La sessualità dei risorti

Scritto da Francesco di Maria.

 

Anche l’eros, la pulsione libidica, il desiderio sessuale saranno redenti dal peccato e riportati alla loro originaria natura innocente. Non è dato sapere in che modo, in quali forme, visto che in paradiso non si contrarranno più nozze e matrimoni tra uomini e donne, né tanto meno saranno consentiti rapporti illeciti o atti sessuali sgraditi al Signore, ma sappiamo che la sessualità sarà ripristinata nella sua originaria funzionalità anche se quest’ultima non sarà più comprensiva della funzione procreativa o generativa e non sarà più soggetta all’assillante e talvolta drammatico condizionamento degli istinti e delle passioni sperimentati da uomini e donne su questa terra. D’altra parte, anche se non è dato sapere in che modo avverrà la stessa risurrezione dei morti e in che cosa consisterà esattamente l’aspetto glorioso dei corpi risorti, sappiamo che i morti risorgeranno in un destino di immortalità senza perdere le loro personali identità che anzi saranno non già cambiate ma profondamente rinnovate e potenziate, o per meglio dire trasfigurate.

In una parola, la sessualità, come il resto del nostro corpo, di cui essa è e sarà carattere distintivo ineliminabile, sarà spiritualizzata. Il che non significa riduttivamente che sarà sublimata o anestetizzata ma che, pur conservando la sua energia e la sua vitalità, essa non sussisterà più in forme o modelli abnormi, né ci saranno più deformazioni e usi meramente strumentali o mercenari di essa come non ci saranno desideri insani o deviati e volti a cosificare l’altro, né essa sarà emanazione di una volontà maschile di dominio o di una volontà femminile di possesso. Non si darà più un uso turpe o inappropriato del sesso né esso sarà alla mercé di semplici impulsi o debolezze carnali, perché la nuova creazione umana e spirituale di Dio verrà implicando che i meccanismi sessuali dei risorti come ogni loro altro meccanismo fisico, psicologico, intellettivo, spirituale, non siano indipendenti da una retta razionalità e da una santa volontà ma ne siano rigorosamente il prodotto o i riflessi.

Come è stato lucidamente osservato, «con il peccato – inteso sia come “caduta originaria” sia come fragilità che accompagna ciascun uomo in ogni epoca della storia – non è preclusa per sempre all’uomo e alla donna l’armonia sessuale primitiva. La storia della salvezza dell’umanità da parte di Dio mostra come la corporeità – e con essa l’eros – venga sottoposta ad un processo di “redenzione”: il corpo e la sessualità umana, in origine creati “molto buoni”, nonostante i molteplici tentativi dell’uomo di pervertirli e di sfigurarli attraverso il peccato, vengono redenti da Dio con l’incarnazione di Gesù Cristo e la promessa della risurrezione dei morti alla fine dei tempi. Dio quindi non solo non abbandona l’uomo nel peccato ma – proprio attraverso l’incarnazione di Gesù e la sua risurrezione, preludio della risurrezione dell’umanità intera – innalza il corpo umano, e con esso l’eros che lo costituisce, alla massima dignità possibile» (Fabrizio Vignati, Desiderio e dono. L’amore fra eros e agàpe, 2011, Effatà Editrice, pp. 33-34).

Gesù si è fatto carne per salvare la carne degli esseri umani, per salvare non solo la loro anima ma anche la loro carne, di cui l’anima è principio vitale e forma spirituale e senza cui l’anima non potrebbe concretamente sussistere o agire. Il cristianesimo occidentale ha ereditato dalla esegesi greca una separazione del tutto artificiosa e incomprensibile tra anima e corpo, tra sfera spirituale e sfera materiale, ma ormai esso non può che recuperare e ripristinare sempre meglio, con l’aiuto dello Spirito Santo, la stretta e originaria unità (e sia pure unità nella reciprocità funzionale di elemento incorporeo ed elemento corporeo) tra anima e corpo o tra spirito e materia che era tipica della migliore religiosità ebraica e che riflette il senso più genuino e originale della creazione divina.

