Natuzza Evolo: perché un cattolico non è obbligato a credere alla sua santità

Scritto da Francesco di Maria.


Non è possibile parlare con l’al di là, né vedere né sentire coloro che hanno lasciato questo mondo. Sostenere il contrario e comportarsi di conseguenza, da un punto di vista teologico sono rispettivamente un grave errore e un peccato mortale, specialmente se vengano reiterati nel tempo. Dall’Antico Testamento si apprende che chi interroga i morti o pretende di parlare con essi per qualunque motivo è in abominio al Signore (Dt 18, 12), come ribadisce anche Isaia (8, 19-20). Persino chi dice di parlare con i defunti non per prevedere il futuro o vincere al gioco o chiedere di intercedere presso Dio, ma semplicemente per ricevere messaggi che rafforzino la sua e l’altrui fede, è un bugiardo o un profanatore delle leggi divine: il re Saul non interrogò i morti, non invocò per mezzo di una strega lo spirito del profeta Samuele allo scopo di ottenere vantaggi personali o di conoscere anzitempo gli avvenimenti futuri ma solo per ricevere una guida in un momento di particolare difficoltà personale, e tuttavia nella Bibbia questo suo atto sacrilego (in conseguenza del quale viene punito da Dio con la morte) viene citato come esempio di condanna da parte di Dio verso chiunque si metta o tenti di mettersi in contatto con i defunti (1 Samuele 15, 22-23).

Solo Dio, in prima persona e nella persona di nostro Signore Gesù Cristo, può parlare con i morti: per esempio, sul monte Tabor, accanto a Gesù appaiono Mosé ed Elia con i quali egli conversa al cospetto di Pietro, Giacomo e Giovanni, presi da un comprensibile moto di paura (Mt 17, 1-3). Il divieto di mettersi in contatto con i defunti non è un capriccio di Dio, ma un comandamento che Egli ha stabilito per il nostro stesso bene, affinché non rischiamo di essere ingannati da Satana, persino ove noi siamo chiamati ad esercitare una specifica funzione ministeriale e sacerdotale, in quanto «anche  Satana si traveste da angelo di luce» (2 Cor 11, 13-14).

I defunti non possono dirci nulla perché non sanno nulla: nulla di quanto avviene sulla terra e di quanto avviene ai propri congiunti, come figli, fratelli o sorelle. Come recita Qoèlet o Ecclesiaste (9, 5-6): «I vivi sanno che devono morire, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, è svanito il loro ricordo. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole». I defunti, pertanto, non possono in nessun modo e per nessun motivo essere contattati, pregati o evocati, né essi hanno il potere di apparire e di parlare di loro iniziativa ai vivi. In sede biblica non sussiste alcun dubbio al riguardo e la Chiesa, tranne in alcuni momenti particolarmente infelici della sua storia, non ha mai avuto tentennamenti di sorta su questo argomento.

San Tommaso, nella Summa Theologiae, II, q. 95, condanna inequivocabilmente la divinazione per mezzo degli spiriti dei defunti: se l’uomo avesse bisogno di conoscere il futuro, Dio, in virtù della sua onnipotenza, glielo comunicherebbe in modo diretto o mediante la Santa Vergine Maria che da sempre vive nell’eterna vita trinitaria di Dio. E’ molto più verisimile teologicamente, come risulta dall’Antico e dal Nuovo Testamento,  che ad un essere umano parli direttamente Dio o un suo santo intermediario che non un defunto. Dunque, tutti coloro che pretendono di parlare con i morti o sono soggetti empi e blasfemi con una qualche tendenza a forme di stregoneria o, come il più delle volte succede, sono soggetti psicopatici che possono anche sentire voci ed avere sensazioni visive molto reali ma solo per via di stati allucinatori o deliranti. Certe veggenti, presunte o reali, avrebbero potuto accontentarsi di sentire la voce di Gesù e di Maria e invece hanno voluto strafare!

