Enrico Letta: un politico cattolico?
Il mondo è oggi attraversato da una corrente di pensiero che pare essersi affermata negli ultimi tempi come posizione egemonica tra quelle espresse dalla cultura contemporanea. Tale corrente è nota come “mondialismo”, anche se occorre subito precisare che altro è il mondialismo élitario e tendenzialmente “pagano” di cui parlava David Rockefeller altro è invece il mondialismo comunitario e cristiano di cui hanno parlato anche pontefici quali Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Che poi, in ambito ecclesiastico ed ecclesiale, ricorrano spesso posizioni non inequivocabilmente riconducibili all’una o all’altra forma di “mondialismo”, è altrettanto vero e costituisce un problema grave e preoccupante all’interno della stessa comunità cattolica.
Occorre anzi essere consapevoli del fatto che il nuovo ordine mondiale oggi da più parti evocato come comprensivo di un roccioso internazionalismo finanziario ed invocato insistentemente da autorevoli personalità politiche di ogni parte del mondo deve ritenersi del tutto incompatibile con una visione cristiana della comunità mondiale ovvero di una comunità che non può risultare fondata sul dominio del potere e del denaro ma «sulla dignità della persona, su uno sviluppo integrale della società, sulla solidarietà fra Paesi ricchi e Paesi poveri, sulla condivisione delle risorse e degli straordinari risultati del progresso scientifico e tecnico» (Giovanni Paolo II, Omelia dell’1 gennaio 2004), oppure «su giusti rapporti etici ed economici» (Benedetto XVI, Urbi et Orbi, 25 dicembre 2005), là dove invece «l'umanita' è lacerata da spinte di divisione e sopraffazione e conflitto di egoismi.[...] E non si può dire che la globalizzazione è sinonimo di ordine mondiale, tutt'altro» (Benedetto XVI, Discorso dell’Angelus per l’Epifania, 6 gennaio 2008).
Questa è la vera posizione cattolica che, in materia di mondialismo, pur soggetta ad usi ambigui e strumentali, nulla ha in se stessa a che spartire con il mondialismo di tipo rockfelleriano, cui di fatto, sia pure implicitamente, continuano a richiamarsi ancora oggi importanti esponenti politici di orientamento non solo laico ma anche cattolico. In un suo libro, intitolato Memoirs (Ricordi o Memorie) e pubblicato da Random House nel 2002, il potente magnate americano David Rockfeller, celebre per le sue attività lobbistiche e tra i fondatori del Gruppo Bilderberg nonché presidente dal 1970 al 1985 del Council on Foreign Relations e infine principale ispiratore della “Trilateral Commission”, ha annotato che «io e la mia famiglia siamo accusati di volere sviluppare una struttura socio-economica e politica il cui fine è controllare il mondo. Se questa è l'accusa, mi dichiaro reo confesso», dicendosi certo che ormai il mondo fosse entrato in una fase storica favorevole alla «creazione di un solo grande governo mondiale. Si tratterà di un'entità sovranazionale controllata da un'élite intellettuale e imprenditoriale accuratamente scelta, la gestazione sarà in mano alle banche. Credo che questo mio progetto sia di gran lunga preferibile all'auto-determinazione nazionale esercitata nei secoli passati» (Convegno del Gruppo Bilderberg del giugno 1991 a Baden, Germania).
Era una concezione mondialista di questo tipo che già il 17 febbraio del 1950, presso la Commissione Esteri del senato, veniva difesa significativamente da James Warburg, uno dei massimi esponenti dell’alta finanza americana, in questi termini: «Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza». Che è proprio quel che sta succedendo oggi sotto i nostri occhi di spettatori non solo inermi ma anche e soprattutto inerti.