Ora, naturalmente, non è possibile stabilire in modo particolareggiato le specifiche modalità in cui verrebbe esercitandosi la sessualità tra i risorti, giacché questa è una di quelle cose che superano ogni possibile immaginazione umana, ma è invece ragionevolmente possibile ipotizzare che il piacere, il godimento, la felicità stessa dei sensi, indipendentemente dalle forme che verranno assumendo, non solo non verranno meno ma raggiungeranno livelli estatici di durata e di pienezza di gran lunga superiori a quelli che, nei casi migliori, possono essere raggiunti in questo nostro mondo imperfetto in cui le soddisfazioni e le gioie umane sono fatiscenti e destinate a perire. Se eros non è solo affettività intensa o sentimento appassionato ma profonda attrazione amorosa e desiderio sessuale, probabilmente quest’ultima valenza psico-sensoriale non verrà meno nel Regno dei cieli, anche se vi si verrà manifestando in una versione depurata da tutte le impurità e le perversioni della vita terrena.

Il Cristo, sta scritto, farà nuove tutte le cose: non possiamo sapere in che modo egli rinnoverà profondamente tutta la creazione, ma crediamo per fede e quindi sappiamo che ogni realtà umana, ivi compresa quella bio-psichica ed erotico-sentimentale, verrà purificata e riempita da Dio di paradisiaco candore ed incorrotto splendore: per sempre. Del resto, già Gesù crocifisso aveva rinnovato radicalmente le cose del mondo, a cominciare dalla sua nudità umana esposta su quella croce con o senza un ipotetico velo che ne coprisse le parti più intime: una nudità che ancor oggi non suscita alcuno scalpore, alcuna voce di scandalo, perché è una nudità su cui ogni peccato umano è stato crocifisso per sempre e che per ciò stesso viene restituita alla sua originaria innocenza. La nudità del Cristo morente sulla croce non è una nudità sporca di sacrilega trasgressione e di umana depravazione ma una nudità totalmente santa e benefica.

Aveva detto Gesù: «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Cosí è stato e cosí sarà: tutti saranno sempre attirati da quel sommo giusto crocifisso e dall’imponente, dolcissima e coinvolgente bellezza della sua nuda e innocente corporeità. Un’anticipazione del destino di tutti i risorti! Certo, è vero che lo stesso Gesù ebbe a dire ai sadducei che in paradiso non prenderemo né moglie né marito perché saremo immortali e quindi simili ad angeli (simili non nel senso che prenderemo un’identità angelica al posto della nostra identità umana ma nel senso che come gli angeli anche noi non dovremo né sposarci né procreare divenendo come loro immortali), ma questo non comporta affatto che la nostra sessualità sarà annullata o dissolta, bensí solo che essa sarà trasformata profondamente e trasformata in forme destinate ad arricchire e non certo a depauperare la stessa felicità dei risorti.

Pertanto, nel Regno non ci sarà solo una comunione di anime e di spiriti ma continuerà ad esserci anche una comunione di corpi, proprio come accade ora su questa terra. Quantunque non per necessità ma per puro diletto, si mangerà insieme a tavola (il banchetto celeste non è solo una metafora “spiritualistica”) e i rapporti tra le persone risorte saranno ancora pregni di quella sessualità da cui la loro stessa specifica sussistenza individuale non potrebbe prescindere, anche se tutto ciò avverrà secondo leggi celesti radicalmente diverse dalle leggi terrene e tuttavia volte ad assicurare il massimo di piacere e di godimento.

