Basta dialogare con Satana e i suoi seguaci islamici!

Scritto da Francesco di Maria.


I cani rabbiosi di Satana continuano, impassibili e spietati, a mietere inaudita violenza, tra Iraq Siria e Libia, su donne vecchi e bambini e in particolare su tutti coloro, e sono molte migliaia, che non sono disposti ad abiurare la propria fede. Sotto la loro mannaia omicida cadono le teste di molti sciiti, curdi, cristiani. Soprattutto i cristiani sono oggetto della loro bestiale ferocia: di recente hanno decapitato 21 cristiani egiziani rapiti in Libia, colpevoli di non aver voluto abiurare la loro fede e di aver voluto quindi professare sino al loro ultimo respiro la loro fede in Cristo. Sia le modalità del loro assassinio, sia la struggente grandezza del loro gesto, sembrerebbero cose di un lontano passato, e invece in pieno terzo millennio esistono ancora esseri umani che sgozzano altri esseri umani e seguaci di Gesù disposti ancora a seguirlo sino al martirio e all’effusione del loro sangue.

La nostra fede ci dà la certezza che questi nostri fratelli martiri sono già in paradiso e che d’altra parte i loro uccisori, che non potranno essere assistiti né da un inesistente Allah né da un immaginario profeta di nome Maometto, dovranno affrontare prima o poi il severissimo giudizio di Dio. Il papa oggi ha detto che «il sangue dei nostri fratelli cristiani è una testimonianza che grida»; certo, una testimonianza che grida vendetta, non una vendetta umana ma divina, secondo quanto recita il versetto di Paolo: «Non fate le vostre vendette, cari miei, ma lasciate posto all’ira di Dio, perché sta scritto: “A me la vendetta, io renderò la retribuzione, dice il Signore”» (Romani 12, 19).

Tuttavia, sarebbe completamente sbagliato assumere in nome della fede in Gesù un atteggiamento rassegnato, inerte e puramente attendista nei confronti di questi criminali, mossi esclusivamente da un patologico e forsennato desiderio di ricchezza e potere nel nome e nel segno di una jihad islamica escogitata dal suo fondatore a espliciti scopi di rapina e di dominio, poiché invece i cristiani e i cattolici, se sono chiamati dalla loro fede a testimoniare persino con la morte la loro fedeltà a Cristo, questo non implica affatto che essi non debbano preoccuparsi di tutelare legittimamente e adeguatamente le loro vite e soprattutto la vita delle loro comunità rispetto a quella barbarie beluina che oggi imperversa nelle regioni mediorientali e che domani potrebbe spadroneggiare anche in Occidente e più segnatamente in Europa e in Italia.

Dobbiamo evitare di cadere nel grossolano errore di credere che ogni azione violenta, ancorché necessaria, sia sempre antitetica ad uno spirito cristiano di carità, perché, per esempio, in questo caso specifico è di tutta evidenza che obbligo cristiano è anche quello di tutelare con le armi la vita, la libertà e la dignità del popolo di Dio in terra. Gesù non ha mai detto che non bisogna fare uso della forza armata per tutelare popolazioni inermi e gruppi totalmente indifesi di persone qualora non sia realmente possibile provvedere con mezzi pacifici o incruenti alla loro difesa. Non ha mai inteso delegittimare i poteri coattivi e repressivi di Cesare se finalizzati al perseguimento del bene comune e alla salvaguardia del diritto personale alla vita, né ha mai espresso l’idea che non sia lecito uccidere chiunque non possa essere dissuaso per via dialogica e pacifica dal voler uccidere a tutti i costi persone innocenti.

Bisogna stare attenti a non interpretare il suo sacrificio personale, che è un sacrificio finalizzato alla salvezza di tutto il genere umano, con lo spirito farisaico e ricattatorio di chi tenti di instillare nei suoi seguaci la tentazione di credere che un’azione violenta sia un male in se stessa e non per le intenzioni malefiche o errate che la precedono o per gli effetti distruttivi che può produrre. In realtà, se l’unico modo di salvare il prossimo è di sopprimere chi vuole sopprimerlo solo per ragioni di supremazia personale, è lecito compiere questo atto confidando evangelicamente nella misericordia di Dio.

Ora, in relazione ai sempre più efferati crimini dell’Isis, il cristiano ha il dovere di essere non solo caritatevole ma anche lucido e responsabile; sempre pronto se necessario ad immolarsi per Cristo Signore senza recriminare, ma altrettanto determinato a proteggere con strumenti adeguati dalla iniqua e assassina violenza altrui il suo prossimo più bisognoso e oppresso che nel caso specifico è la stessa comunità cristiana.

