Misericordia e castigo di Dio
Nel mondo e in particolare nel mondo cristiano e cattolico Dio è famoso per la sua misericordia, è famoso un po’ meno per la sua giustizia, mentre è abbastanza impopolare per il suo potere di comminare castighi ai singoli, ai popoli o all’umanità intera. Nonostante il Dio cristiano non abbia nulla di antropomorfico avendo fatto in modo che fosse piuttosto l’uomo da lui creato ad assomigliare a lui e a doversi conformare ai suoi desideri e alla sua volontà, molti di coloro che dicono di credere in tale Dio ancora oggi tendono a rappresentarselo secondo esigenze ed aspettative soggettive, a volte decisamente discutibili, che assai di rado coincidono perfettamente con l’idea che di Dio si può e si deve ricavare da una lettura e da uno studio attenti e ispirati della Bibbia e del vangelo.
Dio è buono e quindi perdona sempre, illimitatamente e incondizionatamente, perché tende a scusare le sue creature anche per colpe di cui esse non siano totalmente consapevoli o di cui non siano capaci di pentirsi completamente. Dio è misericordioso verso tutti, verso credenti e non credenti, verso i buoni e verso i cattivi, perché anche il peggiore degli esseri umani è pur sempre una sua creatura che sia pure inconsciamente ha bisogno del suo amore. Quante volte accade di sentire esprimere, magari a mezza bocca, frasi e convinzioni di questo tipo! Ma, in realtà, le cose, da un punto di vista rigorosamente biblico ed evangelico, non stanno proprio cosí. Non perché effettivamente il peccatore non possa, persino in extremis, pentirsi delle sue colpe ed essere giustificato da Dio, mentre il giusto non possa allontanarsi dalla giustizia e commettere inopinatamente iniquità perdendo cosí se stesso (Cfr. Ezechiele 18, 5-30), ma semplicemente perché la misericordia divina non è dovuta, non è obbligata, non è necessitata a manifestarsi indipendentemente dalla condotta degli uomini bensí agisce in ragione della capacità spirituale stessa di quest’ultimi di desiderarla e di invocarla proprio a causa dei loro peccati e dei loro limiti.
Forse queste considerazioni non sono molto tranquillizzanti, ma, per una rappresentazione di Dio obiettivamente fondata sulle sacre scritture, non si può definire saggio chi dà per scontato il perdono di Dio. Come recita il Siracide (cap. 5, 4-7): «Non dire: ‘Ho peccato, e che cosa mi è successo?’, perché il Signore è paziente. Non essere troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: ‘La sua misericordia è grande; mi perdonerà i molti peccati’, perché presso di lui ci sono misericordia e ira, il suo sdegno si riverserà sui peccatori. Non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno, poiché improvvisa scoppierà l’ira del Signore e al tempo del castigo sarai annientato». Il perdono e la misericordia sono un dono divino completamente gratuito e solo chi si sforza sinceramente di convertirsi quanto più stabilmente e radicalmente possibile a Dio può sperare di ottenerlo attraverso una consapevolezza sempre viva delle proprie colpe e delle proprie insufficienze e una preghiera di richiesta e di lode che si alzi incessantemente al Signore.
Non bisogna mai dimenticare che «tanto grande la sua misericordia, quanto grande la sua severità; egli giudicherà l’uomo secondo le sue opere» (Siracide, cap. 16, 13), un concetto ampiamente affermato negli stessi testi neotestamentari. La misericordia di Dio è certo infinita e viscerale, ma non è di tipo “buonista”, è incondizionata ma, per libera e insindacabile scelta di Dio stesso, ha il suo unico limite nella giustizia divina, sicché Dio è sempre misericordioso in quanto giusto ed è sempre giusto essendo misericordioso in uno spirito di verità. Non può quindi accadere che Dio possa essere misericordioso verso chi scientemente o comunque colpevolmente non si prodighi con sufficiente diligenza e onestà per assimilare correttamente la Parola di Dio e per aderire intellettualmente e moralmente alla sua Verità.