I corpi risorti saranno impassibili, perché non più soggetti né al dolore né alla morte, ma non insensibili, perché anzi i loro sensi saranno cosí sviluppati e perfetti da moltiplicarne la sensibilità; saranno sottili o spirituali perché essi potranno penetrare la materia (proprio come Gesù che attraversava i muri e compariva e scompariva a suo piacimento) e l’anima avrà un totale dominio sul corpo stesso; saranno agili e non pesanti come i corpi terreni, per cui i movimenti fisici saranno immediata e perfetta espressione dei desideri e dei comandi dell’anima non essendo più soggetti alla legge di gravità o alla legge della normale fisiologia umana; saranno gloriosi, cioè privi di difetti, anche se pur sempre nel rispetto delle individuali caratteristiche e fattezze psicosomatiche terrene, e dotati di uno splendido aspetto. Con tali qualità, cui fa riferimento san Paolo, il corpo risuscitato non cambia, non diventa un altro corpo, e la trasformazione che subirà in cielo non toglierà nulla alla sua realtà materiale: esso non cessa di essere corpo per diventare puro spirito ma, benché fortemente spiritualizzato, resta realmente corpo in carne e ossa, visibile, palpabile, sperimentabile concretamente in tutto e per tutto, proprio a somiglianza del corpo di Gesù risorto.

Se gli angeli, in quanto esseri incorporei e tuttavia capaci di materializzarsi (come testimoniano diversi racconti biblici, tra cui per esempio Gen 6, 2 oppure 18, 16), sono pur sempre essere asessuati o comunque impediti per decreto divino di esercitare una qualche attività sessuale, gli esseri umani sono stati creati come esseri sessuati e in quanto tali costitutivamente predisposti ad esercitare una funzione sessuale sia pure secondo determinate modalità e a determinate condizioni: da questo punto di vista, tale funzione, sia pur anch’essa liberata da ogni scoria di peccato come da ogni imperfezione terrena, sarà conservata anche in cielo. Dunque, per riprendere le parole di Gesù, noi da risorti saremo simili agli angeli, non perché privi di corpo e di sessualità ma perché immortali come loro, e come loro non solo non soggetti a specifiche necessità biologiche della vita naturale terrena, come quella di generare o di mangiare e bere o di espletare particolari bisogni corporali, ma perfettamente liberi da “appartenenze matrimoniali” di tipo terreno e liberi di muoverci e amare in modi che ora non possiamo neppure immaginare ma che la potenza dello Spirito divino renderà possibili.

Forse paurosi di poter pensare e dire cose sconvenienti, i cristiani evitano di solito di interrogarsi rigorosamente su quale potrà essere lo stato dei risorti. Tuttavia, questo è un tema di grande importanza che merita di essere trattato, certo senza assolute pretese di infallibilità, non tanto per alimentare eventualmente infantili illusioni circa la condizione futura di coloro che saranno “ritenuti degni della vita eterna”, quanto per sottolineare l’estrema concretezza delle promesse di Gesù e tributargli tutto l’onore che deve essere reso ad un Dio cosí determinato a far dono ai suoi figli di una felicità non già fittizia ma vera e infinita. In tal senso, la Chiesa non ha mancato storicamente di focalizzare questa stessa tematica. Il Concilio Lateranense IV, nel XIII secolo, sottolineò che «tutti risorgeranno col proprio corpo che hanno adesso, per ricevere ciascuno secondo le sue opere», ma già nel 675 l’XI Concilio di Toledo aveva precisato che «risorgeremo non in una carne aerea o comunque diversa, come certuni delirano, ma in questa stessa carne in cui viviamo, siamo costituiti e ci muoviamo», e lo stesso eminente vescovo e teologo Giuliano di Toledo forniva in quel secolo una descrizione appassionata dei frutti che sarebbero scaturiti dalla risurrezione della carne: immortalità, incorruttibilità, distinzione dei sessi e mantenimento della sessualità, insieme ad un notevole perfezionamento di tutte le qualità naturali di ciascuno come l’intelligenza, l’agilità, la snellezza. Anche i capelli ricresceranno e, dice Giuliano, «i corpi dei beati torneranno alla loro età più prestante e le imperfezioni saranno eliminate mentre una metafisica nudità sarà tollerata dallo sguardo dei puri senza suscitare scandalo e senza morbosità. I movimenti dei corpi saranno agili e aerei e si sposteranno con una levità mercuriale. La volontà non più mortificata dalla gravità del peccato diventerà più forte e il divino sarà premio ed eterna soddisfazione per chi lo ha cercato già in terra» (A. Piscitelli, Che cos’è l’Apocalisse, in “L’Indipendente” del 17 gennaio 2006).

