Immacolata Concezione, sessualità e bellezza corporea

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

1.  Maria, come recita il dogma mariano del 1854, non fu liberata ma preservata dal peccato originale. E’ l’unica creatura ad essere stata salvata e redenta da Cristo per “preservazione” e non per “liberazione” dal peccato d’origine. Dio Padre, per riguardo al suo Figlio unigenito, ha ritenuto giusto che colei che da sempre si sarebbe risolutamente offerta per l’introduzione della salvezza nella concreta vita storica degli uomini, per la discesa del Cielo sulla terra e per l’ascesa della terra verso il Cielo, fosse esentata dal contrarre o dal condividere la nefasta malattia del peccato originale ereditata dal resto del genere umano. Colei che, per volontà divina, si era di fatto posta, sia pure nell’unica mediazione salvifica di Cristo, come specialissima mediazione creaturale tra il Dio uno e trino e l’umanità peccatrice, “meritava” di essere concepita “immacolata” nel corpo e nell’anima quale degna dimora del Dio Salvatore che si sarebbe incarnato nel suo santissimo grembo.

La ragazza di Nazaret fu talmente “piena di grazia” da ottenere questo singolare e unico “privilegio” divino che avrebbe peraltro comportato in lei non già un depotenziamento ma un accrescimento del senso di responsabilità, non già un alleggerimento ma un notevole appesantimento del suo travaglio spirituale ed esistenziale. Quel “privilegio” non avrebbe alterato la naturale umanità di Maria, non l’avrebbe anestetizzata né di fronte al sentimento umano del male, né di fronte all’umana percezione delle passioni radicate nel cuore di ogni essere umano senza eccezione di sorta. Quel “privilegio” non avrebbe fatto di Maria un mito o una leggenda vivente, una santa totalmente incapace di peccare, una specie di fredda e impassibile semidea solo per finta dotata di sembianze e qualità interamente umane. Questo non poteva accadere perché non c’è grazia o privilegio divini, seppure enormi e inauditi come quelli relativi all’“immacolata concezione” di Maria, che possano avere la funzione di indebolire la libertà creaturale dell’uomo o della donna.

Maria fu donna a tutti gli effetti e come tale sempre esposta alla possibilità di peccare. Né è vero che, come talvolta si legge o si sente affermare, Satana non si sarebbe mai permesso neppure di sfiorarla, dal momento che persino Cristo sarebbe stato sottoposto ad un massiccio bombardamento di tentazioni da parte di Satana. Ella, certo, come solo aposteriori si sarebbe potuto accertare, non avrebbe mai peccato e non avrebbe mai peccato anche in virtù della sua Immacolata Concezione, ma tale status di assoluta santità ella avrebbe dovuto sempre sforzarsi grandemente di conservarlo e consolidarlo con la costante preghiera e l’ininterrotto impegno personale fino alla fine della sua esistenza terrena. Se, come è noto, la santità presuppone le spine della carne, a maggior ragione una forma eccelsa e insuperabile di santità come quella immacolata di Maria avrebbe dovuto conoscere i patimenti sensibili del suo corpo non meno che quelli della sua anima, sebbene le accadesse di non scomporsi mai in virtù della sua granitica fede e delle sue nobili virtù.  

Il senso teologico più profondo e meno convenzionale dell’Immacolata Concezione di Maria è stato colto perfettamente da un noto e giovane teologo cattolico, don Mauro Gagliardi: «L’immacolatezza di Maria non è solo un dato originario, né tanto meno costituisce un dono irreversibile. Il dono di un’umanità immacolata è, al contrario, un dono dinamico, sottoposto a verifica storica e, quindi, ampiamente perdibile. Maria non solo ricevette passivamente questo dono all’esordio della sua esistenza, ma attivamente dovette confermarlo nelle singole scelte della propria vicenda terrena» (La cristologia adamitica. Tentativo di recupero del suo significato originario, Roma, Editrice Università Gregoriana, 2002, pp. 534-535).

La santità di Maria, non diversamente da quella di cui era stato fatto dono ad Eva, non è una santità blindata, non è stata, nel corso della sua vita terrena, una santità irreversibile e aprioristicamente chiusa ad ogni altro possibile sviluppo ma una santità sempre suscettibile di corrompersi e dissolversi: Dio, certo, ha concesso a Maria ogni genere di grazia e anzi tutte le sue grazie per potenziarne le qualità morali e la complessiva struttura spirituale, ha fatto di tutto perché Egli stesso potesse vincere la sua santa e salvifica “scommessa” su quella sua amatissima creatura, ma Maria è sempre rimasta libera di corrispondere perfettamente e al meglio delle sue umane possibilità alle aspettative divine.

