Testimonianza cristiana di un omosessuale
Quello del giovane blogger omosessuale francese Philippe Ariño (34 anni) non è certo l’unico caso in cui un omosessuale dichiarato sia capace di riconoscere serenamente che la propria inclinazione sessuale è un’anomalia di natura, una “ferita” esistenziale dalla quale talvolta è possibile guarire ma con la quale il più delle volte chi ne è affetto deve imparare a convivere senza tuttavia assecondarne le spinte o le pulsioni in una pratica abietta.
I media non fanno nulla per dare visibilità ad un fenomeno molto più ampio di quel che può sembrare semplicemente perché portare alla ribalta un numero significativo di omosessuali disposti a riconoscere pubblicamente la loro anomala differenza sessuale non farebbe notizia e non creerebbe lo scalpore che invece i media sentono il bisogno di creare nella pubblica opinione per questione di audience, e quindi anche di profitto, ma in realtà, se si desse la parola a tutti gli omosessuali (maschi e femmine) del mondo, apparirebbe chiaro che il numero di coloro che inneggiano alla libertà sessuale e quindi anche omosessuale, al “matrimonio per tutti”, ai “diritti civili delle coppie omosessuali”, alla equiparazione tra omosessualità ed eterosessualità e tra matrimonio eterosessuale e matrimonio omosessuale, costituisce un’infima minoranza rispetto alla schiacciante maggioranza di coloro che, indipendentemente dalla loro sessualità, e per puro buon senso, non provano alcuna difficoltà nell’ammettere la “normalità” di natura della sensibilità e del rapporto eterosessuale e “la anormalità” anch’essa di natura o acquisita di una sensibilità e di una relazione di tipo omosessuale.
Tuttavia, il caso di Philippe Ariño è particolarmente significativo in un’epoca in cui gli ideologi della diversità indiscriminata e i professionali mestatori dell’informazione, della cultura e della politica, vorrebbero costringere non solo tanti cristiani ma la stessa Chiesa cattolica a rivedere le proprie tradizionali posizioni dottrinarie e a tacere sui tentativi di tanta malata laicità mondiale di egemonizzare a livello planetario con il proprio distorto e corrotto modo di pensare il mondo educativo, etico-giuridico e infine politico.
Chi è esattamente questo giovane francese? E’ un intellettuale, uno scrittore, autore di saggi e articoli sulla questione omosessuale soprattutto in relazione alla fede cristiana (tra i quali è emblematico il recente Omosessualità controcorrente, Effatà 2014) e proprietario responsabile del sito L’Araignée du Désert (Il ragno del deserto) su cui svolge un’importante opera di testimonianza cristiana anche in quanto omosessuale.
Quando papa Francesco, di ritorno dal Brasile, pronunciò la frase: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», senza saperlo alludeva ad un omosessuale come Ariño, perché Ariño è un omosessuale onesto che non nasconde ma non esalta fanaticamente la sua omosessualità, riconoscendo che questa sua “diversità” è per lui fonte di travaglio interiore e di umana sofferenza ma anche occasione di riscatto, di redenzione e di santificazione davanti a Dio.
Nel 2012, benché attratto da soggetti del suo stesso sesso, decide di non praticare più la propria omosessualità, di convertirsi a Cristo e di impegnarsi a vivere la sua inclinazione conformemente alla volontà di Dio secondo gli insegnamenti della Chiesa.
Consapevole del fatto che la Chiesa non condanna l’omosessuale in sé ma solo il peccato contro natura cui la sua omosessualità può condurlo, allo stesso modo di come peraltro condanna illecite o perverse pratiche sessuali di soggetti etero, egli ha rivelato pubblicamente di aver ormai votato la sua vita alla “continenza” in ossequio ai precetti della fede cattolica, facendosi portatore dell’idea secondo cui omosessualità e fede religiosa possano ben coesistere sulla base dell’“astinenza”, principio che la Chiesa raccomanda anche per gli eterosessuali e le coppie eterosessuali che, pur unite da un profondo legame affettivo, non siano unite in matrimonio.
L’omosessualità non praticata, dice giustamente Ariño, è «un desiderio realmente esistente che può essere trasformato e donato agli altri», un desiderio che può essere vissuto nella castità e nella preghiera pur producendo sofferenza: ove si riesca ad offrire quest’ultima a Dio, l’inclinazione omosessuale «può diventare persino uno strumento di santificazione» (Intervista a Philippe Ariño, Omosessuale e fedele alla Chiesa: è possibile?, prima parte, in “Zenit” del 15 maggio 2014).
Merita di essere riportata per intero la commovente confessione del giovane intellettuale: «Da quando ho scelto di vivere nella continenza (dal gennaio 2011 ho posto fine alla seduzione, al porno e alla masturbazione), la vergogna mi ha lasciato, la lingua si è sciolta, la mia gioia è più grande, le mie amicizie sono più numerose e più solide, la mia omosessualità diventa fattore di ironia e di convivialità, non vivo più dei momenti di malinconia come prima. La continenza, anche se essa non è da mettere sullo stesso piano del matrimonio tra uomo e donna o del celibato consacrato, deve essere proposta con delicatezza (a seconda delle situazioni), può essere un “celibato di attesa” meraviglioso, per ogni persona che si sente durevolmente omosessuale e che potrà difficilmente aspirare al matrimonio o al sacerdozio. Nella mia vita, la continenza è già un passo immenso verso il dono completo della mia persona cosi com’é, con le mie forze ma anche con le mie debolezze. La continenza in sé non mi basta. Non mi fermo a questo. Ma essa è già una liberazione. Con la continenza si è creata un’unità tra la mia condizione omosessuale ed il mio amore alla Chiesa. Posso donarmi interamente ed anche con questo desiderio omosessuale che mi abita 24 ore su 24, senza dover portare la colpa della pratica omosessuale. È davvero l’ideale! Conosco solo i vantaggi del desiderio omosessuale senza gli inconvenienti. Una ferita, in sé, non è né bella né da applaudire. Ma non dimentichiamo che una ferita donata diventa un cuore aperto. Inoltre, le ferite, se offerte a Dio e agli altri, lasciano passare più luce! Sarebbe sciocco, allora, negarle e non utilizzarle!» (ivi).