Purtroppo, i “buonisti”, che anche in ambito cattolico sono presenti in numero già cospicuo, intendono la misericordia divina, in modo errato e fuorviante, come pura e semplice bontà che prescinderebbe da ogni sforzo umano di apprendere e attuare praticamente nella propria vita le cose vere e sante insegnate da nostro Signore Gesù Cristo, come qualcosa che coinciderebbe con una pura e semplice abolizione di ogni giustizia divina, di ogni severità o coercizione giuridica, di ogni sanzione penale compresa la stessa condanna infernale.
Quel che i “buonisti” non fanno altro che omettere scioccamente e stoltamente è che la misericordia divina non può esercitarsi a prescindere dal vangelo o contro le verità evangeliche annunciate da Cristo. Anzi, essi, in modo del tutto arbitrario giungono a sottovalutare o a ritenere marginali o puramente pedagogici i gravi e precisi moniti di Gesù che si trovano contenuti in tutt’e quattro i vangeli.
Peraltro, è da notare, i “buonisti”, che pretendono di esercitare la carità indipendentemente dalla verità o in aperto disprezzo delle divine esigenze di quest’ultima, non sono esenti da rancore, odio, invidia, prepotenza e intolleranza quando hanno a che fare direttamente con quei cattolici, ivi compreso il papa, che per fedeltà alla Chiesa e ai suoi intangibili dogmi ricordano loro caritatevolmente le verità che essi negano o interpretano in modo a dir poco riduttivo e superficiale. Ad ogni forma di buonismo teologico i cattolici seri e coerenti, che non significa perfetti, devono essere capaci di opporre un discrimine spiritualmente e teologicamente necessario: quello per cui la misericordia di Dio si possa ottenere solo là dove vi siano intima adesione a tutte le verità della Rivelazione divina e umile confessione delle proprie colpe, o almeno ricerca instancabile e moralmente integra della verità.
La misericordia di Dio è un grande dono ma è un dono mai meritato che va conservato, va difeso, va continuamente riconquistato con tutte le forze e con tutta la buona fede di cui si dispone. Trovarsi in una condizione di oppresso senza perdere mai la speranza dell’amore di Dio, avere il cuore sempre dolorosamente contrito a causa dei peccati sempre risorgenti nella nostra vita: queste sono le condizioni necessarie perché Dio ci conceda sino alla fine la sua misericordia. Dio non si indigna per il peccato e i peccati cui siamo soggetti e spesso assoggettati, ma per la nostra assuefazione al peccato, per la leggerezza con cui percepiamo i peccati commessi, per la mancanza in noi di una umile e strenua seppur logorante lotta contro tutto ciò che è violazione dei precetti divini.
Quando la nostra fede è solo di facciata oppure procede disgiunta da ogni serio impegno contro il male che è in noi e fuori di noi, il maligno si è già impadronito o sta impadronendosi di noi. Viceversa, se pur avendo fede cadiamo nel peccato ma facciamo di tutto per rialzarci fidando nella pietà divina, possiamo esser certi che la misericordia divina si è già effusa o sta per effondersi sulla nostra vita. Come scriveva sant’Ambrogio nell’opera “La penitenza”: «Hanno ceduto alla tentazione del diavolo, ma temporaneamente. Il demonio si è dovuto allontanare da loro non essendo riuscito a guadagnarli alla sua causa. Si è ritirato innanzi al loro pianto, all’afflizione del pentimento». Il diavolo si ritira sempre quando dimostriamo con i fatti di desiderare e di aver costantemente bisogno della misericordia divina.
Ciò precisato e premesso, è biblicamente ed evangelicamente corretto affermare che la misericordia divina può manifestarsi e si manifesta talvolta anche sotto forma di punizione o di castigo. Emblematico in tal senso è l’Antico Testamento, ancora oggi da molti a torto definito come il libro della violenza divina, in cui il popolo d’Israele, pur spesso sperimentando concretamente l’amore e la vicinanza di Dio, si dimostra ingrato e ribelle ai suoi ordini, per cui Jahvè, spinto da profondo amore paterno per il suo popolo, gli commina a volte severe punizioni perché esso si ravveda e si purifichi dai suoi peccati. Altre volte permette che Israele si trovi ad affrontare prove particolarmente difficili in quanto Jahvè, volendo potenziare ed affinarne la fede, proprio attraverso esse cerca di educarlo alla sofferenza, alla pazienza, alla fortezza spirituale e alla disciplina interiore, all’umiltà, alla croce, all’espiazione, alla liberazione da ogni forma di sicurezza mondana, e infine ad una fede incondizionata e rocciosa nell’unico Dio di giustizia e di misericordia.
