Alberoni e l'erotismo oggi
Pochi uomini al mondo sanno sfruttare il genere femminile come il professor Francesco Alberoni che, con i suoi numerosi libri melliflui e accattivanti sui sentimenti femminili e sui rapporti amorosi intercorrenti tra donne e uomini ha costruito la sua vera fortuna di esperto saggista non priva naturalmente di rilevanti risvolti di carattere economico. Nel suo ultimo volume, intitolato “L’erotismo” e pubblicato da Garzanti 2013, è convinto di poter fissare una differenza sostanziale tra l’erotismo maschile e quello femminile nel fatto che il primo sarebbe «fondamentalmente visivo, genitale, promiscuo», mentre «quello femminile» sarebbe «diffuso, coinvolge tutti gli aspetti sensoriali e si rivolge a qualcuno che ha valore, che emerge. L'erotismo maschile è eccitato dalle forme fisiche, dalla visione del rapporto sessuale. Quello femminile invece é più influenzato dai sentimenti, dalla passione, dal valore. Il maschio spesso desidera un rapporto sessuale con una donna anche quando non prova per lei alcun interesse sentimentale, o addirittura nessun desiderio di dialogare (pensiamo alla prostituta). La donna invece cerca sempre nell'uomo un rapporto psicologico o perlomeno qualche qualità morale o sociale».
Ora, non vorrei essere pregiudizialmente scortese con Alberoni, di cui riconosco l’indubbia statura intellettuale, ma a me pare che questi suoi giudizi, lungi dal richiedere riflessioni particolarmente profonde e osservazioni solidamente legate all’esperienza, riflettano abbastanza pedissequamente idee piuttosto stereotipate e valutazioni tutto sommato tanto lusinghiere quanto astutamente accattivanti e coinvolgenti per il pubblico femminile. A me che, in 65 anni di vita, è capitato di sperimentare e conoscere una realtà femminile e una realtà maschile probabilmente più complesse e articolate rispetto a quelle descritte da Alberoni, sorge il sospetto che il celebre sociologo piacentino, più per motivi psicologici ed affettivi che per intima convinzione logica e sociologica, abbia preso per buona la narrazione di qualche sua amica accademica interessata più alla costruzione avvincente ma strumentale di una sia pur qualificata mitologia femminile che non ad un rigoroso esame critico della realtà.
A me la realtà pare molto diversa da quella raccontata da Alberoni, perché le sue descrizioni forse potevano passare fino a 50-60 anni fa, quando ancora i modelli familiari ed educativi, i costumi sociali, i vissuti soggettivi, le forme del sentire individuale e collettivo, l’uso stesso della parola, erano generalmente tali da iniettare ancora del “romanticismo” nei rapporti tra donne e uomini, ma francamente oggi, in un contesto storico complessivo radicalmente mutato, quello che egli sostiene appare molto inesatto se non ipocrita e necessita di essere energicamente integrato.
Il punto è questo: abbiamo assistito nell’ultimo mezzo secolo ad una reale emancipazione delle donne, vorrei dire nel bene e anche nel male, emancipazione che non si può certo ritenere conclusa, fortunatamente per le cose positive e sfortunatamente per le cose negative che essa è venuta producendo, e, nel corso di essa le tradizionali distanze tra donne e uomini si sono venute sensibilmente riducendo sino a risultare in certi casi persino nulle o azzerate. Gli aspetti sentimentali, relazionali, sessuali, erotici della personalità e della vita femminili in genere hanno anch’essi subíto delle significative trasformazioni nel corso di questo processo emancipativo e, in definitiva, da questo specifico punto di vista, le differenze tra donne e uomini non sono più obiettivamente cosí vistose e consistenti come erano o potevano apparire sino a mezzo secolo fa.
