Maria e Giuseppe, modelli evoluti di femminilità e mascolinità

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Maria sta a Gesù come Gesù sta a Dio Padre Onnipotente. Con questa formula si può esprimere e sottolineare in sintesi la natura del rapporto tra Maria e il disegno salvifico di Dio e quindi anche la reale importanza che la “Madre di Dio” riveste nella vita della Chiesa e di ogni singolo credente.

Come Gesù, anche Maria è piena della grazia di Dio, anche se Gesù ne è pieno perché partecipa ontologicamente e dunque per natura della stessa divinità, mentre Maria ne partecipa solo creaturalmente, esistenzialmente, e dunque pur sempre per grazia ricevuta. Ma se il compito di Gesù è quello di obbedire a Dio Padre per salvare l’umanità, il compito di Maria è quello di obbedire al Padre e al Figlio per consentire al Padre di inviare il Messia Salvatore e al Figlio di sacrificarsi appunto per la salvezza dell’umanità secondo i dettami del Padre.

Sotto questo aspetto, Maria è una creatura unica, speciale, ineguagliabile, e non c’è stata né ci sarà mai nella storia dell’umanità un’altra persona la cui esistenza sia stata o possa essere mai segnata, come o più che in lei, dalle virtù teologali che ogni credente è tenuto ad esercitare e ad attuare nel corso della sua vita terrena. Nessuno è stato e sarà mai capace di vivere la fede, la speranza e la carità, con la stessa fedeltà con cui le ha vissuto la ragazza di Nazaret. Il che significa che il modo in cui Maria risponde a Dio-Padre e a Dio-Figlio, sotto l’assistenza e l’azione benefica dello Spirito Santo, è il modo paradigmatico ideale in cui un cristiano è chiamato a vivere quelle virtù, sebbene egli sappia di non poter mai eguagliare per intensità e santità l’esperienza fattane da Maria.

Quello che riguarda Maria è l’unico caso della storia della salvezza in cui lo scarto tra il Creatore e la creatura, tra il divino e l’umano, tra il Salvatore e i salvati, sia veramente minimo, quasi impercettibile, e dovuto esclusivamente ad un’ovvia differenza ontologica di rango o di status, il che peraltro, poiché nulla è impossibile a Dio, non ha impedito e non impedisce al Signore di assumere Maria al suo stesso rango divino, per cui ella, pur non essendo divina per natura, è diventata ed è destinata ad essere divina, più compiutamente di qualunque altro essere umano, per grazia. Per il resto, e quindi al di là del suo limite originario e costitutivo, in Maria si riflette intensivamente se non estensivamente, come in uno specchio limpidissimo, tutta la sapienza, la misericordia e la giustizia di Dio uno e trino.

Se uno vuole sapere con certezza assoluta come si ama Dio e il prossimo è a Maria che deve guardare, se uno vuole essere sicuro che il suo modo di conoscere non è illusorio ma fondato su princípi realmente solidi e proficui è da Maria che deve imparare, se uno vuole lottare per ideali non velleitari e non unilaterali ma veramente universali e santi di giustizia è a Maria che si deve rivolgere non una volta ma sempre sino alla fine della sua esperienza terrena.

Si dirà, come al solito, che quella di Maria sia una figura umana cosí eccezionale da appartenere più alla storia di Dio che alla storia dell’uomo. Forse in parte questo concetto può essere condiviso, ma è pur vero che l’eccezionalità dell’umanità mariana è stata pensata ab aeterno da Dio in funzione della maggiore umanizzazione o santificazione possibile della stessa umanità di quel genere umano sempre capace nella sua autonomia di voltare le spalle a Dio se non venga incoraggiato e sostenuto dal gesto unilaterale e inaudito di Dio stesso: farsi uomo essendo Dio per dimostrare concretamente a uomini e donne come non sia per essi ineluttabile uno stato di peccato che li tenga lontani dalla sorgente e dal fine della loro vita, farsi uomo e morendo come uomo della peggiore morte che possa essere sperimentata da un uomo pur essendo Dio per dimostrare con fatti incontrovertibili che l’immortalità è realmente il destino delle creature che si conformino alla volontà del Signore sia pure tra difficoltà, dubbi e fragilità che non possono non lambire lo spirito di esseri finiti e per loro stessa natura problematici e soggetti ad errore.

