Forza e debolezza di Dio

Scritto da Francesco di Maria.

 

Quando un giorno gli uomini che avranno abitato nel tempo delle loro vite terrene saranno costretti a constatare che il Dio-Amore annunciato dai profeti e soprattutto da Gesù, in forma perfetta e definitiva, non era e non è una ingannevole fola ma una inoppugnabile realtà personale da cui dipende ogni forma di esistenza, essi si troveranno al cospetto dell’unica e indiscutibile verità della loro vita. La conseguenza sarà un eterno destino di gloria solo per coloro che durante la loro esperienza terrena, sia pure tra dubbi, cadute e tormenti di varia natura sempre coraggiosamente affrontati e superati, avranno creduto nella Parola di Cristo e nell’infinita misericordia di Dio, mentre un eterno destino di dannazione sarà ad attendere gli altri ovvero tutti coloro che per orgoglio non avranno voluto aderire sino alla fine alle particolari sollecitazioni dello Spirito Santo e non avranno inteso convertirsi, pur avendone concreta opportunità, a Cristo Salvatore.

Noi tutti un giorno ci renderemo conto che il Dio incarnatosi in Gesù Cristo è realmente un Dio infinitamente misericordioso e giusto in quanto Dio realmente potente ed onnipotente. Infatti, come potrebbe Dio garantire e distribuire a tutti e a ciascuno la sua misericordia e la sua giustizia se non avesse il potere di farlo? Se, a differenza di tutti i poteri terreni ed umani, il suo potere non fosse infallibile, rigoroso e ineccepibile? Dio è buono, Dio è giusto, ma solo perché Dio è potente e anzi, ben al di là di ogni potere storico-umano, onnipotente. Il potere di Dio è costitutivamente al servizio e in funzione della verità, della carità e della giustizia. Se il Dio-con-noi non fosse un Dio ontologicamente potente e molto più potente di qualsivoglia potere reale o possibile, la sua verità, la sua carità, la sua giustizia sarebbero concetti e promesse semplicemente aleatori e risibili.  

Questo Dio è capace di assicurare giustizia e amore non in un generico e vago senso spirituale ma realisticamente persino assumendo la forma di un uomo comune che subisce molteplici umiliazioni e muore crocifisso sulla croce. Non è semplicemente un Dio che consola i malati, i carcerati, i moribondi e gli afflitti di ogni specie, ma un Dio che promette la loro liberazione dal peccato e dalla morte perché ha il potere effettivo di farlo, perché ha il potere regale e reale di fare di ognuno di noi, a seconda della condotta di ciascuno, quello che vuole.

Il Dio di Cristo è un Dio debole solo perché è un Dio forte, un Dio onnipotente e invincibile: solo un Dio che può risuscitare dalla morte, da una condizione di totale annichilimento esistenziale, può sopportare di vivere come un semplice uomo, come un uomo debole e vilipeso, maltrattato e oppresso, misconosciuto e crocifisso. Non è che la debolezza di questo Dio sia allora una finzione, visto che tutto è già stabilito: la debolezza è reale, non immaginaria, è realmente sperimentata nella sua carne dal Figlio di Dio e dal Figlio dell’uomo, essa è un veritiero e concreto passaggio di sofferenza lancinante cui Dio, per essere coerentemente tra e con gli uomini, si è voluto sottoporre al fine di indicare che la via della salvezza è lastricata di dolori e pene, di rinunce e sacrifici, di angosce e di lutti strazianti. Ma la debolezza di Dio ha la sua ragion d’essere nell’onnipotenza di Dio come quest’ultima si manifesta anche nella fragilità e nella finitezza delle cose e delle esistenze umane.

Essendo davvero potente, Dio potette punire l’umanità peccatrice catapultandola in un mondo di provvisorietà e di infelicità individuale e collettiva, ed essendo davvero potente Egli potette avere pietà della sua creazione e delle sue creature sino al punto di raggiungerle come Figlio unigenito nei recessi più oscuri e impenetrabili del loro infelice stato esistenziale affinché niente e nessuno fosse privato della possibilità di convertirsi e di intraprendere un glorioso cammino di ritorno verso il Cielo. Dio è potente e il suo potere non solo è incomparabilmente superiore a quello di angeli, demòni ed esseri umani, ma ha anche una natura radicalmente diversa.

Il potere degli uomini, esercitato attraverso lo Stato e i suoi organi di controllo e di difesa, è volto a garantire, sia pure in modo più o meno approssimativo, la tutela delle leggi e dei diritti individuali e collettivi, indipendentemente dal fatto che tali leggi e tali diritti siano fissati in ossequio alle leggi e ai diritti stabiliti da Dio; d’altra parte, il potere degli uomini, quale che sia l’ambito in cui venga esercitato, spesso si configura come puro e semplice arbitrio molto lontano da criteri tendenzialmente oggettivi di giustizia ed eguaglianza e che dunque favorisce alcuni e penalizza altri solo o prevalentemente sulla base di criteri settari, clientelari, discrezionali, corporativi, ovvero profondamente iniqui e socialmente dannosi.

