Molti i chiamati, pochi gli eletti
Dio, per condividere la sua straripante felicità per le nozze che il suo Figlio unigenito sta per contrarre con tutte le sue creature al fine di unirle a sé per un destino di intimità con la Trinità, chiama ognuno di noi a partecipare al suo banchetto nuziale e a godere di tutte le primizie che vi vengono servite (Mt 22, 1-14). Ognuno di noi, quindi, indipendentemente dal ruolo o dalla funzione che assolve nel mondo, ha la possibilità, sia pure in modi e tempi diversi, di sentire la chiamata divina, la vocazione per una vita conforme alla divina volontà e quanto più possibile santa.
Succede però che i chiamati e in primis quelli che per educazione, formazione, e grazia sacramentale ricevuta (che nel caso dei cristiani è innanzitutto il battesimo), dovrebbero essere più vicini a Dio e più sensibili alla sua chiamata ovvero al suo festoso invito nuziale, inopinatamente declinino l’invito, chi per calcolo o interesse personale, chi per estremo attaccamento ai propri affari, chi per superbia o autosufficienza, chi per apatia, chi per dissolutezza, chi per incostanza spirituale. Succede anche che il Signore, di fronte a questo rifiuto oltraggioso, allarghi a dismisura la cerchia dei chiamati sino a comprendervi tutti indistintamente, buoni e cattivi, credenti e non credenti, persone colte o incolte, persone distinte ed influenti o umili e deboli, e solo allora riesca a riempire la sala, il che significa che solo quelli che non sono sazi della vita o meglio di vita mondana oppure non sono soggiogati da preoccupazioni e interessi prettamente terreni, sentono realmente il bisogno di Dio e del suo amore gioioso.
Le nozze in senso biblico simboleggiano l’alleanza tra Dio e il suo popolo, tra Dio e i suoi figli, per cui, tra tutte le nozze che si celebrano nella storia dell’umanità, esse dovrebbero essere le più importanti, le più festose e coinvolgenti, le più memorabili e ambite, ma questo può essere compreso solo da chi è capace di comprendere la grandezza di quell’invito, di quel dono, e di manifestare la gratitudine di chi sa di non esserne degno quali che possano essere, accanto ai suoi peccati, le sue virtù e i suoi meriti terreni.
Il Signore, in un primo tempo, si abbassa persino a pregare coloro che ritiene essere i suoi figli più fedeli inviando presso di loro i suoi messi che però vengono addirittura uccisi da soggetti formalmente o apparentemente legati a Dio ma intimamente non solo lontani da Dio ma persino infastiditi dalle sue offerte, dai suoi richiami, dalla sua paterna chiamata: costoro si sentono padroni talmente soddisfatti della propria vita da far tracimare la propria ombrosa superbia in violenza omicida.
Costoro il più delle volte sono quelli che, usando Dio solo strumentalmente e avendo talvolta a che fare con una sua parola scomoda o con il suo invito ad onorare le sue nozze in modo umile, amorevole, riconoscente, sia in quanto battezzati sia in quanto partecipi della cena eucaristica, finiscono per manifestare la vera e labile natura della propria spiritualità e della propria fede. Non è che il Signore non compatisca la debolezza dei suoi servi, ma non compatisce l’orgoglio moralistico di chi lo vuol ridurre alla propria misura, di chi per esempio va a messa senza sforzarsi di spogliarsi delle proprie abitudini, cioè di cambiare abito per indossare un abito migliore, anzi un abito nuziale e ben più adatto a tributare onore e gloria a Colui che è venuto dal Cielo per sposarsi con ognuno di noi e per renderci eternamente felici nel suo Regno di giustizia e d’amore.