Questo è il concetto che emerge dalla presa di posizione di un grande vescovo cattolico iracheno: Louis Raphael I, Patriarca dei cattolici caldei di Babilonia, che, avendo constatato l’inerzia di tutte le comunità islamiche dinanzi ai crimini sempre più aberranti che i miliziani dell’Isis compiono “in nome dell’islam”, da ministro illuminato e responsabile di Cristo Gesù non esita a paragonare ai nazisti gli odierni apostoli sanguinari del Corano e soprattutto, per quanto riguarda specificamente l’Iraq ma implicitamente anche in relazione alla situazione assai critica in cui versa tutto quel Medio Oriente in balía delle orde sataniche dello Stato islamico, a richiedere a voce alta un intervento armato occidentale: «per proteggere i cristiani ci vuole un intervento militare internazionale, prima di tutto. Il governo centrale è incapace, perché adesso non controlla che la metà del Paese: controlla Baghdad e il sud; ma Mosul, Ramadi, il Kurdistan? C’è un esercito di professionisti, ci sono tante milizie…Tutto è settario. L’Is è uno Stato molto forte, ben preparato e hanno le armi… Non possiamo riuscire da soli» (Iraq. Il coraggio di Sako, patriarca dei cristiani perseguitati: «Bene il dialogo con i musulmani, ma bisogna dire le cose come stanno», in www.tempi.it del 10 settembre 2014).

Anche alla luce di un esempio cosí ispirato di interpretazione non semplicistica e ingenua del messaggio di Cristo, la Chiesa occidentale, la Chiesa centrale di Roma dovrebbero cominciare forse a parlare meno di dialogo interreligioso, che negli ultimi decenni è sembrato essere sempre più sterile e improduttivo per il mondo cristiano-cattolico e sempre più utile ad un mondo musulmano nella sua grande maggioranza portato ovviamente a confidare nell’avvento di un mondo fondato sulla supremazia dell’islam e basato sulla shari’a, per dedicarsi maggiormente e realisticamente a richiamare l’attenzione degli Stati occidentali o almeno, tra essi, di quelli più permeati dalla tradizione cristiana, sulla necessità di assicurare ai cristiani non occidentali di tutte le parti del mondo condizioni dignitose di vita in virtù delle quali non siano più considerati cittadini di serie b ma cittadini aventi uguali diritti a quelli di cittadinanza e di fede islamico-musulmana, perché non c’è dubbio che al momento, come dice realisticamente sempre Louis Raphael I, «gli uomini di potere musulmani sunniti e sciiti hanno come unico punto di riferimento per la loro azione politica la loro religione, e pensano che i cristiani, che lo accettino oppure no, siano cittadini di seconda categoria che dovrebbero lasciare il paese se non sono contenti della tolleranza loro riservata».

E’ ora che i cattolici occidentali, ancora non sfiorati dalla implacabile crudeltà dei jihaidisti islamici, facciano sentire la loro voce, insieme a quella di papa Francesco, a concreto e vigoroso sostegno dei cristiani mediorientali ed orientali che, in condizioni di vita ben più difficili e drammatiche, sono capaci di perseverare nella loro fedeltà a Cristo. Per essi, infatti, la fede «non è né una questione ideologica, né un’utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l’intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po’ più lontano, fino al sacrificio. Tale è l’espressione assoluta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai, in Iraq noi siamo consapevoli che credere significa amare e amare significa donarsi».

E’ ora che il mondo cristiano e cattolico occidentale non si limiti più a parlare di dialogo interreligioso, peraltro non richiesto dalla lettera e dallo spirito del vangelo, ma si faccia carico coerentemente e virilmente, e perciò in senso non conformisticamente pacifista ma profondamente e autenticamente evangelico, dell’ormai insopportabile grido di dolore e di morte che dai deserti insanguinati e apparentemente lontani delle regioni mediorientali e orientali del pianeta giunge nelle sue abitazioni ancora relativamente tranquille e non toccate dal terrore islamico. Una domanda per tutti: è forse pensabile che Cristo, dall’alto della sua croce salvifica di dolore e di amore, abbia detto ai suoi apostoli e dica oggi a noi tutti: non opponete alcuna resistenza fisica, né direttamente né indirettamente, ai vostri e ai miei nemici che seminano terrore e morte in ogni angolo della terra? E’ veramente questo il senso più veritiero e profondo della “buona novella” di Gesù? E’ realmente una resa aprioristica e incondizionata a qualunque tipo di violenza terrena che Gesù chiede ai suoi figli?

E’ ora che, con l’aiuto e la benedizione di Dio, abbia finalmente luogo un vero risveglio della coscienza cristiana e cattolica in tutte le parti del mondo per impedire a Satana, pur comunque pronti al martirio per amore di Cristo, di sferrare un attacco mortale a tutti coloro che sono umilmente dediti a costruire il Regno di Dio in terra, anche se è probabilmente vero ciò che denuncia il patriarca iracheno di Babilonia, e cioé che «l’occidente è cieco perché non ha religione, non se ne preoccupa più, anzi accoglie i musulmani, permette loro di costruire moschee e centri religiosi mentre i paesi arabi non permettono ai cristiani neanche di tenere in casa la Bibbia. Ci deve essere reciprocità ma l’Occidente non la richiede. I paesi occidentali devono aiutare i cristiani non in quanto cristiani, ma in quanto minoranze. Si parla dei diritti dell’uomo, ma dove sono questi diritti? L’Occidente cerca solo interessi, basta guardare che risultato hanno avuto le guerre in Medio Oriente. Dove sono la democrazia e la libertà in Libia? Dove sono in Siria?» (ivi). Come non concordare?