Ora, sembra che la Chiesa stia oggi procedendo speditamente, su iniziativa di autorità ecclesiastiche locali, a loro volta fortemente condizionate da un’opinione pubblica molto più motivata sotto l’aspetto emotivo che non sotto l’aspetto razionale, alla beatificazione della signora Natuzza Evolo di Paravati che, tra le tante facoltà che si autoattribuiva in vita e che molti sono disposti a riconoscerle, poneva anche quella di mettersi in contatto con i defunti oltre che con angeli ben addestrati a porsi, a seconda che si trattasse di sacerdoti o di semplici laici, alla sinistra o alla destra delle persone che andavano a trovarla.

Per dire la verità, verso la fine degli anni ’30 del secolo scorso, alcuni sacerdoti della sua zona di residenza, convinti, non importa se a torto o a ragione, che i suoi presunti “poteri” fossero tutta opera di Satana,  ritennero di tentare un esorcismo su di lei, ma proprio all’indomani di questo severo e umiliante trattamento cui era stata sottoposta, pare che le si presentasse san Tommaso d’Aquino in persona, che ovviamente alla povera analfabeta di Paravati era del tutto sconosciuto, e le dicesse per confortarla: «Io sono san Tommaso.Ti benedico, da oggi in poi vedrai sempre più spesso i defunti».

E’ evidente che nessuno ha mai potuto accertare la veridicità di questo racconto, mentre è fuor di dubbio che esso risulti perfettamente funzionale alle dichiarazioni reiterate della stessa Natuzza circa il suo presunto “dono” di parlare con i morti. Vi immaginate tuttavia san Tommaso che, da vivo, aveva condannato senza mezzi termini ogni possibile forma di relazione tra vivi e morti, e che ora da trapassato, per quanto beato in Cielo, finiva per rinnegare i suoi trascorsi terreni al fine di consolare quella povera anima del vibonese calabro?

Peraltro Natuzza vantava sempre frequentazioni e incontri importanti: con san Francesco di Paola (ci mancherebbe altro: il patrono della Calabria non poteva non andare a trovarla!), con padre Pio (per forza, un santo stigmatizzato e famoso in tutto il mondo non poteva certo fare uno sgarbo ad una santa donna come lei!), con san Tommaso come detto, ovviamente con Gesù e Maria (ma questo era scontato ed è quasi banale ricordarlo!).

Il sarcasmo qui usato non è volto a denigrare la signora Evolo, quanto a richiamare la comunità cattolica e le gerarchie ecclesiastiche, nel modo più umile ma più energico possibile, a valutare in modo obiettivo e non demagogico o preconcetto certe pressanti richieste collettive di santificazione, ovvero esclusivamente sulla base delle indicazioni e dei moniti scritturali e della stessa Rivelazione e non già sull’onda di testimonianze e racconti popolari non sempre o non necessariamente attendibili e comprovati.  L’immagine di una Natuzza sempre accogliente e gentile verso tutti, per esempio, sembra essere più frutto di propaganda religiosa e di fenomeni di isteria collettiva che non di puntuali e sistematiche constatazioni empiriche, perché in effetti non proprio tutte le persone che la conobbero sarebbero disposte, qualora individuate e chiamate a testimoniare, a confermare quell’immagine o a sostenere, in linea con il giudizio della massa, la bontà ecumenica della veggente e la sua infallibilità nel fare previsioni o predizioni o infine nell’ottenere per tutti indistintamente prodigiose guarigioni o altre grazie a lei richieste o da lei sperate. Questo viene detto perché consta allo scrivente in persona.