La vera e decisiva differenza tra Eva e Maria, a ben considerare le cose, è che la prima, per superbia innanzitutto (il voler essere autosufficiente come Dio), e probabilmente anche per avidità e per lussuria, o per tutt’e tre queste cose insieme, ha sprecato irreversibilmente l’immenso dono che Dio le aveva fatto creandola con una natura pura, incontaminata, immacolata, mentre la seconda si è impegnata allo spasimo, con il corpo, la mente e il cuore, per ringraziare il Signore di un atto cosí straordinario d’amore e per onorarlo con una difesa oltremodo strenua e prolungata del prezioso dono ricevuto. Maria rappresenta perciò l’umanità gradita a Dio, mentre Eva rappresenta l’umanità deviata e soggiogata da Satana, benché Cristo abbia poi rimesso in corsa quest’ultima umanità peccatrice, perché essa fosse capace di ritornare al Padre celeste, chiedendogli perdono, convertendosi ed espiando in Cristo con il dolore e la morte le proprie colpe originali ed attuali.       

Alla fine, forse Dio stesso, non solo gli uomini di ogni epoca, è rimasto stupito dall’audacia della sua fede, dalla volontà indomita di quella piccola nazarena di rimanergli a tutti i costi fedele nonostante i drammi, le pene, le privazioni che ha dovuto sopportare fino al transito in cielo. Maria fu davvero “il capolavoro” di Dio ma questo non toglie che persino Dio abbia seguito con trepidazione paterna tutte le vicende terrene della sua “figlia prediletta”. Però, si potrebbe eccepire, questo ragionamento non implica che persino Dio omnisciente, almeno per quanto riguarda questa sua creatura-capolavoro, non sapesse esattamente come sarebbe andata a finire? E, d’altra parte, se si ammette che Maria potesse venir meno in qualche modo al compito sovrannaturale affidatole, quale attendibilità potrebbe mai conservare la promessa divina di Genesi 3, 15, secondo cui la stirpe di Maria, a cominciare da Gesù, benché sempre insidiata dal serpente cioè da Satana, avrebbe sicuramente finito per schiacciargli la testa, ovvero per annientarlo?

Qui indubbiamente si entra in quello che è indubbiamente uno dei misteri più profondi e oscuri della divinità, il rapporto tra grazia divina e libertà umana, il punto in cui la prima si interseca con la seconda senza però sovrapporsi ed interferire su di essa, ma altrettanto indubbia è la radice o la giustificazione biblico-religiosa della consapevolezza umana circa il fatto che sia la creazione, sia l’opera redentiva di Dio, hanno senso solo perché l’uomo conserva in ogni istante della sua vita la libertà di aderire o meno al progetto divino di renderci “a sua immagine e somiglianza”. In fondo, anche per Maria, anzi soprattutto per Maria, valgono le parole evangeliche di Gesù: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12, 48). A Maria, essendole stato dato molto ed essendole stato affidato molto, sarebbe stato chiesto molto e richiesto molto di più, dove è del tutto evidente che sia l’atto di darle e di affidarle qualcosa, sia l’aspettativa divina che ella contraccambiasse, se non con pari amore, almeno con un amore degno della fiducia in lei riposta dal Padre, presuppongono la sua effettiva libertà di giudizio e di scelta.

 

2.  Non sembra dunque vero che Maria non abbia mai avvertito il pungolo della tentazione, l’incombenza del peccato, il timore per quanto remoto di una possibile e definitiva morte fisica e spirituale. Certo che ha avvertito tali condizionamenti esistenziali, ma è sempre stata capace di difendersene egregiamente, lottando costantemente contro ogni moto psicologico contrario alle esigenze dello spirito, contro ogni suggestione del male, e riponendo al tempo stesso la sua incrollabile fiducia nella misericordiosa assistenza del Dio unico e trinitario.