Saremo dunque uguali e diversi: uguali perché conserveremo ogni specifico elemento della nostra identità personale e diversi solo perché tutte le nostre qualità fisiche e spirituali subiranno un processo di radicale perfezionamento e arricchimento. D’altra parte, nonostante che la felicità essenziale del Paradiso sia quella “primaria”, ovvero la visione beatifica di Dio e la vera e propria immersione della nostra vita nella stessa vita divina, per nulla da sottovalutare, come fanno alcuni con dissimulato disprezzo, è la cosiddetta “felicità secondaria”, anch’essa fortemente richiesta dai sensi del corpo risorto. Va tuttavia ribadito, ad evitare indebite fantasticherie o esagerazioni, che la vita animale e vegetale dei corpi dei beati come tutte le funzioni organiche saranno trasformate rispetto a quelle che esistono sulla terra, per cui tutto ciò che accade quaggiù sul piano fisico-organico per necessità, in cielo potrà avvenire solo per il piacere, il diletto o il libero godimento di ciascun risorto, mentre necessaria sarà solo la vita faccia a faccia con Dio. Quindi non dovremo più necessariamente mangiare e bere per nutrirci, ma mangeremo e berremo solo se e quando lo vorremo per soddisfare il nostro desiderio di gusto e di convivialità, e tutte le complesse operazioni fisiologiche che presiedono quaggiù al corretto funzionamento dell’organismo diventeranno in sostanza superflue o non necessarie.

Anche dal punto di vista sessuale, ogni risorto conserverà i suoi organi genitali che però non assolveranno più una funzione procreativa, anche se, pur non soggetti ormai a stimoli animaleschi o a violente e compulsive pulsioni sessuali, tali organi continueranno a procurare durevolmente piacere, benché presumibilmente non più in forma orgasmica, e intensi godimenti sensibili sino ad incidere stabilmente sulla stessa sfera emozionale di ogni corpo. E’ dunque anche una felicità carnale, materiale e sensibile, coinvolgente in ogni istante tutti i sensi maschili e femminili, che attende i risorti, anche se essa non correrà mai il rischio di assumere forme e significati osceni, peccaminosi e perversi, ma sempre razionalmente e spiritualmente controllabili e soprattutto festosamente santi. Bisogna infatti comprendere che nel disegno divino l’uomo e le cose materiali sono talmente interdipendenti che sarebbe assurdo concepirli come separati dopo la risurrezione. La felicità eterna non può essere, è ovvio, interamente materiale ma non può neppure essere tutta spirituale perché in tal caso non sarebbe più umana essendo l’uomo composto di spirito e materia, di anima e corpo: per ciò stesso l’intero universo materiale è destinato a diventare per l’eternità l’ambiente effettivo e reale del Paradiso per donne e uomini glorificati.

