Non giudicate! Commento a Luca 6, 27-42

Scritto da Francesco di Maria.

 

Gesù ha appena finito “il discorso delle beatitudini” dicendo che il regno di Dio è dei poveri, di quelli che patiscono privazioni di ogni genere perché un giorno saranno “saziati”, di quelli che piangono a causa delle tante iniquità cui si trovano ingiustamente sottoposti, di quelli che per amore di Cristo e del suo insegnamento finiranno per essere oggetto di odio e di emarginazione, di irrisione e di disprezzo, ma minacciando al tempo stesso (perché di minacce si tratta e non di semplici avvertimenti) i ricchi, quelli cioé che avranno esercitato potere e accumulato ricchezza per fini egoistici, che in qualunque modo si saranno saziati di beni mondani e di ambizioni terrene, riscuotendo magari l’ammirazione e il plauso di tutti o dei più.

Gesù ha appena finito questo celebre discorso promettendo eterna felicità o beatitudine ai poveri e maledicendo ricchi e oppressori impenitenti, ed ecco che, quasi a non voler creare equivoci o divisioni preconcette nell’animo del suo ampio ed eterogeneo uditorio, ad un certo punto dice a discepoli e a quanti intendano seguirlo: «Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.

E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6, 27-35).

In altri termini, Gesù, dopo essere stato molto largo di promesse benefiche con i poveri di spirito e oltremodo severo con tutti coloro che non sono affatto disposti a portare la croce in questa vita e cercano sempre la via più facile e immediata per soddisfare le proprie voglie sfruttando non di rado gli altri per appagare i propri appetiti, precisa tuttavia a quali condizioni quelli che soffrono per le ingiustizie altrui potranno essere ritenuti da Dio meritevoli di eterna beatitudine.

E’ come se Gesù dicesse: voi soffrite ingiustamente, lo vedo, lo so; soffrite a causa di gente che determina la vostra sofferenza o non fa nulla per alleviarla. Ma a voi io dico: non è la vostra sofferenza ma il modo in cui voi la vivrete e la ragione per cui voi la accetterete che potrà rendervi meritevoli di andare in Cielo, nel senso che dovete sí difendervi con mezzi e modi legittimi dai soprusi o dalle prevaricazioni di potenti e mascalzoni di ogni genere, dovete sí opporvi loro con la persuasione, la protesta o il ricorso agli stessi tribunali umani, ma continuando ad amarli, ovvero facendo prevalere nei confronti dei vostri nemici un sentimento di amore e di perdono su un pur comprensibile sentimento di odio e di condanna, facendo loro se necessario anche del bene e pregando perché si convertano a miglior vita spirituale.

In questo senso, tu non reagire violentemente verso chi ti offende o ferisce: reagisci con la parola ferma ma pacata per far valere le tue ragioni, con lo sguardo privo di paura ma non accecato da una rabbia feroce, vale a dire non metterti al suo livello ma restane sempre un po’ sotto, sino a quando fisicamente, umanamente e moralmente ti sia possibile, e se capita che qualcuno prenda qualcosa che ti appartiene materialmente come un mantello o come una certa somma di denaro, non farne una tragedia se il suo gesto non mette in pericolo la tua esistenza o i tuoi affetti e soprattutto la serenità dei tuoi congiunti o della tua comunità, e anzi sii generoso e usa tutta la carità che puoi verso chi ti chiede o ti prende qualcosa, perché può darsi che ne abbia veramente bisogno e perché d’altra parte nulla sfugge all’occhio del Signore.

Se riuscite ad amare anche quelli che vi ostacolano o vi opprimono o vi perseguitano, pur nell’esercizio del vostro legittimo diritto a difendere la vostra dignità e libertà personali, dimostrate realmente di essere poveri di spirito e “la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo”. Perciò, siate misericordiosi al meglio delle vostre reali possibilità come lo è il Padre vostro celeste. Essendo misericordiosi, sarete anche capaci, pur giudicando tutto e tutti con sano e saggio discernimento ovvero con obiettività, di astenervi dal giudicare in modo perentorio, assoluto e definitivo, e dal condannare senza concedere alcuna possibilità di appello.

Dal punto di vista umano e morale siate quanto più possibile inclini a comprendere, a giustificare, a perdonare, soprattutto in considerazione del fatto che anche voi non siete angeli puri e incontaminati; esercitate quanto più intensamente possibile il vostro spirito di carità persino verso il prossimo più odioso, e un giorno riceverete in proporzione a quanto avrete dato nel corso della vostra vita terrena: «Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6, 38).

Capitemi bene, dice il Signore: non si tratta di non giudicare e non condannare né le iniquità del mondo né le iniquità umane in generale, perché senza giudizio non si dà conoscenza né conoscenza senza giudizio e perché l’uomo che pensa non può fare a meno né di conoscere né di giudicare, ma si tratta di giudicare o di condannare conoscendo innanzitutto se stesso, la propria fallibilità, i propri peccati, le proprie miserie passate o presenti, e di manifestare verso gli altri la stessa benevolenza che si vorrebbe ottenere da Dio per se stessi. Insomma, bisogna evitare di esprimere giudizi ipocriti verso il prossimo, tanto più quanto più ci riconosciamo o meglio siamo peccatori e debitori verso Dio.

