grande benedizione dell’anno, in “Zenit” dell’1 gennaio 2013). E la risposta è che il cuore in senso biblico non sta ad indicare solo il mondo degli affetti «ma piuttosto la persona intera che sta in ascolto davanti a Dio per comprendere e fare la sua volontà. Il "cuore" dice perciò la relazione di appartenenza filiale al Padre, caratterizzata dalla fiducia costante e totale nel suo amore».
Quando noi riflettiamo sui fatti della nostra vita in senso prettamente logico-intellettivo cerchiamo di comprenderne il significato oggettivo e il valore che essi vengono assumendo per la nostra vita. Cerchiamo di intuire, cerchiamo di dedurre fino a quando non ci sembri di aver trovato una risposta adeguata ai quesiti che quei fatti ci hanno indotto a porci e, conseguentemente, di avere anche la possibilità di adottare una qualche decisione pratica. Quando però meditiamo in un’ottica religiosa sugli avvenimenti della nostra vita, riflettendo quindi su essi in connessione con la parola di Dio, riusciamo a portare il nostro ragionamento e la nostra comprensione fino ad un certo punto, rendendoci conto che non tutto può essere spiegato o chiarito e affidandoci a quel punto fiduciosamente a tutto ciò che il Signore è venuto rivelando nel tempo di sé e della sua volontà e dunque in ultima analisi alla rivelazione divina in Cristo.
Ci sono situazioni in cui la ragione, pur facendo tutto quel che può dal punto di vista conoscitivo, non può più procedere in senso compiutamente razionale e allora cambia per cosí dire modalità di indagine affidandosi amorevolmente alla Parola di Dio che garantisce che a suo tempo ogni mistero sarà svelato e ogni cosa verrà trovando il suo compimento per quanto attualmente sembri parziale e avvolto dal mistero.
Il bambino capisce le cose gradualmente, capisce ogni volta qualcosa senza capirne molte altre. L’uomo, mutatis mutandis, è paragonabile ad un bambino che si affida a sua madre o a suo padre senza chiedere ogni volta “dove andiamo, dove mi portate” ma lasciandosi portare, ben certo dell’amore dei suoi genitori e del fatto che essi agiscono per il suo bene. C’è un momento in cui l’uomo, pur nella sua faticosa e rigorosa ricerca di verità, accetta di disporsi ad essere come un bambino che si lascia stringere felice tra le braccia di Dio, secondo quanto in sostanza recita il salmo 131: "Signore, non si esalta il mio cuore,..non vado cercando cose grandi, ne' meraviglie più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato e' in me l'anima mia".
Cosí è stata la fede di Maria, cosí dovrebbe essere la fede di ognuno di noi.