Non è che Maria non potesse essere superba, avida o avara, o incline ai piaceri della carne: semplicemente ella non ha voluto, non ha ceduto alle lusinghe del mondo, non si è lasciata asservire da altri richiami che non fossero quelli irresistibili della sua unica e purissima passione terrena, del suo esclusivo amore esistenziale: Dio come Padre e sposo, come Figlio e Salvatore, come Spirito Santo e inseparabile compagno di tutta la vita. A Dio Maria ha offerto tutto, tutto quello che generalmente una donna sensibile e fedele offre al suo uomo: la sua mente, il suo cuore, i suoi sensi. Sempre aiutata e sostenuta dal Dio uno e trino, l’unico per il quale avrebbe avuto forse più di un’emozione da capogiro, Maria ha amato intensamente e teneramente uomini come Giuseppe e come gli apostoli, donne come Maria di Magdala e come tutte le donne che assistevano con i propri beni il figlio divino, come tutti i seguaci di Gesù e come tutti coloro che, sebbene suoi nemici, egli avrebbe voluto ugualmente salvare, ma il suo amore non è mai stato condizionato da banali sentimentalismi o facili e stolidi sensualismi. Fu donna, sposa e madre a pieno titolo: non fu in nulla diversa o carente rispetto ad ogni altro essere umano e ad ogni altra donna. Anche la sua sessualità che, insieme alla concupiscenza che vi è connessa, preesiste al peccato originale, fu perfettamente normale e Maria avrebbe potuto esercitarla anche diversamente da come volle scientemente e responsabilmente esercitarla per amore verso il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.  

Anche da questo punto di vista ella, diversamente da Eva, fu capace di perpetuare il suo stato originario di innocenza che evidentemente non può e non deve essere confuso con uno stato di insensibilità fisico-corporea e di asettica spiritualità. Come spiegava sant’Agostino, uomo e donna nello stato edenico, antecedente il peccato originale, conoscevano già l’intensità del piacere, mentre non ne conoscevano l’uso perverso, ovvero l’uso della facoltà sessuale contro l’ordine razionale che avrebbe prodotto in entrambi un incontrollabile ardore libidinoso a sua volta fonte di inevitabili squilibri o conflitti interiori destinati ad incidere in un modo più o meno grave sulle loro esistenze. Anche per Tommaso d’Aquino l’istinto sessuale non è un male in sé ma un bene, e anzi, egli osserva nella “Summa Theologiae”, una completa o radicale insensibilità ad ogni genere di emozioni sessuali, secondo molti a torto ritenuta un ideale di perfezione della vita cristiana, costituisce non solo un difetto ma un vero e proprio vizio (II-III, q. 142, a. 1).

Bisogna dunque rendersi conto che Adamo ed Eva furono esseri sessuati e dotati di una funzionalità sessuale evidentemente necessaria alla completezza dei loro rapporti affettivi. Ciò di cui furono invece responsabili, non solo ma anche sul piano sessuale, è la violazione delle leggi razionali poste da Dio non già per la limitazione ma proprio per il pieno dispiegamento della loro felicità. Prima erano capaci di imbrigliare o meglio regolamentare il loro eros nell’agàpe, la pulsione o passione erotica nell’ordine più ampio ed esaltante di un amore senza brama di possesso e di dominio, secondo quanto appunto stabilito da Dio – che è esattamente quello che anche Maria di Nazaret sarebbe stata liberamente in grado di compiere senza essere impossibilitata a fare il contrario –; ora invece, dopo aver  fatto trasgressivamente del piacere o del godimento dei sensi il fulcro stesso dell’amore e di ogni umana possibilità di amare, si ritrovano in una condizione di vita inferiore a quella cui pensavano di pervenire riponendo fede più nella propria autonoma capacità di valutazione che non, come avrebbe invece fatto Maria, nella sapienza e carità infinite di Dio.

Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria non dice in effetti che ella non avesse la possibilità di peccare ma solo che non contrasse quel peccato d’origine, identificabile non con la concupiscenza tout court ma con uso sbagliato e perverso di essa, e non ebbe pertanto a soffrire, a differenza del resto del genere umano, delle sue nefaste conseguenze, tra cui la perdita dell’immortalità decretata in origine da Dio per le sue creature. Qui la lectio di Tommaso d’Aquino, ben più di quella agostiniana che appare meno distaccata e convincente, è ancora valida, anche se forse tanta teologia cattolica dei nostri tempi, ancora soggetta a certa influenza agostiniana e a certa esegesi protestante, e quindi troppo unilateralmente incentrata sulla peccaminosità sessuale e sulla valenza sessuale del peccato originale, dovrebbe ad essa ritornare per assimilarne contenuti e significato molto meglio di quanto sinora non abbia fatto.