Il Signore non vuole tappare la bocca a nessuno, ma invitare i suoi figli ad usare correttamente e sobriamente, ovvero caritatevolmente, la propria capacità di intendere e di volere; né vuole indurci a non opporre resistenza al male e ai malvagi, ma esortarci a combattere il male e i malvagi con il bene  e quindi con tutti gli strumenti intellettualmente e moralmente leciti e con i princípi e gli strumenti giuridicamente legittimi di cui si può disporre storicamente, ivi compresa l’extrema ratio dell’uso della forza e della legittima difesa armata per sé o per altri soggetti indifesi e incolpevoli (Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, LEV, 1992, nn. 2263-2267).

La violenza condannata da nostro Signore ovvero la violenza in senso proprio non è una violenza generica ed astratta, non è quindi ogni possibile forma di violenza, ma è quella specifica violenza che offende e ferisce deliberatamente, che prevarica ed opprime, e che nasce perciò dal disconoscimento volontario della verità e della giustizia e dalla volontà di perseguire determinati obiettivi e determinati interessi personali anche a scapito del diritto, della dignità o della stessa incolumità altrui. Quante volte capita di sperimentare questa forma di incivile o barbara violenza nei vari ambiti della vita interpersonale e del mondo attuale! Ora, non è che il Signore chieda ai suoi seguaci di non far nulla contro questo tipo di violenza: è talmente evidente la liceità di una energica difesa personale ove altri intendano fare i propri comodi a nostro danno e persino la liceità di una difesa armata e quindi violenta contro criminali e assassini di ogni specie che il Signore lascia sullo sfondo questa precisazione, anche se nel vangelo non mancano certo episodi e spunti da cui possa desumersi agevolmente la fondatezza di quanto qui sostenuto.

Il Signore chiede tuttavia che i suoi seguaci, per quanto possano essere ostacolati o perseguitati a causa del loro spirito di verità e di giustizia, non si mettano mai sullo stesso piano di nemici e persecutori, ma anzi, avendone la concreta opportunità, si mostrino sempre pronti a non negare loro l’aiuto di cui potrebbero aver bisogno e a pregare il Padre per la loro conversione.

Quello che dice il Cristo non è né astratto né irrealistico, anche se è molto difficile da mettere in pratica, talmente difficile che un uomo da solo, senza il supporto costante dello Spirito Santo, non può farcela. Però, bisogna sforzarsi di capire che, alla luce del brano lucano oggetto di commento e di esegesi, la croce che ognuno di noi è chiamato a portare non è affatto incompatibile con l’impegno quotidiano contro il peccato sociale oltre che contro il peccato personale, con la lotta contro i bugiardi e i prepotenti oltre che contro le nostre più intime debolezze individuali.

Bisogna sempre tenere presente che non esiste una spiritualità più lontana dalla spiritualità evangelica di quella che si nutre semplicemente di opere pie e pratiche devozionali, di attivismo liturgico-sacramentale e attività contemplativa e teologica, di chiuso intimismo e di mistica esaltazione, e non anche e non innanzitutto di conoscenza ed esperienza della vita reale, di disponibilità a testimoniare il Cristo nei molteplici santuari mondani della menzogna e della violenza oltre che in mezzo a fratelli e sorelle di fede “tiepida” e malsana.

Il vero cristiano non è forse chiamato ad imitare il Cristo? Orbene, prima di lasciarsi crocifiggere, il Cristo ha chiarito le ragioni non occasionali della sua crocifissione salvifica con la sua stessa condotta di vita: ha sempre vissuto in perfetta comunione col Padre e, in pari tempo, ha sempre preso pubblicamente posizione contro i malvagi, i potenti e i ricchi del mondo, gli ipocriti e i superbi, contro gli stessi supponenti rappresentanti del sacro e contro ogni altezzosa e indebita pretesa del potere pure legittimamente costituito, contro i suoi stessi “amici” talvolta troppo soggetti all’errore e alla mentalità di questo mondo. Ecco: è anche o principalmente per questo che la croce è stata inflitta a nostro Signore Gesù Cristo: proprio per aver rivelato agli uomini la loro doppiezza, la loro ipocrisia, la loro infedeltà all’unico e vero Dio. Accogliendo volontariamente quel tremendo supplizio lo ha trasformato in potente strumento di salvezza per l’intera umanità. Sforziamoci dunque, con vera e profonda umiltà, di imitarlo e saremo sicuri di morire crocifissi molto vicino a Lui.

Il Signore mi perdoni se ne ho frainteso in qualche modo l’insegnamento, anche se Egli sa che mi sono assunto dinanzi a Lui e agli uomini, con tutta l’umiltà di cui sono capace, la responsabilità spirituale di tentare di spiegare il senso di un passaggio evangelico molto alto ma, proprio per questo, anche soggetto talvolta ad una comprensione riduttiva o a veri e propri fraintendimenti nelle nostre comunità ecclesiali.

Pur senza essere specializzato in esegesi biblica ho provato ad essere ugualmente utile nel rispetto di un documento della “Pontificia Commissione Biblica” risalente al 1993: «L’esegesi biblica adempie, nella Chiesa e nel mondo, un compito indispensabile. Voler fare a meno di essa per comprendere la Bibbia sarebbe un’illusione e dimostrerebbe una mancanza di rispetto per la Scrittura ispirata (...) Per parlare agli uomini e alle donne, Dio ha sfruttato tutte le possibilità del linguaggio umano, ma nello stesso tempo ha dovuto sottomettere la sua Parola a tutti i condizionamenti di questo linguaggio. Il vero rispetto per la Scrittura ispirata esige che si compiano tutti gli sforzi necessari perché si possa cogliere bene il suo significato ... questo compito è affidato proprio agli esegeti».