Figli della luce reali o virtuali?

Scritto da Francesco di Maria.


Un amministratore disonesto è e rimane disonesto qualunque cosa faccia e anche se amministri male il patrimonio non di persone oneste ma di un tizio ricchissimo e molto avido, che sia della sua stessa pasta, tanto che Gesù non a caso definisce entrambi come “pari” (Lc 16, 1-8). In fondo sono due imbroglioni, e l’amministratore, una volta che il suo datore lavoro ne abbia smascherato gli imbrogli e l’inefficienza, cerca di correre ai ripari per imbrogliare nuovamente il padrone al fine di crearsi, tra coloro cui riduce artatamente i debiti, degli amici che, nel momento del bisogno, possano aiutarlo a superare, per semplice riconoscenza e non certo per amore, le sue difficoltà.

Ma altro è l’immoralità del comportamento, altro è il giudizio sui modi adottati per ridurre al minimo le conseguenze negative del suo scorretto operato. Gesù non ammira certo il disonesto amministratore per quello che fa, ma per il modo in cui cerca spregiudicatamente di venire a capo di una vicenda che lo vede soccombere. Fuor di metafora e di parabola: vi sono amministratori disonesti totalmente chiusi ad ogni barlume o possibile residuo di moralità che vanno incontro a sicura rovina nell’ambito del loro destino terreno, ma vi sono anche amministratori disonesti che sanno fare buon uso della loro intelligenza e della loro scaltrezza in virtù delle quali su questa terra potranno poi contenere se non del tutto annullare i danni conseguenti dalla loro cattiva condotta.

Dunque qui sono a confronto due modi di pensare, uno che concepisce intenzionalmente il male e che punta a fare altro male con grande abilità e lucidità per tentare di sottrarsi alle conseguenze del male precedentemente compiuto e uno che procede verso la verità, nel riconoscimento delle proprie colpe, con l’umile speranza (vedi la parabola del figliol prodigo) di ottenere un perdono cui si aspira con grande sincerità.

Qui cadono anche il commento e la constatazione di Gesù: i figli disonesti di questo mondo di cose caduche e corrotte, pur di rimediare agli errori fatti o alle trasgressioni commesse per il vantaggio proprio e il danno altrui, non di rado appaiono altresí molto svelti e pronti a risolvere o comunque a convogliare verso il proprio interesse personale situazioni che, affrontate con spirito rassegnato o apatico e inefficiente, potrebbero causare loro solo guai e rovina. Coloro che operano in modo efficiente nel mondo finanziario, nel mondo degli affari, dove il profitto è la regola unica e pressante del loro agire, spesso sanno anche cavarsela persino nei momenti più difficili o drammatici della loro disonesta attività di vita.

Altrettanto pronti, appassionati, intelligenti non sempre sono i figli della luce, ovvero di coloro che, per educazione o per iniziale convinzione, hanno accettato la rivelazione di Dio, l’annuncio evangelico, il messaggio divino di salvezza. Accade infatti che costoro, pur disponendo intimamente di verità essenziali al perseguimento non già di scopi materiali o economici ma di scopi spirituali ben più stabili e necessari per la salvezza eterna dell’anima e del corpo, e pur in apparenza o formalmente obbedienti alle leggi di Dio e della Chiesa, siano inclini o abituati a vivere stancamente o meccanicamente, se non addirittura in modo dissociato, la propria fede e gli obblighi che ne derivano verso Dio e verso il prossimo, per cui, ritenendosi appagati delle loro preghiere giornaliere, del loro regolare e routinario accostarsi ai sacramenti della confessione e dell’eucaristia, del loro prestare “servizio” a vario titolo nell’ambito delle celebrazioni liturgiche, finiscono per fare della loro fede e della loro spiritualità poco più di un distintivo esteriore che nulla o poco incide poi sulla reale possibilità di essere davvero operai nella vigna del Signore e di collaborare all’attuazione anche terrena del Regno di Dio.

Se coloro che sono nominalmente o istituzionalmente o sacramentalmente al servizio del Regno di Dio, si impegnassero al fine della sua edificazione con lo stesso realismo e con lo stesso zelo con cui i figli delle tenebre prestano il loro servizio a Satana, il mondo sarebbe certamente migliore e anche la vita di molte persone diventerebbe più degna di essere vissuta.

Il Signore è lí a dirci: se voi che, come figli del mondo e spesso delle tenebre, mettete tanta professionalità e diligenza per mettere a posto i vostri affari terreni, perché voi che, pur ugualmente soggetti al peccato, detenete il titolo di figli della luce, figli che hanno almeno una volta nella vita aderito alla chiamata del Signore nelle specifiche mansioni da lui riservate ad ognuno, non siete altrettanto professionali, seri, audaci nel mettere a posto le cose della vostra vita spirituale, nell’applicare coerentemente alle situazioni di ogni giorno la vostra fede, nell’anteporre sempre e comunque le vere cose di Dio alle vostre inutili e improduttive abitudini di vita e persino alla vostra fede solo scaramanticamente o illusoriamente vissuta? Tu, che sei mio ministro e che dal pulpito parli sempre di umiltà e di povertà, sei sicuro di fare tutto quello che ti raccomanda il vangelo per non essere, magari a tua insaputa, un mostriciattolo di vanità e di quieto vivere? Voi, donna e uomo, che a giorni alterni prestate servizio sull’altare insieme al celebrante, intonando canti liturgici e somministrando ai fedeli ostie consacrate, siete sicuri di non essere divorati dalla superbia quando vi rifiutate pregiudizialmente e deliberatamente di apprendere da chi, donna o uomo come voi, coniugato o non coniugato come voi, laico o consacrato come voi, è probabilmente più sapiente e saggio di voi per grazia di Dio? O di non essere affetti da grave superficialità quando giungete sempre con notevole ritardo alle messe feriali evidenziando puntualmente ed ostentamente dinanzi ai presenti il vostro vizio spirituale? E’ forse cosí che i figli della luce pensano di poter evitare la propria rovina e di poter manifestare la propria fedeltà a Dio? O pensano di essere all’altezza del loro ruolo e dei loro compiti occupandosi solo delle necessità materiali e spirituali di se stessi e dei propri congiunti e disinteressandosi sostanzialmente delle disgrazie o dei bisogni altrui?