Tommaso, infatti, nella seconda parte del secondo volume della “Summa Theologiae”, scrive chiaramente che la concupiscenza è naturale per l’uomo se è secondo l’ordine della ragione ovvero sotto il governo della ragione; quando invece oltrepassa tali limiti è contro natura per l’uomo. E questa è la concupiscenza del peccato originale, cioè la concupiscenza disordinata o perversa: «come insegna il Damasceno», scrive Tommaso che non era un convinto sostenitore dell’immacolata concezione di Maria pur venerandola profondamente ma che qui cita forse non casualmente un padre orientale devotissimo di Maria e anche fautore della sua natura immacolata, «la concupiscenza», più che essere in sé, secondo la terminologia usata dalla quinta sessione del Concilio di Trento nel “decreto sul peccato originale”, “un’inclinazione al male” o “un’attrattiva per il male” (una specie di residuo quindi del peccato originale) peraltro non eliminata dal battesimo perché necessaria alla lotta spirituale dell’uomo contro le tentazioni interne ed esterne della nostra vita, «è secondo natura perché è l’atto del concupiscibile, che è una facoltà naturale. Quindi il peccato originale non si identifica con la concupiscenza», che è un’asserzione perfettamente in linea con il significato che la parola concupiscenza assume nell’Antico Testamento, vale a dire il significato di “desiderio smodato per qualcuno o per qualcosa”.

In sostanza, c’è una concupiscenza non peccaminosa perché creata da Dio e perciò naturale ed una concupiscenza peccaminosa che consiste in realtà nei possibili usi umani degeneri o perversi che possono essere fatti della concupiscenza stessa in quanto facoltà naturale di perseguire scopi buoni o scopi cattivi.

L’Immacolata Concezione esprime perfettamente l’armonica coesistenza nella persona di Maria di tre forme o livelli di verginità: la “virginitas mentis et cordis”, ovvero il costante proposito soggettivo della verginità e della rinuncia alla sessualità non per ragioni in qualche modo patologiche o psicopatologiche ma per la fortissima esigenza spirituale di essere unicamente di Dio; la “virginitas corporis” e quindi l’esemplare integrità fisica che ella avrebbe sempre inteso proteggere da possibili e in se stessi legittimi rapporti sessuali e che Dio le consentì di conservare nonostante il parto di Gesù; la “virginitas sensus” ovvero la volontà di sottrarsi prontamente ad ogni sollecitazione sessuale e di opporsi energicamente ma serenamente ai possibili impulsi disordinati della concupiscenza sessuale. Certamente, senza l’aiuto straordinario di Dio Maria non avrebbe potuto realizzare una performance esistenziale di questa levatura, ma Dio non avrebbe mai voluto costringere Maria a vivere una santità coatta e dunque priva di quella capacità di discernimento e di quella libertà del volere che sono le coordinate imprescindibili entro cui, sotto un corretto profilo teologico, può esercitarsi la grazia divina.

Ecco perché non sarà mai possibile guardare a Maria immacolata come ad una specie di mummia o di automa spirituale totalmente privi di autonomia intellettiva e morale. Anche la sua sessualità fu vissuta in modo del tutto normale e sereno e seppe fare a meno di viverla secondo i consueti canoni del genere umano, sia per scelta sia anche perché, dopotutto, di sessualità non si muore. E cosí anche la sua spiritualità, al pari di quella di tutte le altre creature, non fu immune dal rischio di peccare contro Dio e contro gli uomini. La sua fu una spiritualità vera e non finta proprio perché dovette continuamente cimentarsi con i naturali timori e le normali stanchezze della quotidianità terrena ma fu anche una spiritualità non comune e anzi unica per qualità e valore perché nessun essere umano avrebbe risposto come o meglio di Maria alle aspettative di Dio stesso. La grazia divina in lei agí cosí profondamente da metterla in condizione di acquisire, persino agli occhi di Dio, meriti di ineguagliabile bellezza spirituale.  

La visione cristiana della vita è un preciso riflesso della vita di Maria perché è una visione che, come accade nella vita della “Panaghía” (la “tutta santa”), «tiene insieme la dimensione del corpo e dello spirito, la dimensione della ragione e la dimensione dei sentimenti» (G. Daminelli, Maria e l’autentico “umanesimo integrale” , in “Madre di Dio” del 7 luglio 2004). La fede, «per essere profonda, deve investire tutta la nostra vita». La stessa sessualità non dev’essere né sopravvalutata ed esasperata né disprezzata o demonizzata: «poiché il nostro corpo appartiene totalmente a quell’essere unico che è l’essere umano, senza alcuna divisione, noi comprendiamo anche la promessa della nostra fede, che è la promessa della risurrezione. Cosí la vita eterna, in ultima istanza, non gratifica soltanto lo spirito, ma è la vita dell’uomo, dell’essere umano nella sua integralità. In questo modo Maria ci aiuta a dare una risposta in positivo ad una delle grandi sfide che la cultura attuale pone al Cristianesimo, perché sappiamo tutti quante volte la Chiesa col suo insegnamento sull’etica sessuale, sul matrimonio, sulla bioetica, venga accusata di essere indietro, di opporsi alla moralità e alla libertà e liberazione dell’uomo, e in particolare alla liberazione della donna» (ivi).