Questo è, più recentemente, l’ordine di idee cui tacitamente ma sostanzialmente si richiamano, tra i tanti, personaggi di primo piano come George Bush senior, Henry Kissinger, Nicholas Sarkozy, Angela Merkel, Giorgio Napolitano, o cattolici come Mario Monti e l’attuale presidente del Consiglio Enrico Letta. Quest’ultimo, più efficace di Monti perché anche politico e non solo “tecnico”, sin dai suoi studi giovanili è sempre stato prono alla linea monetarista, iperliberista, privatizzatrice e liberalizzatrice, eurocratica e assoggettata alla finanza internazionale e ai suoi clubs decisionali, oltremodo riservati e chiusi al pubblico e alla pubblica informazione, quali il gruppo di Bilderberg, la Trilateral, l’Aspen Institute. Con qualche variante, dovuta a evidenti motivi di opportunità politica, rispetto a tale linea, il premier Letta in questi giorni non sta facendo altro che replicare gli esecutivi che, in un crescendo impressionante di politiche economiche e sociali oppressive e vessatorie, dal 1992 in poi hanno spinto il nostro Paese verso l’impoverimento, la recessione, la disoccupazione soprattutto giovanile.
Egli, da alcune fonti di informazioni ritenuto colluso con la massoneria, continua a collaborare di fatto, non senza colpa, al progetto dell’usura mondialista internazionale: fare dell’Italia un banco di prova privilegiato per stabilire dove possano spingersi le possibilità di sfruttamento ed espropriazione economico-finanziari degli usurai invisibili ma non privi di identità che stanno tentando trasversalmente, ovvero su un piano transnazionale, di esercitare il loro potere su tutto il mondo contro la volontà e soprattutto i bisogni primari dei popoli.
La funzione di Letta è in perfetta continuità con quella, già esercitata da Monti, di assoggettare l’Italia al grande capitale straniero, di cui partecipano probabilmente in una certa misura solo alcuni settori privilegiati del capitalismo nazionale, e di spingerla verso un superstato europeo, dove già si verrebbe notevolmente assottigliando ogni possibilità nazionale di controllare centri di potere sempre più lontani e rarefatti, e da un superstato europeo ad un superstato per l’appunto mondiale in cui finirebbero per risultare totalmente annientate e svendute le proprietà, la sovranità e la libertà dei singoli Stati nazionali, ivi compreso ovviamente il nostro.
Come Enrico Letta ritenga poi di poter conciliare la sua dichiarata fede cattolica con una concezione e un fare politici cosí obiettivamente antitetici sia agli interessi e al bene comune dei suoi connazionali, sia allo stesso bene comune dell’intero genere umano, è certo questione che investe la sua coscienza personale ma è anche e soprattutto un interrogativo inquietante che sembra francamente chiuso ad ogni possibilità di risposta positiva. E’ in ogni caso inammissibile che un leader politico si mostri succube o semplice megafono del mondo finanziario internazionale e delle ingiuntive direttive europee che provengono ai governi nazionali, tra cui il nostro, meno “accreditati” sul piano internazionale.
Né è più comprensibile che egli taccia pubblicamente sui poteri occulti, occulti ma identificabili, che tendono in modo sempre più ossessivo a condizionare i destini del mondo. Nel 1966 usciva, pubblicato dalla casa editrice Macmillan di New York, una ponderosa e documentatissima opera di Carroll Quigley, in cui si poteva leggere che «la rete di cospirazione che tira le fila del mondo, è costituita da banchieri e capitalisti internazionali, cioè il mondo dell'alta finanza. Raccoglie intorno a sé un esercito di scienziati, tecnocrati, politici e attori burattini per fare da ombra alla sua alta politica», e che «gli imperi economici internazionali sono interessati a promuovere l'indebitamento dei Governi. Più alto è il debito, più costosi saranno gli interessi. Ma essi possono anche richiedere al presidente di turno privilegi fiscali, monopoli di servizi o appalti di opere. Se questo non accetta, causeranno la sua caduta, promuovendo agitazioni e scioperi che, nell'impoverire la nazione, lo costringe a cedere di fronte a ciò che chiedono».
Anche per questo mi colpisce l’indulgenza che la Chiesa cattolica propende a mostrare indistintamente verso tutti i governi italiani che si avvicendano al potere, dal governo Berlusconi a quello di Monti e allo stesso governo Letta, quasi che non si possa facilmente intuire come la politica perseguita da questi due esponenti, in un modo addirittura più avventato sotto il profilo economico delle modalità governative berlusconiane, sia inevitabilmente foriera di futuri ulteriori disastri.
