Denuncia o invocazione?

Scritto da Francesco di Maria.


Dio vuole nascere da una donna, la Chiesa nasce con Gesù nel grembo di una donna, ad una donna è conferito dal Cristo morente il compito di essere madre dell’intera umanità, sempre una donna è il primo testimone della risurrezione di Cristo e colei che va ad annunciarla agli apostoli ancora paurosamente chiusi in una casa, mentre diverse sante donne erano state al seguito di Gesù e degli apostoli.  Non c’è dubbio: il Cristo ha amato molto le donne, al pari dei bambini e dei vecchi, ovvero le tre categorie più emarginate del suo tempo, ma anche al pari di poveri e di persone ingiustamente perseguitate, categorie emarginate di ogni tempo.

Bisognava riscattare, certo, tutti coloro che, fino a quel momento, non avevano contato nulla dal punto di vista sociale e restituire loro la giusta dignità. Gesù va oltre, Gesù riscatta tutti, riscatta non solo peccatori per cosí dire relativamente innocenti e ingiustamente “esclusi” come donne, vecchi e bambini, ma riscatta persino i peccatori più incalliti che si volgano fiduciosamente a lui confidando nella sua misericordia.

Quindi, non sembrano proprio sussistere validi motivi per imbastire strumentali o demagogiche polemiche “antimaschiliste” o più semplicemente di natura sessista, come invece fanno sempre più spesso molte teologhe superbe o ambiziosette e anche molti teologi o semplici sacerdoti in cerca di visibilità mediatica e di gratificazione psicologica presso il pubblico femminile. Cosí come non esistono elementi per operare assurde contrapposizioni tra Gesù e san Paolo in termini di emancipazione-repressione, perché, come si sente spesso dire, il primo non avrebbe mai detto alle donne di indossare il velo e di non parlare in sinagoga mentre il secondo avrebbe raccomandato ingiuntivamente alle donne di velarsi il capo nelle assemblee religiose e di tacere in pubblico su tutto ciò che riguarda la Parola di Dio.

Se Gesù si fosse trovato nelle stesse contingenze di luogo e di tempo in cui venne a trovarsi Paolo quando vietò epistolarmente determinate cose alle donne, molto probabilmente avrebbe sottoscritto ogni rigo e ogni parola delle paterne, e non paternalistiche né tanto meno maschiliste, raccomandazioni paoline. Prima di parlare bisognerebbe informarsi bene e possibilmente studiare molto, ma non pare che gli scrupoli di coscienza, l’onestà, l’obiettività, oggi vadano molto di moda in certe comunità cristiane e cattoliche occidentali.

Non si vuole ancora capire che non è né Gesù, né la sua Chiesa, che devono capire i nostri presunti bisogni psicologici, ma siamo noi che siamo chiamati ad ottemperare ai loro insegnamenti perché in quegli insegnamenti sono contenuti anche i nostri veri e non presunti o falsi bisogni psicologici. Si continua a strattonare il vangelo a destra e a manca, a seconda delle convenienze particolari di ognuno, e a vivere passivamente e per pura consuetudine il messaggio di Gesù come se esso ormai non dovesse provocare più scosse, turbamenti, dubbi, crisi rilevanti, nelle nostre coscienze di cristiani dichiarati o patentati.

La fede in Cristo è sempre più “soggettiva” e sempre meno “oggettiva”, sempre più ritagliata sul nostro modo soggettivo di pensare e di agire piuttosto che essere vissuta come un potente grimaldello spirituale capace di mettere continuamente in discussione le nostre certezze, le nostre abitudini, le nostre stesse relazioni interpersonali, il nostro modo di credere e di accostarci ai sacramenti di Cristo.

E’ diventata o forse è sempre stata una fede buona a giustificare le tante forme di maschilismo e di femminismo, le più diverse ed eterogenee aspettative esistenziali di uomini e donne, le più variegate e differenti forme di governo, le più divergenti opzioni economiche e sociali: perché, si ripete sempre più ipocritamente e stancamente, la buona novella è di tutti, è per tutti, è universale, non c’è nessuno che ne sia escluso perché in ognuno c’è un’ansia di liberazione e di salvezza!

Guai a parlare degli immancabili castighi di Dio previsti anche per coloro che non intendono rettamente la sua Parola sovrapponendo ad essa le proprie voglie, i propri vizi, i propri vezzi spirituali. Guai a parlare del Maligno, figura ritenuta ormai troppo anacronistica, che tuttavia continua ad insidiare subdolamente le nostre anime beatamente superficiali e irresponsabili, oppure dell’inferno in cui andranno a finire anche coloro che si sono costruiti un Dio per loro conto inducendo anche gli altri a sbagliare.

Le donne amano Gesù ma ce l’hanno con gli uomini che non vogliono cedere loro un grammo del loro potere istituzionale e ministeriale se non in forme del tutto marginali e servili, gli uomini amano Gesù ma ce l’hanno con le donne ree a loro avviso di essere sempre più superbe e arroganti e di rivendicare funzioni ministeriali che a loro non spettano. Da una parte e dall’altro è raro trovare qualcuno che si interroghi seriamente sulla possibile e almeno parziale infondatezza delle proprie idee anche rispetto a quelle altrui.

