Lucetta Scaraffia: una femminista cattolica
Da quando le donne hanno cominciato ad assumere ruoli di potere, la superbia femminile ha conosciuto delle impennate notevoli e tende oggi in molti casi ad eguagliare lo stesso livello di superbia che un tempo era proprio solo delle regine. Secondo il sociologo Enrico Finzi, in Italia circa il 30% delle donne tra i 35 e i 45 anni, soprattutto delle donne appartenenti a ceti medio alti e dotate di titoli di studio e professionali qualificati si dichiara superba con una certa fierezza, e dalla sua indagine risulta che quanto più alto è il grado di cultura delle donne (cultura intesa qui principalmente in riferimento alle loro qualità intellettuali e professionali) tanto maggiore tende ad essere il grado della loro superbia, benché lo scettro della superbia continui ad essere ancora saldamente nelle mani degli uomini.
Giusti o sbagliati che siano i risultati di questa indagine sociologica, non c’è tuttavia dubbio che oggi la percezione pubblica della superbia femminile sia molto più diffusa di quanto non fosse sino a quattro o cinque decenni or sono, anche se sembra che la superbia femminile incida sulle prestazioni professionali meno negativamente di quella maschile che è spesso una superbia cosí boriosa e ostentata da produrre anche professionalmente danni assai rilevanti. Il fenomeno non poteva risparmiare naturalmente la stessa Chiesa e il mondo cattolici, perché anch’essi non sono dotati di anticorpi idonei a scongiurare il proliferare di questo vizio capitale, sebbene la vigilanza costituisca uno dei principali doveri per tutte le coscienze che si richiamano al vangelo come alla base della propria vita.
Ma se poi la Chiesa, sulla base di segnalazioni poco affidabili o non scrupolosamente soppesate, consente persino a donne intellettuali cattoliche che si definiscono “femministe” di accedere ai “sacri palazzi” per assolvere funzioni di consulenza intellettuale sulle colonne del principale organo d’informazione del Vaticano, allora il problema comincia a farsi molto serio, perché se la superbia femminile si somma ad un’ideologia femminista, quale che siano le sue articolazioni e le sue tonalità interne, è molto probabile che si dia luogo ad una miscela esplosiva che può arrecare danni molto seri alla fede e alla cultura cattoliche.
Alludo qui al caso della professoressa universitaria di storia contemporanea Lucetta Scaraffia che, ormai da diversi anni, scrive su “L’Osservatore Romano” non sempre con la perizia e la cautela che dovrebbero essere proprie di uno spirito chiamato a testimoniare la fede sul piano critico-culturale. Chi è costei? E’ oggi la moglie dell’accademico Ernesto Galli della Loggia, dopo aver contratto matrimonio poi dichiarato nullo nel 1971 e aver avuto una figlia nel 1982 dallo storico Giuseppe Ranzato. Inoltre, pur avendo ricevuto una rigorosa educazione cattolica da parte della madre, mentre il padre era un massone, negli anni ’70 si era allontanata dalla fede per militare nel movimento femminista per poi riconvertirsi al cattolicesimo verso la fine degli anni ’80, quando pare che abbia detto: «Non sono una ex femminista, ma una femminista che si batte da tempo contro “il pensiero unico femminista”» (come risulta da G. Dell’Arti – M. Parrini
Catalogo dei viventi 2009, Marsilio, scheda aggiornata al 5 ottobre 2008).
Un percorso umano e intellettuale, come si vede, alquanto accidentato e complesso, caratterizzato dalla costante e mai ritrattata presenza di un pensiero femminista sia pure presentato come critica dell’unicità dogmatica del pensiero femminista in genere. Che le cose stiano cosí senza forzature di sorta è dimostrato anche da un recentissimo articolo che la Scaraffia ha pubblicato in questo caso su “Il Messaggero”, forse per non creare troppe difficoltà alla testata cattolica che pure ne ospita gli scritti con una certa assiduità. L’articolo si intitola significativamente “Una donna cardinale: papa Francesco alle prese con l’ultimo tabù” ed è stato pubblicato il 24 settembre 2013.
Che dice quest’articolo, anche se il contenuto può già in parte intuirsi dal titolo? Dice in sostanza che sarebbe ora che la Chiesa cattolica avesse un cardinale donna, in quanto questa sarebbe la «via maestra per dare autorità e quindi aumentare l’autorevolezza delle donne nella Chiesa. La nomina avrebbe infatti il grande vantaggio di essere possibile, senza implicare il problema spinoso dell’ordinazione sacerdotale femminile. Costituirebbe un atto di cambiamento forte, significativo, di quelli che ormai siamo abituati ad aspettarci da Papa Francesco. E non stupirebbe poi molto, in fondo, dopo avere ascoltato le frasi impegnative che ha pronunciato recentemente il Papa sul ruolo delle donne nella Chiesa». Quindi sarebbe sufficiente che una donna fosse ordinata non necessariamente sacerdote ma diaconessa per avere titolo ad essere nominata cardinale dal papa.
Lo dico subito per chiarezza e per assumermi pubblicamente le mie responsabilità di cattolico: ove papa Francesco dovesse esaudire questo desiderio e questa richiesta della signora Scaraffia e dei moltissimi “aperturisti” cattolici di cui abbonda il mondo cattolico non sempre a suo effettivo vantaggio, forse nostro Signore Gesù Cristo dovrà ancora una volta anticipare la sua “ora”, ovvero quella del suo ritorno sulla terra per manifesta e perversa insubordinazione dei principali responsabili della sua Chiesa ai progetti divini di salvezza universale.