In molti casi l’emancipazione femminile, cui peraltro non ha corrisposto un’emancipazione maschile altrettanto tumultuosa e rilevante, ha coinciso in molti casi con un adeguamento del genere femminile a modelli o stili di vita tipicamente maschili, a modi di pensare e di agire non particolarmente diversi da quelli maschili e in particolare a modi di vivere la sessualità, le relazioni erotiche e sentimentali addirittura in competizione con quelle già molto aggressive e trasgressive dell’immaginario maschile. Non che la “femminilità” di un tempo sia morta, ma, salve facendo le consuete eccezioni che non tolgono del tutto la speranza di una sua rinascita sia pure in versioni necessariamente rivedute e corrette, si è talmente ridotta da apparire oggi quasi come un miraggio.
La verità è che quello che Alberoni attribuisce all’uomo e alla donna, sotto l’aspetto erotico, è quasi perfettamente interscambiabile, nel senso che, purtroppo, oggi l’erotismo femminile è anch’esso, come quello maschile, abbastanza «visivo, genitale, promiscuo» ed «eccitato dalle forme fisiche, dalla visione del rapporto sessuale», e lo è a tal punto da determinare anzi un progressivo e tristemente significativo arretramento psicologico del genere maschile nel suo insieme proprio sul versante sessuale.
Beninteso, non che non ci sia più spazio nella contemporaneità per “i sentimenti”, per “la passione”, per “il valore”, tutte cose accreditate unilateralmente da Alberoni alle donne, ma le cose ormai sono cambiate, dal momento che da una parte una donna sempre più “emancipata” guadagna in autonomia che però di fatto tende a renderla sempre più impaziente e sprezzante verso l’uomo e dall’altra un uomo che si vede o si sente sempre più spodestato dal suo tradizionale ruolo di maschio forte e autorevole tende generalmente ad avvertire molto più che in passato il desiderio o il bisogno di un tipo di femminilità più distesa, più affabile, più amichevole, più fiduciosa e più tranquillizzante.
E’ poi evidente che, pur essendo vero che, come rileva l’accademico emiliano, continuano ad esserci sempre maschi che con le donne non vogliono neppure dialogare ma semplicemente copulare (si pensi alla loro abitudine di frequentare le prostitute di professione), la stessa cosa tuttavia, sia pure in forme diverse e con buona pace del “politicamente corretto”, si possa tranquillamente riferire a molte donne che, per tutta una serie di motivi tra cui anche quello particolarmente penoso relativo alla loro condizione di solitudine affettiva, pensano di doversi rifugiare, o realmente o immaginariamente, nel sesso più carnale e più disinibito, e che persino con l’uomo più saggio ed equilibrato del mondo non hanno alcuna intenzione di dialogare per non rischiare, esse ritengono, di sentirsi ancora più alienate.
Identica è la considerazione che può farsi su un ulteriore passaggio dell’analisi sostanzialmente superficiale di Alberoni: «Maschi e femmine sono ugualmente infedeli, ma mentre i maschi sono pronti a tradire con qualsiasi tipo di donna, le donne tradiscono solo con qualcuno per cui ne vale la pena. Nel rapporto di corteggiamento la donna mette sempre alla prova l'uomo. Per esempio si aspetta che sappia decifrare se il suo rifiuto è veramente un no o un invito a continuare il corteggiamento». Che, detto sbrigativamente, è ciò che si può forse affermare solo sulla base di un campionario molto ridotto e piuttosto ingenuamente pilotato di interviste telefoniche.
A guardare più in profondità, si può invece cogliere un dato di gran lunga più attendibile e più preoccupante: l’erotismo della parola colta, dello sguardo sensibile, della capacità di compenetrazione, dell’amicizia intensa e complice ma onesta e disinteressata, del gesto carnale pieno ma misurato, dell’amplesso appassionato ma sempre carico di elevata spiritualità, sembra essere oggi diventato in generale un oggetto di inestimabile valore solo per pochi collezionisti sia tra gli uomini che tra le donne, mentre il nostro Dio avrebbe voluto farne un dono a disposizione di tutti i suoi figli.