Chi scrive si è assunto già in due precedenti articoli (il primo dei quali ha fatto registrare nel giro di circa un lustro più di 7000 visite sul sito www.foglimariani.it) la responsabilità spirituale di indicare gli elementi di criticità che permangono alla base dell’istanza popolare ed ecclesiastica di santificazione a favore di questa donna che si continua a presentare disinvoltamente come umile e povera. Umile, si potrebbe dire a ragion veduta, fino ad un certo punto, visto che, da un certo momento in poi, è sempre rimasta sotto i riflettori televisivi di tutto il mondo pur potendone fare certamente a meno e rilasciando spesso, in abiti peraltro non sempre propriamente austeri o dimessi ma talvolta non totalmente scevri di civetterie mondane (si pensi ai grandi occhialoni scuri o al giubbino molto giovanile indossato), interviste dalle quali emergeva un’ostentata preoccupazione personale di sottolineare che le sue qualità, per cosí dire sovrannaturali, non fossero certo merito suo ma esclusivo dono del Signore, quasi fosse indispensabile evidenziarlo.

Anche la sua povertà, a dire il vero, potrebbe essere messa in discussione, visto che Natuzza si è potuta permettere di mettere al mondo ben cinque figli, che non risultano abbiano mai patito la fame o si siano dovuti privare di alcunché di necessario ad una vita dignitosa, tanto che almeno uno di loro ha potuto fare costosi studi universitari e diventare medico. Natuzza sarà stata pur povera di spirito, ma ci si dovrebbe pur chiedere come ella abbia potuto disporre dei mezzi finanziari idonei, visto che il marito era un semplice falegname, ad assicurare condizioni soddisfacenti di vita ad una famiglia cosí numerosa. Avrà usufruito di libere e generose donazioni? Va bene, ma allora si dica onestamente che, sia pure per le libere e generose donazioni ricevute dai fedeli, ella non ha vissuto in condizioni di vera e propria povertà.

Ma, poiché ad avallare la santità di Natuzza si sono messi anche esponenti à la page della cultura, del giornalismo e della curia calabresi, è molto difficile che ogni tentativo di lucido e onesto contraddittorio, esercitato sia pure indegnamente nell’esclusivo interesse della Chiesa di Cristo, possa essere coronato da successo o possa essere almeno preso in considerazione. Ultimamente, la Fondazione Roberta Lanzino di Rende ha organizzato un incontro di studio sul seguente tema: “Omaggio a Mamma Natuzza, donna di estrema attualità, innovatrice e rivoluzionaria”.

Mi pare che la ridondanza retorica di questo titolo sia francamente eccessiva e al tempo stesso indicativa di quanto rischino di essere artificiosi gli odierni costumi religiosi: vada per l’“omaggio” che non si può negare a nessuno, ma “mamma” perché, dal momento che ogni essere umano ha due sole mamme legittime ovvero quella naturale e terrena e quella celeste? E “donna di estrema attualità” per quale motivo? Chissà, forse i dotti relatori che hanno partecipato al suddetto incontro avranno inteso evidenziare, per usare la definizione di un sito Internet, che l’estrema attualità della donna Natuzza è consistita nel non essere «un oggetto da utilizzare, né da esporre»; nel non essere «una bambola né un elettrodomestico con speciale funzione sforna-figli. Non è strumento per la pulizia della casa e non è un ingombro, o un ente di cui ci si debba sforzare di comprendere la funzione. Non è una “cosa” che possa essere impiegata per scopi diversi da quelli che riguardano la sua stessa vita interiore». Ma sarà stato proprio vero?

E, infine, perché “innovatrice e rivoluzionaria”? Forse nel senso che avrà contribuito a rompere il familismo esasperato di buona parte della società calabrese e avrà indotto molti mafiosi della sua zona a cambiare radicalmente vita in virtù delle sue eroiche virtù cristiane? All’incontro io non sono andato per evitare di polemizzare e può darsi che ne sarà dato un resoconto che mi consenta e consenta anche ad altri di capire quel che al momento appare del tutto incomprensibile. Ma intanto chi ama la verità come esigenza insopprimibile della ragione e poi la Verità come esigenza ancor più insopprimibile della stessa fede, si sforzi di prendere in considerazione ricostruzioni e testimonianze ben più critiche di quelle correnti e certamente sgradite a quanti chiedono per Natuzza, ma in fondo anche per se stessi, l’onore degli altari.