Un sacerdote ed illustre studioso come Rodolfo Maiocchi, vissuto tra l’800 e il 900, in un suo libro sul Paradiso, ebbe modo di descriverlo in questi termini: «Nel quadro estasiante dei nuovi cieli e della nuova terra, miliardi e miliardi di Beati, con il loro corpo glorificato, conversano allegramente; si esprimono con gesti e movimenti che sprizzano ardore giovanile; si cercano e si uniscono a cantare armoniosamente le lodi a Dio; si amano con l’ardore caldo e sincero di una prima amicizia, di un primo amore; occhi pieni di tenerezza; bocche piene delle più dolci parole; volti di sorrisi affascinanti; mani e braccia perfette protese ad accarezzare, abbracciare e stringere affettuosamente; membra purissime e impeccabili, splendenti del fulgore dell’eterna giovinezza: in quale deliziosa compagnia noi conviveremo per tutta l’eternità!». Può darsi che questa commossa ed entusiastica descrizione non sia ancora esaustiva dei godimenti sensibili ed estatici di cui i risorti potranno disporre, ma essa dà già un’idea adeguata di cosa intenda dire san Paolo quando si riferisce a quelle future cose celesti che «occhio umano non ha mai visto, né orecchio ha udito, e che in cuore umano» non sono mai entrate (1Cor 2, 9).

Tuttavia, può essere forse utile tornare a precisare che l’eterna felicità dei beati, benché suscettibile di espandersi e potenziarsi al di là di ogni possibile immaginazione umana, non potrà mai assumere una natura bacchica, dionisiaca, orgiastica, perché la massima esaltazione dei sensi mai verrà a coincidere con il disordine tumultuoso o la sfrenatezza dei sensi stessi: la gioia, l’allegria, la festa, non potranno implicare né forme di oscena e brutale sensualità, né turpitudini di sorta, né situazioni cruente che possano minimamente alterare la dignità personale di ogni singolo beato. Si pensi piuttosto alla benefica ebbrezza di gioia che per esempio sperimenteranno i ciechi nel momento stesso in cui riavranno la vista nella sua perfezione, o i sordomuti che recupereranno perfettamente l’udito e la parola, i nani che riacquisteranno una statura normale, i disabili di ogni genere che non dovranno più subire umiliazioni per le loro malformazioni fisiche, tutte le tipologie di oppressi e di emarginati o di esclusi che vedranno finalmente soddisfatti i loro bisogni e pienamente riconosciuti i propri meriti e le proprie capacità.

Tutto e tutti saranno insomma integralmente risanati sia pure non senza differenze anche rilevanti e ben proporzionate al valore spirituale che ognuno avrà acquisito durante il suo viaggio terreno, anche se ciò varrà esclusivamente per i beati, non per i dannati il cui destino eterno sarà del tutto opposto a quello riservato ai primi. Ma, ciò precisato e ribadito, nel tripudio di sensazioni e gioie estatiche in cui i beati si troveranno immersi avranno il loro spazio anche piaceri specificamente sessuali, a loro volta profondamente rinnovati rispetto alla loro fenomenologia terrena e strettamente connessi ad una spiritualità non repressiva e tuttavia lineare e disciplinata, sempre imprevedibile e spumeggiante e tuttavia ben al riparo da ogni attacco satanico. Coloro che avranno in premio la possibilità di accedere nel Regno della Vita forse scopriranno in modo completamente inatteso che il sesso in sé, vissuto nella sua essenzialità originaria e costitutiva, è molto più bello, delicato, intenso, gradevole e gratificante di quanto non sia negli usi distorti, irrazionali e immorali che se ne fanno nell’ambito della vita storica umana, anche se al riguardo non mancheranno i commenti caricaturali o sarcastici di quanti hanno difficoltà ad innalzare la loro comprensione a quelle altezze vertiginose di fede cui si può accedere solo in virtù di una speciale seppure immeritata grazia divina.