Ora, proprio questo gesto divino richiedeva che almeno una creatura, pur uguale a tutte le altre, fosse desiderosa e capace di non peccare come tutte le altre ma fosse talmente presa dal suo Dio da rendersene innamoratissima complice per l’eternità. Questa creatura, questa straordinaria complice di Dio, contraccambiata da un incontenibile amore divino, è Maria, vergine certo ma non per questo meno donna di tutte le altre donne e meno umana di tutti gli altri esseri umani, perché, come ha ben spiegato recentemente in un suo libro intitolato “Virtù e vocazione. Un cammino mariano” (Roma, Rogate Editrice, 2014) mons. Krzysztof Charamsa, docente di teologia dogmatica presso alcune Pontificie Università romane e segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale), «la verginità di Maria è importante per ogni cristiano, consacrato, vergine o sposato, proprio perché la Madonna concentra in sé, in un misterioso connubio, tutti gli stati di vita cristiana: è vergine e consacrata a Dio, ma al contempo è sposa e madre. Cosí lei è veramente sorella di ogni cristiano, qualsiasi sia la vocazione, e sempre in una tensione della piena libertà interiore, che contraddistingue la Madre del Signore nei suoi rapporti di affidamento a Dio e perciò anche ai prossimi».

Maria ha amato realmente e non idealmente o misticamente Giuseppe e Giuseppe ha amato concretamente ed intensamente Maria, sia pure nel quadro particolarissimo ma nient’affatto disumano o non realisticamente umano del loro comune e specialissimo amore verso Dio Padre e verso Dio Figlio: non c’è nulla di pruriginoso nell’immaginare che essi si siano abbracciati, accarezzati, coccolati e baciati, con lo stesso trasporto e la stessa tenerezza con cui generalmente si amano tutte le coppie sane del mondo, cosí come non c’è nulla di più sbagliato dell’essere tentati di pensare che il loro astenersi da una sessualità ordinaria o consueta abbia finito per compromettere la naturalezza, la spontaneità, la genuinità e la costante freschezza del loro rapporto affettivo e spirituale.

Quest’ultima riserva può nascere nella nostra mente solo perché ancora nulla o ben poco sappiamo di come dovesse essere utilizzata la sessualità secondo il progetto divino prima del peccato originale, e poi anche perché non riusciamo bene ad immaginare a quali sacrifici personali possano predisporsi volentieri delle creature letteralmente inondate dalla grazia, dalla bellezza, dalla potenza e dal profumo inebriante di Dio, non già per sacrificare masochisticamente la propria libertà ad una ipotetica tirannide divina ma per inscrivere liberamente e gioiosamente la propria umanità nell’orizzonte sicuro di una vita perfetta e senza fine.

Certo, anche Giuseppe collabora attivamente con Dio e con Maria non in quanto finto uomo, mezzo uomo, emotivamente e sessualmente demotivato o affetto da una qualche patologia che inibisca le sue pulsioni e le sue passioni, ma in quanto uomo non solo integro sotto l’aspetto psicofisico ma pienamente virile e capace di grandi emozioni anche dal punto di vista erotico-sentimentale. Giuseppe fu tanto più virile quanto maggiore dovette essere il suo autocontrollo per evitare di compromettere la missione salvifica di Maria, la sua donna oltre che la donna di Dio, e per non sciupare irresponsabilmente i doni preziosissimi che Dio in persona aveva messo nelle sue mani: la serva e il Messia di Dio e dell’umanità intera.

Se Maria non fosse stata donna a pieno titolo e Giuseppe non fosse stato uomo secondo i canoni normali e più evoluti della mascolinità, essi non sarebbero stati totalmente liberi di corrispondere alla volontà di Dio ma quasi costretti a sottoporvisi come soggetti in qualche modo alienati e portati da meccanismi psichici alterati o distorti a cercare la felicità non nel mondo reale ma in un mondo astratto e illusorio in cui il sacrificio valga solo a compensare in realtà l’impossibilità effettiva di realizzarsi al pari di donne e uomini normali.

Quella di Giuseppe è piuttosto «un’ottima scuola di umiltà per i maschi, che non di rado tendono a prevalere su tutto e su tutti, mentre devono mettersi a servizio degli altri, devono saper sostenere discretamente, assumendo coraggiosamente le proprie responsabilità, in una collaborazione, che mai sottomette gli altri a se stesso», cosí come nella dimensione mariana della fede cristiana, in un’epoca in cui innumerevoli sono i tentativi di stravolgere antropologicamente e socialmente la figura femminile, «possiamo scoprire e ritrovare il volto femminile della nostra adesione a Gesù Cristo come immagine del Padre celeste. In Maria troviamo la forza e la sensibilità del genio femminile, che dovrebbe caratterizzare anche la Chiesa e ogni vocazione cristiana» (ivi).

Maria e Giuseppe non sono modelli retrogradi ed anacronistici di umanità vissuta ma modelli altamente evoluti e sempre attualmente inattuali di femminilità e mascolinità. Ma tutto questo sarà chiaro per uomini e donne di questo nostro travagliatissimo e dolorosissimo tempo?