Maria icona della pace

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

L’uomo avverte dentro di sé un naturale bisogno di pace, che è o diventa tanto più forte quanto più pressanti e traumatici sono o tendono a diventare i problemi e le angosce reali della nostra vita. Naturalmente tale bisogno non deve essere confuso con la tendenza altrettanto istintiva dell’animo umano a sottrarsi ad ogni faticoso e talvolta costoso impegno materiale, morale e spirituale, perché una vita priva di lavoro, di dedizione a una causa o agli altri, di capacità di discernimento e senso di responsabilità, sarebbe non solo inimmaginabile o irreale ma anche e soprattutto insensata e abnorme.

Il bisogno di pace che anche gli uomini e le donne di questo tempo legittimamente avvertono è dunque quello che ha a che fare con le molteplici forme personali e collettive di disagio o di malessere esistenziale dovute a fattori critici endogeni di natura mentale, psichica, emozionale, che interagiscono spesso con fattori critici esterni o ambientali i quali, superando una determinata soglia di tollerabilità, finiscono per aggravare in modi talvolta irreversibili le stesse condizioni soggettive di singoli o di gruppi umani e sociali più o meno estesi.

Non solo soggetti psicolabili, affettivamente carenti o caratterialmente fragili, ma persino soggetti ben temprati e capaci di reagire alle contrarietà della vita quotidiana sono sempre esposti a difficoltà e a tensioni di varia natura e di diversa entità che non sempre risultano suscettibili di agevole risoluzione. Specialmente in un mondo come quello attuale, sempre più carico di contraddizioni e disseminato di crescenti ingiustizie, viene oltremodo assottigliandosi la capacità di assorbimento psicologico ed esistenziale in tutte quelle persone e quelle compagini familiari che vi siano particolarmente e reiteratamente sottoposte. E, quanto più forte è la pressione che viene esercitandosi su di esse, tanto maggiore è il loro bisogno, conscio o inconscio, espresso o tacito, di riposo, di quiete, di pace.

Nelle coscienze più consapevoli ed illuminate dalla grazia divina, questo insopprimibile bisogno di pace è strettamente connesso alla fede in Dio, nella sua misericordia e nella sua giustizia. Qui la fede, però, non è vissuta necessariamente come una scappatoia, come attesa illusoria di una serenità e di una pace che non verranno mai se non con la morte, come semplice proiezione metafisica del proprio desiderio di giustizia e di pace, ma come potente stimolo all’azione e alla speranza di un mondo migliore, giacché non di rado essa corrisponde alla convinzione, lungamente coltivata con la mente e con il cuore, di una vita che non può esaurirsi nella miseria delle vicende umane specialmente quando tali vicende, senza apparenti colpe per chi le subisce, siano vicende oggettivamente degradanti e disumanizzanti.

In generale, si pensi alla conflittualità, alla povertà, all’emarginazione, alla disperazione provocate ormai in ogni parte del mondo da diseguaglianze economiche sempre più vistose e diffuse; al prevalere, come ha detto recentemente il papa, «di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato», che alla lunga non può che alimentare «diverse forme di terrorismo e di criminalità», anche se lo stesso papa, e con pari forza, ha invitato a non sottovalutare «le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo», che testimoniano «l’innata vocazione dell’umanità alla pace» (Omelia dell’1 gennaio 2013 per la Messa della Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e dedicata alla 46esima Giornata Mondiale della Pace).

Beninteso, le “opere di pace” cui si riferisce il papa sono opere, in senso evangelico, non meramente diplomatiche, non puramente compromissorie, ma opere di carità mai estranee ad un’inderogabile esigenza di verità e ad un preciso spirito di giustizia. Sono certamente anche opere di natura assistenziale e diplomatica nei confronti di popoli sottosviluppati o ancora semicolonizzati oppure governati da regimi dispotici manifestamente iniqui e unicamente preoccupati di arricchire se stessi; opere volte inoltre a creare, in tutti i posti e i casi in cui vi sia ancora mancanza di libertà e siano violati fondamentali diritti umani, condizioni di recupero o ripristino della dignità personale e di elementari norme di convivenza civile; sono altresí opere caritative ed assistenziali nei confronti di tanti poveri e di tante persone non abbienti persino nelle grandi metropoli occidentali; ma tali opere non sono mai slegate, nella coscienza cristiana e cattolica, da un quotidiano e concreto impegno per una libertà integrale di persone e popoli, e dunque non procedono mai disgiunte da un evangelico  e intransigente spirito di giustizia.

Qui, in altri termini, la pace fa tutt’uno con la verità, con l’amore e con la giustizia, perché, come recita il salmo 85, “misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”. La pace cristiana non è una pace che si esaurisce nella mediazione diplomatica e politica, ma è una pace escatologica, orientata cioè verso le finalità ultime del progetto salvifico di Dio e della stessa storia umana: quelle cioè di una comunità umana in cui amore, carità, misericordia, non siano dissociati dall’adesione alla verità di Dio, ai suoi princípi, alle sue leggi, e in cui tutti vivano in pace non per modo di dire, non in senso paternalistico o perbenistico, ma unicamente secondo giustizia o meglio secondo la giustizia divina.

