Papa Benedetto. Rete ed evangelizzazione.

Scritto da Filomena Vecellio.

 

Le reti sociali digitali stanno configurandosi sempre più come nuova “agorà”, come nuovo luogo sociale e culturale di dialogo e di confronto, come «piazza pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove, inoltre, possono prendere vita nuove relazioni e forme di comunità» (Benedetto XVI, Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione, 24 gennaio 2013). Questo ha riconosciuto apertamente il papa che ha osservato come tali spazi, usati con intelligenza e senso di responsabilità, non possano non favorire forme molto utili di comunicazione e di dibattito contribuendo altresí ad incrementare significativamente il sapere di ciascuno e di tutti e a creare nuove e feconde relazioni interpersonali e comunitarie.

Quanto più genuino e serio risulterà lo scambio di informazioni e di analisi tanto più probabile sarà la maturazione di una coscienza collettiva volta, sia pure nella diversità delle voci e delle proposte, non solo a fornire un apporto qualificato alla crescita spirituale dei singoli ma anche a ridare slancio al perseguimento sociale del bene comune. Questa è la convinzione espressa dal papa.

Non si può non convenire con lui. Naturalmente, maggiori sono l’impegno morale, le competenze e le conoscenze immesse nella rete, maggiore può essere il grado di incidenza critica, formativa, educativa, che la rete stessa potrà esercitare sui diversi piani dell’esistenza umana e dello stesso vivere civile, benché «come avviene anche per altri mezzi di comunicazione sociale, il significato e l’efficacia delle differenti forme di espressione sembrano determinati più dalla loro popolarità che dalla loro intrinseca importanza e validità. La popolarità è poi frequentemente connessa alla celebrità o a strategie persuasive piuttosto che alla logica dell’argomentazione. A volte, la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni, e non riesce a destare l’attenzione, che invece viene riservata a quanti si esprimono in maniera più suadente» (Ivi). Come negarlo?

Vale dunque per i social media quello che vale per la politica: di essere utili, efficaci e in taluni casi persino necessari, esclusivamente in ragione dell’uso che se ne fa e più esattamente in ragione della qualità culturale, scientifica, politica o religiosa, dei contenuti che essi volta a volta vengano immettendo nella rete. Se la qualità della comunicazione è alta, non ha importanza che a confrontarsi o a configgere dialetticamente siano posizioni eterogenee all’interno di una stessa cultura oppure culture e visioni del mondo diverse: i risultati non potranno che essere buoni o eccellenti, o comunque vantaggiosi per tutti, tanto più se si considera che, come si esprime di nuovo papa Benedetto, «bisogna far sí che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello”» (Ivi, Discorso nell’Incontro con il mondo della cultura, Belém, Lisbona, 12 maggio 2010).  

I credenti, i cattolici in particolare devono affrontare la sfida dell’era digitale, avendo piena coscienza del fatto che essi sono chiamati a parlare non solo ai propri correligionari ma anche o proprio a tanti di coloro che non condividono la loro fede e i loro valori religiosi, perché la loro testimonianza, certamente utile tra gli stessi cattolici, può diventare ancora più apprezzata e preziosa tra i non cattolici e i non credenti.

Gesù, la Buona Notizia, non possono mancare nei circuiti digitali in cui ormai molti trovano un importante spazio esistenziale, anche perché questi circuiti non sono altro dai concreti circuiti esistenziali ma sono parte integrante «della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani», dove, precisa opportunamente il papa, i «network sociali sono il frutto dell’interazione umana, ma essi, a loro volta, danno forme nuove alle dinamiche della comunicazione che crea rapporti» (Ivi).

Perciò, la «capacità di utilizzare i nuovi linguaggi è richiesta non tanto per essere al passo coi tempi, ma proprio per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti. Nell’ambiente digitale la parola scritta si trova spesso accompagnata da immagini e suoni. Una comunicazione efficace, come le parabole di Gesù, richiede il coinvolgimento dell’immaginazione e della sensibilità affettiva di coloro che vogliamo invitare a un incontro col mistero dell’amore di Dio. Del resto sappiamo che la tradizione cristiana è da sempre ricca di segni e simboli: penso, ad esempio, alla croce, alle icone, alle immagini della Vergine Maria, al presepe, alle vetrate e ai dipinti delle chiese. Una parte consistente del patrimonio artistico dell’umanità è stato realizzato da artisti e musicisti che hanno cercato di esprimere le verità della fede» (Ivi).

Ma non meno necessario è l’avvertimento che segue: «Per coloro che hanno accolto con cuore aperto il dono della fede, la risposta più radicale alle domande dell’uomo circa l’amore, la verità e il significato della vita – questioni che non sono affatto assenti nei social network – si trova nella persona di Gesù Cristo. E’ naturale che chi ha la fede desideri, con rispetto e sensibilità, condividerla con coloro che incontra nell’ambiente digitale. In definitiva, però, se la nostra condivisione del Vangelo è capace di dare buoni frutti, è sempre grazie alla forza propria della Parola di Dio di toccare i cuori, prima ancora di ogni nostro sforzo. La fiducia nella potenza dell’azione di Dio deve superare sempre ogni sicurezza posta sull’utilizzo dei mezzi umani. Anche nell’ambiente digitale, dove è facile che si levino voci dai toni troppo accesi e conflittuali, e dove a volte il sensazionalismo rischia di prevalere, siamo chiamati a un attento discernimento. E ricordiamo, a questo proposito, che Elia riconobbe la voce di Dio non nel vento impetuoso e gagliardo, né nel terremoto o nel fuoco, ma nel “sussurro di una brezza leggera” (1 Re 19,11-12)».

Sí, è vero: solo se lo Spirito di Dio ci accompagnerà e illuminerà sempre, potremo essere davvero, anche noi laici, come auspica conclusivamente il sommo pontefice, «araldi e testimoni del Vangelo. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15)».