Genesi. Variazione sul tema*

Scritto da Marco Luscia.


In principio fu il maschio, ma grande era la sua solitudine. Più che di solitudine si trattava di inadeguatezza, guardandosi nello specchio limpido di un lago, tra sé diceva: “chi sono”, linee degli occhi, curva del mento puntuta, chioma a scendere scura sin sulle spalle d’atleta che non ha mai gareggiato, “chi sono? Forse nessuno”, pensa. Poi, per un gioco bizzarro, dal sipario spesso di fronde e di tronchi attorti e ritti, avvolto nella lanugine di una nebbia dicembrina, eccolo, un altro se stesso. Questa volta però, il nuovo venuto ha la testa incendiata da una zazzera rossa, ma è simile.

I due si avvicinano, si scrutano, si annusano e si scoprono estranei. Cosa attendono ancora? Del mondo nulla conoscono se non il vuoto dell’essere soli anche insieme. Il primo uomo alza la testa e scruta l’abisso di stelle di quella prima notte. Estranee gli scorrono accanto creature pennute, millepiedi, variopinti animali, muti e bellissimi. Ora urla, il suo è un grido scomposto, ripensa per un attimo alla visione del “rosso” che forse fu solo un inganno del cuore. Urla…Urla… Dalla cavità dell’anima, dall’antro di quelle paure senza nome, dei pensieri senza ordine, si profila la fame di essere. E la voce arriva al Creatore, che risponde. “Non ho ancora finito con te, non sei ancora completo, Adamo!”.

Fu in quel momento che il sonno lo prese, improvviso cadde su ogni sua fibra un torpore d’animale ubriaco e fu notte. Sogni senza copione, senza trama, non un amore, un figlio, un parente deceduto, perché nulla ancora è accaduto. Adamo sogna, poi, come un gigante solitario impigliato in mille fili di seta, si muove, solleva un braccio che pesa infinitamente, fa forza sul gomito appoggiato alla terra che lo imbratta tutto, un ginocchio si piega a fatica, fa il gesto di alzarsi ma il corpo ancora gli pesa come un’armatura.

È in quel momento che avverte alle spalle, come un’ombra leggera; due braccia esili fioriscono in una corolla di dita lunghe e forti e lo traggono su, in piedi. Allora Adamo rivolge lo sguardo all’indietro e per la prima volta vede Eva. Cosa prova? È invaso da un senso di pace e stupore, come quando nella penombra di una stanza, si spalanchi una porta di luce che riveli ogni angolo e indori le pareti. Un riconoscimento, ecco cos’è questo incontro.

Scorre al limitare del bosco, solo e silenzioso, il rosso. Adamo ed Eva non sanno parlare, la lingua nessuno ancora la conosce, ma dalla gola, inspiegabile si articola un melodia che cantano all’unisono: “finalmente, ti aspettavo”, lo dicono insieme. “Ma come…credevo di essere solo.."; ”taci”, sussurra lei portando l’indice alla bocca, “anch’io…pensavo…” e prosegue, “vidi una donna…ma temetti di essere io, ero sola...sola.

Adesso tutto può cominciare. Vanno per una terra colma di frutti l’uomo e la donna ma si perdono per troppo amore. Lui va a caccia e porta ogni giorno una preda diversa, senza arco o freccia, gli animali docilmente si offrono all’uomo, quanto basta alla fame. Eva lo guarda il suo Adamo e parla: “non abbiamo bisogno di nulla, non saremo mai vecchi, il nostro amore è tutto”. Ma un mattino si svegliano dopo avere dormito d’un sonno diverso, pesante, come nei giorni della solitudine.

Si svegliano e si scoprono nudi. In tutti i sensi possibili e immaginabili. Eva con gesto istintivo si copre portando le mani al seno, non vuole essere vista. L’occhio di Adamo scruta, diventa nero e profondo e scava come un bisturi il bianco incarnato di Eva. Un fuoco lo brucia, un desiderio di possesso. Adamo prende Eva, per la prima volta. Adesso la caccia è fatica, gli animali diventano bestie, diventano fiere, lottano per sopravvivere, come l’uomo e la donna. E nascono i figli e tutto si complica nel dolore che si moltiplica. Due maschi da Eva e Adamo, due femmine dal Rosso e dalla Rossa che vivono poco lontano. E tutto ricomincia diverso, sino ad oggi. Ma sino a quando?

(pubblicato in www.libertàepersona.org il 3 febbraio 2015, e qui ripubblicato con due lievi integrazioni aggiuntive).