L'addio di Benedetto XVI

Scritto da Francesco di Maria.

 

Sulle cose che contano Benedetto XVI è stato fedele al mandato di papa della Chiesa cattolica conferitogli dal collegio cardinalizio il 19 aprile 2005. Contrariamente a quanto recentemente sostenuto dal britannico The Guardian che, con riferimento alla sua enciclica sociale “Caritas in veritate”, ha ritenuto di doverne lodare la “politica sociale liberale” criticandone invece il mancato “ripensamento delle dottrine etiche” comprensive ovviamente dei temi dell’omosessualità, del celibato, dell’aborto, della contraccezione o del fine-vita, un cattolico che si rispetti non può oggi che elogiare il modo in cui il papa ha trattato queste delicatissime tematiche senza nulla concedere alle pruriginose istanze di tanta contemporaneità, mentre non può non ritenere ambiguo o problematico quell’aggettivo “liberale” usato per qualificare la politica sociale delineatasi nell’enciclica “Caritas in veritate” e in alcuni altri vigorosi interventi pontifici.  

Il Guardian scrive che, proprio l’aver trascurato o l’aver affrontato con tradizionalistico spirito repressivo tutto ciò che ha a che fare con i cosiddetti “nuovi diritti civili” dell’umanità, avrebbe segnato il declino della fede cristiana in Europa e nel Nord America con un crollo verticale di vocazioni e conseguente importazione di un clero africano e asiatico non di rado apparso improvvisato e teologicamente inadeguato. Ma il giornale britannico è evidentemente inconsapevole del fatto che i preti e le vocazioni mancano generalmente in diocesi e congregazioni “progressiste” più che “tradizionaliste”, anche se questo dato non inficia la constatazione che comunque nel mondo cattolico in generale si stia registrando una preoccupante riduzione di vocazioni sacerdotali.

Tuttavia, questo calo non si deve affatto al mancato soddisfacimento pontificio di esigenze francamente irricevibili del mondo laico, perché malsane e spesso perverse (e se per ipotesi fosse invece proprio questa la ragione, i cattolici dovrebbero essere fieri di difendere la Chiesa di Cristo a denti stretti da falsi preti e false vocazioni), quanto semmai al venir meno della Chiesa nel suo complesso alla sua funzione di riscoperta e riascolto quotidiani della Parola di Dio e di martellante annuncio profetico delle principali verità soteriologico-escatologiche della stessa fede in Cristo.

Se proprio un limite relativo si volesse individuare nel magistero di papa Ratzinger, esso forse potrebbe consistere nell’assenza dalla sua predicazione di un impegno sul versante economico e sociale ancor più deciso, marcato, appassionato e coinvolgente di quel che pure egli ha profuso, sul versante cioè su cui, non meno che su quello delle dottrine etiche cui sopra si è fatto riferimento, si compiono quotidianamente un innumerevole numero di iniquità portate alla luce solo dai periodi di particolare e prolungata crisi ma determinate quotidianamente da assetti politici ed economico-sociali di potere che per l’appunto dovrebbero essere non saltuariamente e talvolta ambiguamente ma stabilmente e inequivocabilmente presenti nel mirino critico-profetico della Chiesa e dello stesso magistero pontificio.

Quanto poi alle ragioni per le quali Benedetto XVI abbia inteso congedarsi anzitempo dal pontificato, penso che esse siano note solo a Dio e che solo a Dio il papa dovrà renderne conto. Non penso cioè che esse, anche se fossero semplicemente quelle dichiarate dal pontefice, richiedano necessariamente il nostro consenso e la nostra approvazione oppure il nostro dissenso e la nostra contrarietà di cattolici, la nostra consueta retorica apologetica o la nostra critica di stampo un po’ moralistico o strumentale.  Sulla legittimità giuridica della decisione del papa non vi sono dubbi, mentre sulla liceità morale e spirituale di essa solo lui può esserne consapevole e solo il Signore potrà esprimere un giudizio definitivo e inappellabile.  

Il gesto del pontefice, certo, non può non suscitare in ognuno di noi delle sensazioni variabili da caso a caso, perché le nostre sensibilità soggettive sono molteplici pur accomunate dalla stessa fede, ma è e sarebbe molto inopportuno che adesso ci si dedicasse in casa cattolica ad incensare o a riprovare un gesto di cui, va ribadito, porta la responsabilità solo chi lo ha compiuto e di cui, a parte Dio, nessun altro, anche volendo, potrebbe farsi giudice.