I beati saranno eternamente innamorati di Dio e di tutte le realtà sensoriali e spirituali di cui Dio vorrà fare loro dono in abbondanza. Il piacere sessuale, sia pure profondamente trasfigurato, continuerà ad esser parte integrante di tali realtà, né si potrebbe religiosamente comprendere per quale motivo il Signore, che volle in origine imprimere il sigillo della sessualità su ogni sua creatura, considerandolo un dono “molto buono” dovrebbe, in occasione della sua seconda e definitiva creazione privare gli esseri umani del principio o del motore stesso della loro energia e vitalità, del sostrato di ogni loro attività. Sul sesso Dio non è come un puritano di strette vedute che tenda a demonizzare il piacere da esso veicolato o veicolabile e a considerarlo semplice strumento di generazione e di vita. Come hanno osservato i teologi cattolici Angel Rodríguez Luño e Ramòn López Mondéjar, nelle intenzioni divine il sesso riguarda l’essere e non l’avere della persona ed è quindi veicolo e segno non di dominio sull’altro o di sfruttamento dell’altro ma di completa donazione personale che dovrebbe essere alla base della società umana e che sarà sicuramente alla base della comunità celeste (La fecondazione “in vitro”. Aspetti medici e morali, Roma, Città Nuova, 1986).

Vero è che in paradiso uomo e donna non dovranno più procreare e che i loro rapporti non saranno più di possesso e regolamentati dalle convenzioni sociali di questo mondo, come dice Gesù. Ma il sesso, nella creazione divina, non ha solo un valore procreativo bensí anche un profondo valore unitivo, cosí come non è ordinato solo alla biologia e alla vita ma anche all’intera esistenza umana e all’amore, sicché, anche nel regno celeste, esso resta perfettamente funzionale, sebbene in nuove forme che non è possibile descrivere esattamente, alla comunione interpersonale e in particolare alla comunione interpersonale tra uomo e donna che, nel nuovo universo redento e trasfigurato da Cristo, raggiungerà un tale livello di maturazione e compenetrazione spirituali da rendere totalmente privo di egocentrismo e di sbandamenti peccaminosi di qualsivoglia natura persino il più audace dei possibili slanci erotico-sessuali nel rapporto tra maschi e femmine.

Tale rapporto sarà di fortissima attrazione, nel quadro della ben più potente attrazione che verrà stabilendosi tra Dio stesso e le sue creature, e, in quanto tale, esso non potrà non procurare un piacere anche sessuale a uomini e donne anche se per vie diverse da quelle sperimentate durante la vita terrena. Il che non deve indurre a pensare che allora in paradiso ci sarà spazio per forme di ordinaria lussuria o di terrena concupiscenza carnale, perché anzi i redenti potranno verificare per la prima volta compiutamente sui propri corpi come non il piacere sessuale in sé sia cattivo ma il suo abuso o il suo uso improprio allo stesso modo di come il male non sta nel consumo di alcol ma nell’ubriachezza o in suoi usi comunque sbagliati. Ecco: la lussuria, che si può definire come l’alcolismo del sesso, sta nell’abuso o in un uso strumentale ed edonistico del piacere sessuale, mentre l’esperienza dell’innamoramento tra i redenti, che è esperienza anche sentimentale e erotica alla quale sarà tassativamente preclusa ogni possibile “deviazione” o “degenerazione”, allontanerà dall’abisso della impurità e della lussuria e avvicinerà sempre più intensamente al purissimo contatto amoroso con la stessa divinità.

Insomma, non potrà accadere che i piaceri celesti possano essere estensivamente e intensivamente inferiori ai piaceri terreni e allo stesso piacere sessuale, perché, come recita il Catechismo Romano (P.I. – cap. 13, n. 12) parlando delle molteplici gioie del paradiso, «qualunque soddisfazione ci capita di godere in questa terra, o anche si possa solo desiderare, sia per l’appagamento della mente, sia al benessere pieno del corpo, la vita beata dei Celesti è immersa nell’abbondanza di tutto questo, benché ciò vada inteso in una maniera veramente superiore a quanto l’occhio mai vide, l’orecchio mai udí, o l’uomo poté mai immaginare». Di certo, quindi, persino le nature sessualmente più calde, che in terra molto faticarono per tenere a bada gli istinti e molto focose passioni, non avranno modo di rimpiangere, se ammesse da Dio tra i gloriosi risorti, le presunte delizie del sesso terreno, allorché scopriranno di poter colmare i calici dei loro sensi di piaceri molto più inebrianti e duraturi.