 

3. Non possiamo non convenire con l’autorevole mariologo sopra citato: «quando confessiamo il dogma di Maria Immacolata, quando parliamo di Maria libera da ogni macchia di peccato, questo significa, tradotto in termini positivi, che Maria non pone nessun ostacolo a quel dono che è Dio, all’entrata di Dio nella sua vita. Dio è entrato totalmente in Maria perché Maria non ha posto alcun ostacolo al Padre, e per questo Maria è la più grande creatura umana» (ivi). E tale dogma è ancor più significativo e avvincente se si pensa o si postula che la “tutta santa” dovesse essere anche “la tutta bella” e tutta bella sia in senso spirituale sia in senso fisico ed estetico. In Maria si rispecchia infatti non un’idea semplicemente settoriale ma globale di bellezza: ella è l’incarnazione della bellezza stessa di Dio considerata in tutti i suoi aspetti possibili e reali. La “piena di grazia” è anche “la piena di tutte le grazie divine”, ivi compresa quella che si riferisce alla bellezza fisica o estetica, un grande dono di Dio, che tanto più rifulge quanto più essa viene sostenuta o alimentata da una bellezza interiore che si riverbera indubbiamente anche nei lineamenti fisico-estetici, fisico espressivi, fisico-gestuali, fisico-portamentali di quella che si suole definire come una donna bella e non soltanto come una “bella donna”.

I teologi dicono generalmente che non ha importanza sapere se Maria fosse più o meno bella, ma in realtà anche qui si può e si deve applicare l’argomento eadmeriano della convenienza (voluit, decuit, fecit), in ragione del quale è del tutto lecito asserire che convenisse all’Immacolata Concezione non un brutto aspetto o una mediocre bellezza ma una fulgida ed intramontabile bellezza. Se si riconosce che la santità di Maria è un riflesso purissimo della santità di Dio, perché, se non per un modo di ragionare un po’ bigotto e ipocrita, non si dovrebbe riconoscere che anche la sua bellezza corporea è un riflesso purissimo dell’essenza stessa della bellezza presente nella mente di Dio creatore?

Che Maria fosse l’incarnazione stessa della bellezza divina, è quel che pensarono uomini santi come sant’Ambrogio (“la bellezza del corpo in lei”, scrisse, “era un’immagine fedele dell’anima e della sua probità”), come Teodosio patriarca di Costantinopoli nel VI secolo che la definiva “colomba bella”, come il grande martire e teologo Massimo il Confessore che scrisse di Maria: “bella di anima e di corpo, armoniosa per l’altezza della sua statura, colma di tutte le finezze e di tutte le buone azioni”.

Persino un filosofo marxista ed ateo come il russo Sergej Bulgakov, prima di convertirsi al cristianesimo, sarebbe rimasto estasiato, secondo il suo stesso racconto, davanti alla Madonna Sistina, un celebre dipinto a olio su tela di Raffaello conservato nella pinacoteca di Dresda, dalla travolgente bellezza fisica e dallo sguardo dolcissimo di Maria. Ma anche di recente c’è chi ha sentito il bisogno esistenziale e spirituale di rendere omaggio alla composta ma incantevole e seducente bellezza di Maria Immacolata.

Alludo alle parole scritte al riguardo, alcuni decenni or sono, da un grande vescovo, don Tonino Bello di Alessano: «Maria doveva essere bellissima. Non parlo solo della sua anima…Parlo anche del suo corpo di donna. La teologia sembra sorvolare sulla sua bellezza fisica, non si sbilancia. Tace sulla bellezza umana di Maria, forse per pudore», ma in realtà, ecco la preghiera, scrive il vescovo, che andrebbe correttamente rivolta a Maria: «Madre, facci capire che l’amore è sempre santo», sia per le cose celesti sia per le cose terrene, «perché le sue vampe partono dall’unico incendio di Dio. Ma facci comprendere anche che, con lo stesso fuoco, oltre che accendere lampade di fuoco, abbiamo la triste possibilità di fare terra bruciata delle cose più belle della vita» (Maria donna dei nostri giorni, Edizioni San Paolo, 1993).