Il senso pedagogico di queste modalità punitive e sanzionatorie della misericordia di Dio emerge inequivocabilmente da molti testi biblici. Ad esempio, nei “Proverbi” si legge: «Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto» (3, 11-12) e poi: «Correzione severa per chi abbandona il retto sentiero; chi rifiuta i rimproveri morirà!…Lo spavaldo non vuol essere corretto, egli non si accompagna con i saggi» (15, 10-12); in un salmo particolarmente significativo si legge: «Castigando il suo peccato tu [o Signore] correggi l’uomo» (Sl 39, 11), e in un altro salmo si riafferma all’incirca lo stesso concetto: «Signore, Dio nostro, tu li esaudivi, eri per loro un Dio paziente, pur castigando i loro peccati» (99, 8).
Non mancano evidentemente scritti neotestamentari in cui questa pedagogia di Dio viene ampiamente confermata e sottolineata. La “lettera agli ebrei” recita cosí: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio» (12, 5-6), mentre nell’Apocalisse giovanneo sta scritto: «Io tutti quelli che amo li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti!» (3, 19).
Ma Gesù, si può obiettare, è un salvatore o un educatore? Gesù unico Salvatore dell’umanità come della singola creatura è anche colui che educa l’una e l’altra a riflettere sui propri atti e sui propri errori inducendole a comprendere sempre meglio che solo lui e il suo insegnamento sono via di salvezza, anche se non è detto che la sua opera educativa vada sempre a buon fine. Ovviamente, il Signore a fin di bene può castigare in forme molteplici e diverse, a seconda delle particolari esperienze e delle specifiche situazioni esistenziali degli uomini e di ogni singolo uomo. Egli spera sempre di recuperare i suoi figli ad una vita ricca di significato umano e spirituale, di promuoverne quanto più e meglio possibile la santificazione e la consacrazione a quegli ideali di servizio disinteressato, di donazione caritatevole priva di inflessioni narcisistiche, di impegno umano civile sociale completamente chiuso o refrattario a qualsivoglia riconoscimento o gratificazione di natura storico-mondana, ed è appunto a motivo di questa divina speranza divina che Gesù usa tutte le tecniche o le metodologie della sua infinita bontà per ottenere dai suoi figli terreni quanto di meglio è o sarebbe nelle loro capacità di dare in questo mondo per la costruzione escatologica del Regno celeste.
Poi però c’è anche un castigo divino che non ha più niente di pedagogico e che è di natura esclusivamente punitiva, pur restando a pieno titolo parte integrante del suo piano redentivo. Potrebbe Dio essere davvero giusto se, alla fine, non operasse alcuna distinzione tra coloro che hanno fatto di tutto per seguirne le orme, sia pure attraverso percorsi esistenziali molto travagliati e contorti, e coloro che non hanno fatto nulla o hanno fatto poco per ottemperare ai suoi comandi, sia pure in presenza di percorsi esistenziali tutto sommato favorevoli e funzionali al soddisfacimento di quelle istanze tipicamente cristiane di povertà e di servizio nella carità e nella giustizia?
Qui è inutile farsi illusioni. La Parola di Dio è chiarissima e i cosiddetti “buonisti”, e in ogni caso gli spiriti molli o sentimentali, non hanno molte chances di natura esegetica. Il “Siracide” recita significativamente: «Non unirti alla moltitudine dei peccatori, ricordati che la collera divina non tarderà. Umilia profondamente la tua anima, perché castigo dell’empio sono fuoco e vermi» (7, 16). In un salmo si legge: «Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non seguiranno i miei decreti, se violeranno i miei statuti e non osserveranno i miei comandi, punirò con la verga il loro peccato e con flagelli la loro colpa» (89, 31). Per non fare riferimento ai vangeli da cui si apprende tra l’altro che «chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3, 36) e che, prima o poi, «verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13, 49).
Potrebbero sussistere dei dubbi, nello spirito di un cristiano peccatore ma onesto, circa il fatto che la misericordia divina non sia incompatibile ma perfettamente conciliabile con il castigo divino?