Ecco perché quel "tale" che si presenta alle nozze illudendosi di potervi partecipare senza essere nelle condizioni reali di beneficiare della gioia di tutti gli altri ospiti, ovvero senza indossare l’abito giusto, e quindi senza dolersi sinceramente dei suoi peccati, senza proporsi e riproporsi continuamente di migliorare la propria condotta di vita sia verso Dio che verso il prossimo, senza confidare incondizionatamente nella misericordia divina e senza prendere veramente sul serio tutte le promesse di Gesù il Salvatore, viene rimproverato severamente dal padrone che gli si rivolge in questi termini: «”Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?”. Quello ammutolí. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 1, 12-14).
Dobbiamo fare attenzione: tutti, cristiani e non cristiani, consacrati e laici, credenti e non credenti! E’ il Signore che ci ammonisce a non coltivare con leggerezza la nostra fede, a non enfatizzare in modo falso e scaramantico la sua infinita capacità di perdonare, a non illuderci che quali che siano le nostre colpe e la qualità della nostra vita e della nostra fede potremo alla fine partecipare anche noi, insieme a tutti gli altri convitati, al banchetto celeste. Non è cosí e sarebbe opportuno che anche i sacerdoti della Chiesa cattolica ricordassero più frequentemente a noi tutti che Cristo una volta è venuto per salvarci e non per condannarci, ma che la seconda volta verrà per giudicarci e per aprirci o chiuderci per sempre le porte del paradiso. I chiamati sono molti, gli eletti sono pochi: Gesù non precisa né lascia intendere se gli eletti siano pochi in senso relativo o in senso assoluto, ma ci fa sapere che in ogni caso il numero degli eletti supererà di molto il numero dei chiamati. Il che non deve indurci a disperare ma solo a confidare sinceramente e umilmente nel suo perdono e nella sua misericordia.
Con Dio non si può bleffare, non si può far finta di partecipare al Regno di Dio coltivando pensieri e sentimenti molto diversi da quelli a Lui graditi, perché il Signore vede la nostra anima, vede la veste autentica del nostro cuore, e se non siamo rivestiti di Cristo, nel suo Regno non possiamo esserci oggi e non potremo esserci domani tra gli eletti del Cielo.
Né ci si può illudere di avere a portata di mano la salvezza e il paradiso solo perché si sia preti, laici impegnati nel volontariato o nell’apostolato, soggetti a vario titolo consacrati, assidui frequentatori del sacramento eucaristico, o anche non credenti intellettualmente aperti ad una dimensione trascendente. Non ci si può e non ci si deve illudere, perché, come ha scritto Agostino, «molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro».
Però c’è un modo per essere certi di essere destinati all’eterno e glorioso banchetto di Dio: quello di non stancarsi mai di verificare se stiamo diventando come bambini, non bambini, cioè infantili e immaturi, ma come (ut) bambini, cioè piccoli, indifesi, timorosi ma fiduciosi verso il padre e la madre sempre e comunque. Se in tutto e per tutto, qualunque cosa ci capiti, qualunque cosa facciamo, qualunque cosa subiamo, qualunque errore commettiamo per noi stessi o a danno di altri, ci fidiamo di nostro Padre e, per farlo contento e non rischiare di perdere il suo amore, tendiamo anche solo timidamente la mano a chi abbiamo offeso, disprezzato, criticato ingiustamente, noi possiamo essere ben certi che il Padre sarà felice di stringerci teneramente tra le sue braccia misericordiose per l’eternità.
Dio vorrebbe che tutti quelli che chiama fossero “eletti”, ma non tutti lo sono semplicemente perché molti dei chiamati non ascoltano correttamente la sua voce e la sua parola oppure applicano male i suoi insegnamenti, sottraendosi non di rado alla sua volontà. Sant’Agostino diceva: ‘Deus qui creavit te sine te, non salvabit te sine te’ (‘Dio che ti ha creato senza il tuo consenso, non ti salva senza la tua collaborazione’). E’ inutile chiedersi se saremo o non saremo tra gli eletti: preghiamo, lottiamo con tutte le forze contro il peccato in noi sempre risorgente, abbandoniamoci fiduciosi alla misericordia divina, e saremo sicuramente salvi tra gli eletti di Dio.