Ne era ben consapevole Maria, la madre di Gesù, la cui personalità era tanto umile e mite quanto rigorosamente fedele alle promesse divine di giustizia assoluta e di radicale liberazione umana. Il Magnificat è il riflesso fedele della personalità e della spiritualità di Maria, del suo modo al tempo stesso contemplativo e combattivo di intendere la fede e il servizio da rendere a Dio e agli uomini. Maria fu una donna dolcissima ma non sdolcinata e ingenua, amabile ma intransigente su princípi e valori della sua fede e anzi, proprio perché capace di una fede incondizionata, fu oltremodo ostinata nel voler testimoniare la sua fedeltà agli stessi fondamenti ontologici dell’opera salvifica di Dio, vale a dire ad un amore non ambiguamente inteso o suscettibile di essere declinato e usato in modi arbitrari ma dotato di un significato “rivelato” e univoco, profondamente intriso di generosità, dedizione, disinteresse, e soprattutto indissolubilmente legato all’osservanza dei comandi giusti e santi di Dio e del suo Cristo.

Perciò Maria è anche la più genuina e superlativa icona della pace di Cristo, ovvero non di una pace che possa spettare a chi, indifferente o cinico spettatore dei drammi del mondo, vada agognando una tranquillità spirituale elusivamente privata, ma solo a chi, facendosi carico nei limiti delle sue possibilità teoriche e pratiche del disagio e dei travagli altrui più prossimi o ravvicinati, venga perdendo un po’ o molto della sua vita per trasmetterla a coloro che, almeno nei momenti in cui accada di incontrarli o di interloquire con essi, ne abbiano poca o molto di meno. Con Maria la pace non può trovarsi dove non succede nulla, dove ci si preoccupa di assecondare semplicemente i processi biologici dell’esistenza e di astrarsi o estraniarsi dalle problematiche e dai dilemmi morali e spirituali soggettivi ed intersoggettivi che la stessa esistenza inevitabilmente pone, ma può trovarsi solo lottando intrepidamente in se stessi e fuori di se stessi per portare amore dove c’è odio, giustizia dove c’è iniquità, purezza dove c’è impudicizia e disonestà, concordia dove c’è divisione, e naturalmente verità dove c’è menzogna.

Pertanto, gli “operatori di pace”, di cui parla Gesù, non sono semplicemente coloro che mettono una buona parola nelle liti, nelle controversie umane, nei contrasti giornalieri per riappacificare gli animi, ma sono principalmente coloro che, persino a costo della propria vita, si preoccupano di testimoniare sempre e comunque la verità e di portare soccorso materiale e spirituale alle vittime di situazioni drammatiche, cruente, cariche di violenza e apparentemente prive di sbocchi pacifici e risolutivi. Talvolta, operatori evangelici di pace, sia detto al di fuori di ogni ipocrisia, sono anche quelli che, portando il Cristo nel cuore, non possono esimersi dal fare uso della forza per tutelare la vita di intere popolazioni, di tanti innocenti, di una moltitudine di donne, bambini, vecchi, ovvero di soggetti totalmente deboli e indifesi. Qui la pace per il cristiano coincide totalmente con una difesa altruistica, anche armata se necessario, della vita altrui, della vita di tutti quei fratelli e sorelle che ancora oggi vengono ferocemente perseguitati e massacrati per motivi di odio etnico o religioso.

 Il Cristo non volle essere aiutato da Pietro, che nel Getsemani aveva sguainato la spada per difenderlo e impedirne la cattura, solo perché la missione sovrannaturale di Cristo prevedeva che egli dovesse essere preso, giustiziato e condannato a morte per la salvezza degli uomini, ma mai egli intese il gesto di “porgere l’altra guancia” come implicita e aprioristica disapprovazione di qualunque atto “violento” volto eventualmente a salvare, come extrema ratio, la vita di persone o di popoli sottoposti ad azioni vessatorie, brutali e omicide.  Nella pace di Cristo si è o si può essere non al di fuori delle difficoltà, dei pericoli, delle sofferenze e delle stesse decisioni drammatiche che talvolta occorre prendere, ma proprio all’interno di tutto ciò, perché Cristo concede la sua pace non agli inerti, ai vili, ai pavidi, agli ipocriti, ma solo a quelli che fanno del loro meglio per non sottrarsi agli impegnativi e talvolta ai rischiosi imperativi di una coscienza morale illuminata dalla fede e fortificata o resa audace dall’amore.         

Ancora una volta in Maria, che fu sempre consapevole di tutto ciò, si può trovare la via più autorevole e sicura che porta a Cristo, un modello paradigmatico di fede che conduce non già a una qualsivoglia forma di pace ma unicamente alla pace pur sofferta o costosa di Cristo e in Cristo. Per citare di nuovo papa Benedetto,  «le sofferenze, le prove e le oscurità non corrodono, ma accrescono la nostra speranza, una speranza che non delude» (Ivi).