Semmai, poiché un papa che lascia il pontificato da vivo potrebbe anche condizionare direttamente o indirettamente la vita futura della Chiesa e addirittura l’attività spirituale e apostolica del nuovo pontefice, è altamente auspicabile che i cattolici, e non solo i cattolici curiali, non parlino più del papa dimissionario, respingendo eventualmente anche i tentativi dei massmedia di alimentare polemiche o speculazioni di varia natura, e altrettanto auspicabile è che in qualsivoglia sede, dal più umile pulpito della più sperduta chiesetta del pianeta alla cattedra più prestigiosa di qualche rinomata accademia cattolica, non ci si metta a fare confronti impropri e inopportuni tra lui e colui che sarà il nuovo papa per non rischiare di ostacolare l’opera missionaria di quest’ultimo e il già molto travagliato cammino della Chiesa.

Benedetto XVI ha detto di voler pregare per il bene della Chiesa e di tutti i suoi figli: saprà certamente farlo in silenzio e nel silenzio da lui stesso invocato e, più che in qualità di papa emerito, che è il titolo canonicamente e spiritualmente sbagliato che la gerarchia ha inteso attribuirgli e tributargli, in qualità di vescovo emerito di Roma e anzi per la precisione, avendo egli stesso annunciato pubblicamente l’11 febbraio del 2013 la sua volontaria rinuncia “al ministero di Vescovo di Roma, Successore di san Pietro”, in qualità di “già romano pontefice” (la stessa dizione per la quale si era optato molti secoli addietro per il dimissionario Celestino V), ormai definitivamente morto al mondo e agli stessi titoli ecclesiastici: perché il papa non può essere emerito, perché il papa è uno e uno solo. Sempre e comunque

Molti esponenti della cultura laica e, talvolta, della stessa cultura cattolica, colgono nel gesto di papa Benedetto XVI una lezione significativa, quella per cui egli, abdicando al papato, avrebbe inteso sottolineare che nella Chiesa, che è di Cristo e di nessun altro, nessuno è indispensabile, cosí come, specialmente secondo alcuni interpreti cattolici, nell’impegnarsi ad essere “fedele e obbediente” al papa che gli succederà sul soglio di Pietro, egli avrebbe inteso lasciare un potente monito a tutti i credenti cristiani, ovvero a sottrarsi alla ricorrente e demoniaca tentazione di vivere da soli la propria fede e la propria vita e a recuperare come valore centrale della propria esperienza di fede quello dell’obbedienza.

Solo che, per quanto riguarda il principio che nessuno, ivi compreso il papa, sia nella e per la Chiesa assolutamente indispensabile, esso varrebbe anche nel caso in cui un papa, pur tra tantissime amarezze e abbandonato da tutti e persino dai suoi più stretti collaboratori, decidesse di rimanere in carica sino al sopravvenire della morte; mentre, per ciò che concerne l’obbedienza, sarebbe auspicabile che non accadesse quello che invece qualche teologo cattolico sconsideratamente sembra augurarsi, ovvero che «il suo gesto di abilissima ritirata strategica» possa consentire da ora in poi allo stesso Ratzinger «di mettere a frutto le sue straordinarie doti di cultura e di saggezza per aiutare il nuovo Papa e la Chiesa a risorgere e a camminare sulle vie del Signore» (Padre Giovanni Cavalcoli, Perché il papa ha dato le dimissioni, in www.riscossacristiana, 14 febbraio 2013).

Ecco: proprio questa eventualità sarebbe deprecabile, sia perché Ratzinger ha dichiarato di aver fatto “già abbastanza” (“quel che ho fatto è più che sufficiente”, sono le sue testuali parole) come papa, e quindi non si vede perché egli dovrebbe continuare a sentirsi utile al nuovo papa e alla Chiesa al di fuori della sua esclusiva e silenziosa attività di preghiera e meditazione, sia perché ormai, al pari e forse più di tutti gli altri credenti, egli si è solennemente impegnato solo ad essere fedele al pontefice che sarà eletto e alla Chiesa di domani che, sotto il soffio vitale e vivificatore dello Spirito Santo, sarà ancora e sempre capace di «risorgere e camminare sulle vie del Signore». Anche lo studioso e il teologo Ratzinger potranno continuare a scrivere ma egli sarà cosí saggio da esigere che la sua produzione venga pubblicata postuma e consegnata all’umanità dopo la sua morte. Addio papa Benedetto e grazie di tutto quello che hai fatto per noi nel nome e per conto di Cristo!