Tra i risorti, la sessualità non solo sarà la molla di ogni interesse affettivo per le altre nature umane, per gli spiriti angelici e per la inesauribile conoscenza scientifica dell’infinita sapienza divina, ma sarà anche il terreno esistenziale su cui i beati potranno godere di incalcolabili piaceri della vista, dell’udito, dell’odorato, del tatto e del gusto, al di là di ogni possibile descrizione umana. Le nostre terrene sensazioni erotiche, la nostra pulsionalità sessuale di eredi repressi e frustrati del peccato adamitico, le nostre frammentarie gioie legate ad incontri e a rapporti carnali pur sempre soggetti a processi usuranti, saranno percepiti dai risorti come semplici preliminari, peraltro approssimativi e distorti, di sensazioni molto più ricche di senso, di gratificazioni psicologiche ed esistenziali ben più soddisfacenti e prolungate, di passioni ben più nobili ed esaltanti di quelle legate a qualche avventurosa e movimentata storia sentimentale di questo mondo. Tra i risorti, in sostanza, la sessualità produrrà ancora i suoi santi frutti, quelli esaltanti che precedettero la caduta dell’umanità in “questa valle di lacrime” e suscettibili di essere ancor più potenziati o arricchiti sotto “i nuovi cieli” e sulla “nuova terra” di Dio.

Come spiega san Tommaso d’Aquino quando scrive dello stato originario ovvero della sessualità di Adamo ed Eva, tale sessualità, diversamente dalla nostra, era sottoposta alla ragione “il cui ruolo non era affatto quello di reprimere il piacere dei sensi che, al contrario, ne sarebbe risultato addirittura maggiorato” (A. Socci, Allora parliamo davvero di sesso. E Paradiso, in “Libero” del 7 novembre 2010).

Sotto la nefasta influenza del peccato originale, il nostro piacere, separato dalla razionalità e dalla volontà di cui Dio ci aveva dotato, era compulsivo e fondamentalmente malato, mentre, sotto la permanente grazia paradisiaca di Dio, il nostro piacere, riflesso perfetto del nostro giudizio e del nostro volere ormai santificati, risulterà sempre sano, sempre vigoroso e molto più apprezzato di prima. Non sarà necessario giungere al coito perché uomini e donne possano raggiungere il piacere del corpo e dell’anima. I godimenti celesti saranno di gran lunga più elettrizzanti ed esaltanti, più intensi e duraturi, di quelli ottenuti spesso faticosamente e parzialmente attraverso gli amplessi terreni. I baci, le carezze e gli abbracci celesti produrranno, soprattutto negli spiriti da Dio ritenuti più degni di immortale splendore, effetti mille volte più piacevoli e gratificanti di quelli conseguenti ai più soddisfacenti rapporti sessuali di questa terra. La vita, come ha promesso Gesù, sia sul piano spirituale che sensibile, sarà data ai risorti in abbondanza e in forme cosí variegate e attraenti che la mente umana più profetica e immaginifica non sarebbe in grado di descrivere analiticamente. Il che significa che non ci sarà tolto nulla di ciò che avremo sperimentato con gioia non fittizia sulla terra ma che tutto sarà potenziato e reso funzionale a quel poliedrico, articolato ed infinito godimento celeste di cui miliardi di anime e di corpi saranno felicemente partecipi, benché forse in gradi diversi, proprio mentre il loro incessante canto di lode e di gloria al Signore si aggiungerà festosamente all’eterno coro degli angeli.

Quelli che sono ancora quaggiù e che in un modo o nell’altro offrono sinceramente la vita a Cristo Signore e al prossimo loro, devono avere ancora un po’ di pazienza per rendersene conto: se avrò ricevuto la grazia di non descrivere in modo manifestamente erroneo le cose future del nostro comune destino creaturale.