E anche tu, proprio tu che stai scrivendo, tu che sai fare queste belle o dotte requisitorie, dice il Signore, sei proprio certo di corrispondere alla volontà di Dio o non te ne servirai sottilmente per appagare un tuo nascosto quanto ingiustificato desiderio di supremazia e di superiorità rispetto ai tuoi simili?

Attenzione a non accumulare ricchezze materiali, a non pensare semplicemente ai propri interessi pratici pur invocando continuamente il Signore, a non nutrirsi di orgogliose gratificazioni personali anche se ammantate di reale o presunta dedizione a pratiche caritatevoli e di scienza teologica apparentemente solida e ispirata! Per tutto questo, vale sempre l’invito di Gesù: «Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro che non viene meno in cielo dove il ladro non giunge e la tignola non consuma» (Lc 12,33).

Gesù raccomanda a quelli che intendono seguirlo, segnatamente per le ricchezze materiali ma in generale per ogni tipo di ricchezza di cui si disponga, di farne un uso intelligente, avveduto, generoso, finalizzato a procurarsi degli «amici» che possano accoglierli «nella dimora eterna»: carità ed elemosina commisurate alle proprie possibilità umane ed economiche, uso sociale quanto più possibile generoso della proprietà privata, disponibilità a valorizzare con gioia i talenti altrui sia pure nei limiti delle proprie possibilità o delle proprie funzioni sociali ed ecclesiali, questi sono modi certamente creativi ed utili non solo a far fruttare la Parola di Dio in terra ma anche a procurarsi amici che ci accolgano nella dimora eterna. Solo quanti «sappiano realmente riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti di qualsivoglia tipologia, comportandosi di conseguenza, potranno essere accolti un giorno da quest’ultimi nella casa del Padre».

Se non siete capaci di essere fedeli nella disonesta ricchezza ovvero una ricchezza destinata a tutti ma amministrata male nell’interesse di pochi (per Gesù la ricchezza in quanto tale, in quanto non condivisa e non equamente distribuita tra tutti i fratelli e le sorelle di ogni parte del mondo o di ogni categoria sociale, pur nel rispetto di necessità e capacità soggettive necessariamente diversificate, è sempre ingiusta e disonesta perché derivante comunque da pratiche comportamentali o da processi storico-sociali volti ad accaparrare ricchezza a favore di alcuni e a scapito di altri o di molti), dice ancora Gesù, come vi si potrà affidare la vera ricchezza, quella che conta di più perché non finisce mai, e come farete ad essere fedeli nella ricchezza che il Signore vorrebbe donare munificamente ad ognuno di noi se non sarete stati capaci, pur tra errori e contraddizioni, di amministrare fedelmente la ricchezza che eravate stati incaricati di distribuire generosamente ed efficientemente agli altri?

Non accumulare, ma condividere in modo semplice e non ostentato,  è la parola d’ordine del vangelo nell’uso dei beni materiali e spirituali, anche e soprattutto se l’onesto sforzo di condividere venga osteggiato, disprezzato, irriso. Di quante cose superflue o inutili, di quanti beni voluttuari, ci circondiamo e ci rendiamo schiavi non episodicamente nel corso della nostra vita senza degnare di uno sguardo persone che mancano di ciò che è assolutamente necessario? Forse san Basilio non si riferiva solo ai ricchi conclamati, ai ricchi di status, ai possessori di molto denaro, ma ai ricchi in generale (e chi di noi non è ricco di qualcosa o sotto determinati aspetti, rispetto a tanti suoi simili?), quando scriveva: «Non sei forse un ladro, tu che delle ricchezze di cui hai ricevuto la gestione fai come fossero cosa tua?».

Gesù, con l’elogio paradossale del disonesto amministratore, vuole ricordarci energicamente che il criterio per l’uso di qualunque genere di ricchezza, a cominciare da quella materiale o economica, non è quello di usarne solo per se stessi (potere personale, privilegi e onori) ma quello di usarne anche e soprattutto a favore degli altri e dei loro oggettivi bisogni di vita materiale e spirituale. Non privilegio, ma servizio dunque nella verità e nella carità! Ricchezza non è solo soldi, ma anche salute, intelligenza, cultura, potere; chi possiede questi beni non li deve godere in solitudine o egoisticamente anche se condivisi tra pochi amici peraltro servili o adulatori e interessati, ma li deve considerare doni di Dio dati per il bene di tutti: il sano c’è per soccorrere l'ammalato, l'istruito o il sapiente per aiutare chi non lo è o non lo è abbastanza, la persona autorevole per dare una mano all'indifeso e all’oppresso!

Noi cristiani abbiamo molto da riflettere, per verificare se siamo o vogliamo essere veri e reali figli della luce o figli della luce perennemente virtuali!