Ma poi donne e uomini si ricompattano volentieri, si ritrovano insieme nella difesa o nella giustificazione di posizioni di potere, di ricchezza, di privilegio, rinfacciando strumentalmente a chi non è d’accordo con loro il fatto che il vangelo non dev’essere usato come copertura di gretti sentimenti umani come la gelosia, l’invidia, il desiderio incontrollato di qualcosa che non si possiede, benché sia arcinoto che il vangelo, nel mentre certamente ammonisce a non desiderare la roba o il potere d’altri e in generale tutto ciò che altri hanno e noi non abbiamo, è anche oltremodo severo verso tutti coloro che esercitano iniquamente il potere o non condividono la propria ricchezza con quanti si trovano in una condizione di bisogno o che ancora coltivano segretamente desideri mondani incompatibili con la fede evangelica, tendendo a confinare la fede nel proprio “privato” senza darsi pensiero di testimoniarla pubblicamente, sia pure nei limiti delle proprie capacità, su questioni di vitale importanza come sono quelle relative all’impegno contro il disonesto disconoscimento di elementari verità della vita umana intesa in tutte le sue fasi, alla presa di posizione contro ogni forma di corruzione pubblica e privata, di ingiustizia sociale, di immoralità individuale e collettiva, di discriminazione e di intolleranza, di meschino personalismo, all’avversione per tutto ciò che è finzione, ipocrisia, mascheramento, doppiezza, prevaricazione.

Oggi nelle nostre comunità spesso non vige uno spirito comunitario in cui davvero ci si ascolti reciprocamente, condividendo sofferenze, disagi e incomprensioni, aiutandosi lealmente con parole e atti mossi da un sincero spirito di carità, valorizzandosi nelle proprie reali qualità, riconoscendo i propri limiti personali, rimproverandosi e correggendosi fraternamente. Ci si limita ad andare a messa più per educazione, per tradizione, per passare un po’ di tempo in modo edificante che non per una stringente impossibilità spirituale di farne a meno, ci si limita a sentire senza batter ciglio le prediche dal pulpito, spesso a prescindere dalla loro qualità e dal loro valore e soprattutto se sono prediche non troppo profonde, impegnative e dure per le nostre coscienze abituate a carezzevoli e non brusche sollecitazioni morali e spirituali che le lascino sprofondare senza traumi in una sostanziale e conformistica indifferenza verso cui già sono avviate.

Ci si limita a parlare del più e del meno, a commentare, a spettegolare, a sentenziare, a pregare certo ma molto più per scrupolo di coscienza e assuefazione che non per intima convinzione e per un bisogno esistenziale di donazione e di offerta di sé. Non mancano poi i saluti, i sorrisi, le manifestazioni di ospitalità e disponibilità, le relazioni amicali, ma sempre con una precisa riserva in mente: io sono questo e questo resto, io sono amico di tutti a condizione che non si disturbi il mio quieto vivere. Il tutto, naturalmente, nel quadro di una generale e scrupolosa attenzione per la coreografia liturgica (gli ornamenti floreali, il coro, la musica, i servizi subministeriali come letture, preparazione dell’altare o somministrazione eucaristica, organizzazione di gite e professioni, riti periodici di varia natura, e via dicendo).

Però, a ben vedere, la descrizione non sarebbe completa se non comprendesse anche gli ipercritici, quelli che sanno e capiscono sempre tutto, che tutti e tutto rendono oggetto di impietosa analisi e di severa critica e che, pur perdonando a parole, sono implacabilmente e spesso ingiustificatamente astiosi verso chiunque si discosti dai loro canoni di giudizio. A dire il vero, forse non si può escludere aprioristicamente che quelle di cui sopra siano anche accorate lamentazioni di semplici credenti che di tutto ciò si dolgono e a cui sembra, in tutta buona fede, che “le cose di Dio” non vengano curate con la semplicità e la dedizione che meriterebbero e che pertanto levano il grido della loro anima al Signore, senza intenzioni accusatorie, per avere da lui un segno di risposta o di conforto.

E noi che scriviamo, Signore, a quale categoria di persone apparteniamo? Aiutaci a capire la vera natura delle nostre denunce o delle nostre critiche, lo scopo effettivo delle nostre sofferte descrizioni, le ragioni ultime delle nostre obiezioni e delle nostre proteste, perché la nostra ragione è debole e potrebbe ingannarsi. Correggi i nostri possibili errori e perfeziona il nostro spirito di carità, tenendoci lontani dal rischio di svolgere nostro malgrado il ruolo peccaminoso di “grandi accusatori”!

Poiché io so bene che tu non hai mai inteso né in Galilea né altrove far torto ad alcuno e non fai distinzione tra maschi e femmine, tra amici e nemici, tra giusti e ingiusti, tra vicini e lontani, ma solo tra chi si sforza di ascoltarti e seguirti rettamente e chi si reputa invece talmente autosufficiente da non doversi più impegnare in un lavoro di profonda revisione interiore, fammi capire, mio Dio, se sto pretendendo troppo dalle mie umili forze e indicami la strada che devo percorrere per poter essere sommessamente utile, sia pure da "servo inutile", alla tua santa Chiesa, senza trascurare di essere "utile" innanzitutto alla mia anima!