Per la femminista Scaraffia è giunto il tempo di assegnare finalmente alle donne posizioni importanti e quindi posizioni effettive di potere all’interno della Chiesa. Non è più possibile sopportare che all’interno di importanti organismi decisionali come i Pontifici Consigli le donne non abbiano ancora precise “funzioni direttive” e, ancor di più, si legge, «le donne dovrebbero partecipare alle decisioni di tipo culturale, o a quelle che riguardano le comunicazioni. In entrambi questi ambiti, al di fuori della Chiesa, ma in parte anche all’interno, le donne ormai ricoprono ruoli importanti, dando prova di grandi capacità. E ancora: perché nelle congregazioni che precedono il conclave i cardinali elettori non hanno avuto modo di ascoltare neppure una donna, religiosa o laica? Oggi le donne si rifiutano di essere rappresentate da uomini in qualsiasi occasione, ed esigono, giustamente, di essere ascoltate. Quello che manca alla Chiesa è proprio questo: la disponibilità ad ascoltare le donne, considerate solo come obbedienti esecutrici di direttive altrui, o fornitrici di servizi domestici».
Sí, afferma con crescente tono aggressivo l’ex intellettuale sessantottina, la Chiesa non può continuare a dimenticare che essa «deve veramente tanto alle donne che ne hanno fatto – e ne fanno tutt’ora – parte. Cosa sarebbe la mistica senza Teresa d’Avila? E chi ha proposto la devozione in assoluto più diffusa al mondo, cioè il Sacro Cuore di Gesù, se non una monaca francese, Margherita Maria Alacoque? E quanto deve a tutte le fondatrici di congregazioni di vita attiva dell’800 che hanno creato una rete di scuole, ospedali, orfanatrofi, garantendo alla Chiesa – nel momento della massima tensione anticlericale – un’immagine positiva e utile alla società che le ha assicurato la fedeltà di molti credenti allora in bilico? Anche oggi le religiose stanno nel cuore di tutte le situazioni difficili e dolorose, e sanno intervenire con coraggio e buon senso, senza chiedere né sperare alcun riconoscimento. E che dire delle monache di clausura, che sostengono la fede di tutti noi, e la purezza della Chiesa, con la loro orazione incessante? E le tante catechiste che assistono i parroci sempre più oberati di lavoro, e spesso depressi? Sembra veramente incredibile che le gerarchie ecclesiastiche pensino che queste donne non abbiano nulla da dire, nulla di interessante da suggerire. Che non siano, cioè, interlocutori indispensabili per creare un futuro vitale alla Chiesa. Ma Papa Francesco, che vuole soprattutto "scaldare i cuori", sa che le donne, nel fare questo, sono maestre e che un futuro diverso, più vivo, non può essere realizzato senza il loro attivo contributo».
Naturalmente, Scaraffia strumentalizza maldestramente alcune grandi figure di donne e di sante cattoliche, oltre che l’opera caritatevole totalmente disinteressata e silenziosa di tante suore dei giorni nostri, per conferire maggiore attendibilità al suo punto di vista, ma il suo punto di vista è completamente erroneo anche in ragione del fatto che le sante donne da lei citate seppero e sanno giganteggiare in una Chiesa maschile spesso corrotta senza mai rivendicare posizioni di potere. Semmai esse furono e sono, con una vita tanto umile quanto spiritualmente combattiva, strumento vivente di enorme potere spirituale, di quel potere spirituale che storicamente ha anche la funzione di neutralizzare o mitigare tutti gli inverecondi abusi di un ceto clericale maschile troppo spesso portato ad usare il sacro, sia su larga che su piccola scala, come volgarissimo instrumentum regni.
La Chiesa non è stata finora capace di risolvere adeguatamente, nello spirito della sua più antica tradizione, una vexata quaestio come quella dei viri probati, ovvero la possibilità di riavere come in passato degli uomini anziani sposati e con figli come presbiteri, e già c’è chi, come questa accademica, approfitta di un pontificato apparentemente illuminato come quello di papa Francesco per invocare una radicale riforma della condizione femminile all’interno della Chiesa semplicemente in termini di “esercizio del potere”.
E’ verissimo che le donne devono avere maggiore peso nelle decisioni e nelle diverse attività della Chiesa e, a questo scopo, potranno e dovranno essere previste normativamente nuove e più incisive modalità che rendano il poliedrico apporto femminile alla comunità ecclesiale ben più concreto e visibile di quanto ancora non accada. Ma, per questo, non è né necessario né soprattutto conforme alla volontà di Gesù rendere possibile l’accesso delle donne al cardinalato ed assegnare loro dei poteri “politici” o speciali o direttivi, anche se talvolta il modo in cui i poteri ecclesiastici vengono oggi esercitati unicamente da uomini, da quelli liturgici a quelli sacramentali e a quelli di governo, possa indurci in tentazione e sollecitarci quindi a sperimentare un’idea, spiritualmente molto pericolosa, di puro potere come quella di cui si è fatta portatrice la femminista cattolica o cattolica femminista Lucetta Scaraffia.
Forse le femministe ci precederanno nel regno dei cieli, ma qui bisognava segnalare secondo coscienza un possibile pericolo per il futuro della Chiesa, e io l’ho segnalato.