In tal senso, il potere umano è molto spesso usato come mezzo di umana prepotenza, là dove invece il potere divino è sempre e comunque usato in funzione della perfetta giustizia, contro ogni forma di prevaricazione, di prepotenza e di sopruso. Dio mette il suo potere al servizio dei deboli, degli oppressi, degli emarginati, e naturalmente di tutti coloro che, non dimentichi del fatto che “giustizia e diritto sono la base del suo trono” (salmo 97), fanno del loro meglio per comportarsi di conseguenza. Il potere di Dio, contrariamente al potere umano, è sinonimo di estrema attenzione al vissuto più intimo delle persone, di intensa e delicata preoccupazione circa il fatto che alla fine ad ognuno possa essere dato quel che realmente avrà meritato, per grazia stessa di Dio, in termini di impegno per la giustizia in tutte le sue forme e in tutti i significati che essa assume alla luce della Parola di Dio.

Si comprende altresí come questo Dio potente, contrariamente a quel che spesso accade per gli uomini potenti, non usa parzialità né accetta regali né chiede tangenti, perché non agisce per far valere interessi personali ma gli interessi generali e il bene universale di tutti e di ciascuno. E’ un Dio potente che ama la debolezza o meglio la debolezza di chi si sente debole anche se in possesso di un qualche elemento materiale o spirituale di forza, di chi percependosi in uno stato di debolezza strutturale si sente forte soltanto della forza stessa di Dio, di chi è spiritualmente certo che la sua debolezza esistenziale è già suscettibile di trasformarsi in una realtà personale di inossidabile e imperitura forza corporea e spirituale in virtù delle puntuali e infallibili promesse divine di immortalità e felicità eterne.

Questo Dio ama talmente la debolezza umana e soprattutto la debolezza di chi sa accettarla senza recriminare ma solo confidando nella misericordiosa giustizia divina da rendersi debole in quanto Figlio al pari del più debole e del più reietto degli esseri umani. E’ un Dio fortissimo e “terribile” che dà in prima persona l’esempio di cosa significhi vivere in Dio e secondo Dio, che sfida tutte le potenze terrene dal basso della sua nobilissima debolezza con atti spirituali e pratici qualitativamente superiori alle più accreditate prassi etico-civili del mondo, prima che dall’alto della sua irresistibile e travolgente potenza.

Quanto più siamo deboli tanto più Dio è debole insieme a noi, ma la fede nella presenza di un Dio debole con noi è la ragione principale della nostra fondata speranza, e radicata nell’esperienza reale di Cristo crocifisso e poi risorto, di poter essere resi forti da lui e con lui per l’eternità. Dio è indotto dalla sua forza misericordiosa a desiderare che le sue creature gli chiedano di poter attingere da lui la forza e tutta la forza di cui necessitano. Sant’Ignazio di Loyola riteneva che non c’è nulla che non possiamo sperare da Dio e che non c’è nulla di quanto ci sia realmente necessario che non possiamo e non dobbiamo chiedergli con incondizionata fiducia, anche se al tempo stesso, pur nella nostra debolezza, dobbiamo sforzarci di fare quel che ci sia possibile fare senza pensare che l’aiuto di Dio sia automatico. Sperare che Dio ci aiuti, infatti, non può essere un pretesto per non fare nulla e per giustificare la nostra pigrizia in attesa di un intervento divino del tutto meccanico o scontato.

Come credenti cristiani non possiamo indulgere all’errore di pensare di poterci crogiolare nelle nostre pur reali debolezze affidando fatalisticamente e passivamente a Dio il compito di risolvere i nostri problemi, perché al contrario «dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14, 21-27). Noi dobbiamo darci da fare: sempre, in ogni caso! Solo che, consci del fatto che comunque ogni nostro sforzo sarebbe insufficiente a raggiungere i risultati sperati, dobbiamo confidare nell’aiuto divino nello stesso modo in cui e con la stessa intensità con cui un bambino confida nell’aiuto del proprio genitore. Come dire: “Padre, ho fatto o sto facendo del mio meglio, o forse no, ma questo è tutto quello che io sono riuscito o riesco a fare: ti prego, non lasciarmi solo, stammi vicino, aiutami, senza di te mi sento perso. Ho bisogno di sentirti vicino a me, qualunque cosa succeda!”. Ecco perché il Signore dice: "Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli".

Chi si sente autosufficiente conta solo su se stesso e sulle proprie forze, ha la pretesa di realizzare determinati progetti esattamente nei modi o nelle forme in cui li ha pensati, mentre chi si sente limitato e incapace confida di poter realizzare qualcosa di buono solo in virtù dell’assistenza divina e non secondo la propria volontà ma secondo la volontà di Dio. Il Dio forte, potente e terribile dell’antico testamento è sempre stato e sempre sarà alla testa di un esercito di persone deboli guidato da Cristo e di un esercito capace di sconfiggere, alla fine di una lunga e difficile guerra plurimillenaria, gli eserciti all’apparenza molto più corazzati e inespugnabili dei tanti faraoni, piccoli e grandi, di questa terra. Il “Dio degli eserciti” è lo stesso Dio che abita nel Cristo “mite ed umile di cuore”.