Ma si può guarire dall’omosessualità? Fermo restando che, al pari di tutte le altre “differenze” esistenti in natura e nella vita storica degli esseri umani (come la cecità, la sordità, la claudicazione, il mutismo o la stessa impotenza eterosessuale di tipo genetico, e via dicendo), essa è una “differenza” di cui non ci si deve certo vergognare, la risposta di Ariño può essere considerata culturalmente e cristianamente esemplare: «Dio può guarire tutte le nostre ferite, comprese quelle psico-sessuali», egli dice; «tuttavia, io non mi focalizzo su una sola forma di guarigione dell’omosessualità. Non dimentichiamo che è Dio che sceglie i modi, non noi! Non dimentichiamo neanche che ci sono diversi gradi di profondità della ferita omosessuale, e che in certe persone l’omosessualità non è cosí profondamente radicata, mentre in altre essa è talmente profonda (senza tuttavia essere fondamentale) che cercando di eliminare la zizzania, si rischia di portare via anche il seme buono. È importante credere alle guarigioni spettacolari di Gesù (e conosco delle persone che sono riuscite a superare la loro paura e la loro ferita omosessuale), senza tralasciare le guarigioni progressive e meno spettacolari. Per esempio, ci sono dei malati di cancro che vanno a Lourdes e che tornano da questo luogo con la stessa malattia. Hanno pregato male o hanno fatto male la loro richiesta? No. Esse sono guarite diversamente. Per mezzo del senso che il sostegno di Gesù dà ai loro dolori. Dio permette a volte che il male attecchisca per meglio manifestarvi la sua presenza trascendente» (ivi, seconda parte, in “Zenit” del 16 maggio).
Ma poi non manca una giusta ed opportuna frecciata a certi cattolici che sono molto più attenti alla necessità della guarigione dell’omosessuale che non alla sua concreta realtà personale e alla specificità della sua vita spirituale: «La Chiesa ci chiama davvero a mettere la Carità e la Persona davanti alla Verità, anche se la Verità è necessaria alla consistenza della Carità. Dobbiamo guardare in faccia l’omosessualità, prima di sapere cosa farne. Riguardo a questo desiderio reale, un certo numero di cattolici ha la tendenza a focalizzarsi sulla guarigione prima ancora di guardare cosa c’è da guarire, prima ancora di considerare la persona omosessuale e di vedere che alcuni di noi resteranno omosessuali tutta la vita» (ivi).
Purtroppo spesso di omosessualità si parla, sia pure su fronti contrapposti, in modo puramente strumentale e “ideologico”, ed è forse questo uno dei maggiori rischi che si corrono quando si pronunciano giudizi al riguardo. Gesù, osserva il saggista francese, «non ci accoglie “a partire dal momento in cui non saremo più omosessuali” o “perché non saremmo veramente omosessuali” né “per cambiarci”. Lui vuole convertirci. Non cambiarci. E prende sul serio ciò che noi sentiamo. Lui opera con ciò che noi siamo e a partire da lì, si adatta e dice: “Vediamo cosa si può fare!”» (ivi). Verissimo!
Specialmente in ambito politico, l’uso volgarmente strumentale di questo problema è molto frequente: «i politici», afferma senza mezzi termini Ariño, «hanno cavalcato il fatto che la gente non sappia abbastanza in materia di omosessualità per fare dei diritti dei gay la loro bandiera, in modo da ingraziarsi una fetta dell'elettorato. Ma la legge di Hollande è in realtà violentissima, perché banalizza la differenza tra i sessi mettendo tutte le coppie allo stesso livello» (Intervista di Maddalena Boschetto in “Il Sussidiario.net” del 16 luglio 2013). Questa legge francese per antonomasia contro l’omofobia è banale perché essa è la legge «più omofoba di tutte: è come se fosse un “contentino” per le coppie omosessuali che ora possono scimmiottare qualcosa che loro, per natura, non potranno mai essere. È una sorta di presa in giro che aggiunge una lacerazione alla ferita di quanti vivono con coscienza la loro vita e, infatti, al di là della apparenze, non sono pochi dal fronte Lgbt che non hanno preso bene la notizia» (ivi).
Questo nostro fratello oggi dice di fidarsi totalmente della Chiesa, dalla quale si sente accolto e amato, e proprio in virtù di questa fiducia, egli precisa, «ho capito che la mia vera identità è quella di uomo e di figlio di Dio, e questo è l'essenziale, poi viene il mio desiderio affettivo, che non nego, perché esiste, ma la Chiesa, dividendolo dalla pratica, lo riconosce e non mi forza a rinnegarlo. Ma non è più il fulcro attorno al quale ruota la mia vita: per la prima volta mi sono sentito veramente felice e responsabile» (ivi).