Francamente sono penosi i toni enfatici con cui gran parte della stampa e dei massmedia salutano certi viaggi “propagandistici” all’estero di Letta, anche in questo in perfetta linea con Monti che, giunto in America da presidente del Consiglio, agli investitori di quella nazione presentava un’Italia in piena ripresa e quindi anche economicamente molto appetibile. Poi si sarebbe compreso come fosse infondato e velleitario quel comizio montiano. La stessa cosa è da dirsi per il suo successore che, qualche mese fa, volava alla volta del mitico “Council on Foreign Relations” di New York nel tentativo di convincere nuovamente gli investitori internazionali circa la ritrovata affidabilità dell’Italia che, dopo tanti sacrifici fatti per risanare, riformare, ristrutturare, avrebbe potuto finalmente ben meritare l’apprezzamento della comunità finanziaria globale e la sua disponibilità a fare nella nostra penisola degli investimenti necessari ad accelerare un meccanismo virtuoso già in atto e capace di far ripartire sviluppo, occupazione e consumi.
Ma si può essere più ingenui e sprovveduti? Anni e anni di studio, di approfondimento economico-scientifico, di autorevole confronto politico internazionale, per poi risultare incapaci di capire che dietro il tanto decantato “arrivo dei capitali dall’estero” si nasconde solo il dissimulato desiderio di realizzare operazioni finalizzate esclusivamente alla volontà di pochi di fare soldi a palate lucrando sulle necessità e sulle criticità di molti! Non si può tracciare di Letta un profilo diverso da questo!
Ma cosa possono venire a fare in Italia gli investitori stranieri se non concorrere perfidamente alla ulteriore deindustrializzazione e all’impoverimento crescente della società al fine di creare manodopera europea a basso costo, di favorire un facile shopping di aziende e assets italiani da parte di amici e amici degli amici titolari di vari fondi di investimento sovranazionali, e infine di sostituire la democrazia parlamentare con una tecnocrazia oligarchica? Non sono forse ben pronti gli investitori stranieri ad acquisire con quattro soldi la proprietà di aziende strategiche per l’Italia come Telecom e Alitalia? (Francesco Maria Toscano, Anche Letta, dopo Monti, bacia l’anello dei massoni reazionari del Council on Foreign Relations, in “Il Moralista”, 26 settembre 2013).
Altro che capitali stranieri! Il nostro problema è quello di come sia possibile favorire la formazione e la ripartenza di capitali nazionali in grado di fronteggiare la facile offensiva di quelli stranieri attraverso una radicale riorganizzazione del mondo del lavoro, della produzione e del consumo e attraverso una serie di leggi funzionali a proteggere e valorizzare i mercati interni italiani rispetto alla concorrenza straniera. In tal modo, non si tratterebbe di impedire o ostacolare investimenti stranieri in Italia ma di renderli almeno compatibili, con misure legislative appropriate, con i primari interessi nazionali, a cominciare da quello di un effettivo e redditizio potenziamento delle strutture produttive e delle infrastrutture del nostro Paese.
Il problema oggi è questo e per almeno venti o trent’anni il problema sarà questo. Poi si vedrà, perché in economia nulla, nessuna dottrina o teoria, può essere assolutizzata e può avere durata illimitata, ma adesso il problema politico centrale e più urgente è questo e ad esso si potrà lavorare solo togliendo preventivamente e coraggiosamente le ancore dall’Europa e da tutti i suoi voraci e chiusi centri di potere. Ma se questo è il problema, la condizione necessaria per risolverlo nell’interesse del nostro popolo e dello stesso genere umano è che emerga una classe dirigente finalmente capace di usare il potere per servire la collettività non più retoricamente ed opportunisticamente ma alla luce del monito cristiano alla condivisione immediata di ogni genere di bene materiale e spirituale.
Per questo, non se la prendano a male Enrico Letta e i suoi estimatori se alcuni cattolici non capiscono e non condividono affatto il suo cattolicesimo.