Il credente secondo Maria
Quanti di noi cristiani sono credenti come lo fu Maria, nello stesso senso in cui lo fu Maria? Probabilmente neppure uno, dovremmo dire per non rischiare di apparire blasfemi, anche se la domanda può essere posta con profonda umiltà e senza peccare di irrealismo religioso. In realtà, esistono diversi modi di credere: posso essere credente per educazione e tradizione familiare, per ragioni puramente consolatorie o sentimentalistiche, perché ho ricevuto i sacramenti istituiti da Cristo e trasmessi dalla Chiesa, per sentirmi parte di una grande comunità ecclesiale e spirituale, per semplice abitudine o per paura che Dio possa esistere veramente e possa alla fine della mia vita condannarmi all’inferno, perché sono portato a percepire la dottrina cristiana prevalentemente come espressione di una concezione etica insuperabile.
La fenomenologia della fede religiosa e della fede religiosa cristiana è in effetti molto complessa e articolata, per nulla riducibile al binomio fede colta - fede popolare, perché ognuna di queste due categorie è al suo interno più variegata e differenziata di quanto si potrebbe pensare. Il problema di fondo è che troppo spesso, anche tra le persone più colte e consapevoli, Dio e i suoi insegnamenti sono più pensati che vissuti, più oggetto di contemplazione o di riflessione teorica che di condivisione o di partecipazione pratica, per cui essi incidono sulle idee e sulle convinzioni dei cosiddetti credenti ben più di quanto incidano sui loro comportamenti e sulle loro azioni.
Com’è noto, Maria di Nazareth è la «credente» per eccellenza e ogni credente, se tenesse realmente alla qualità della propria fede, dovrebbe porsi senza un’aprioristica retorica devozionale il problema, non solo sul piano intellettuale e teologico (su cui è sempre scontata la differenza incolmabile tra la Madre di Dio e le creature) ma su quello più specificamente emozionale e morale, di quale sia la distanza effettiva tra il modo mariano di credere e il suo personale modo di credere. Ma la soluzione di questo problema presuppone che si capisca perché o in che sensoesattamente Maria è la credente per eccellenza: non basta infatti pensare genericamente che lo sia in quanto madre di Gesù. Certo, dal suo essere stata la madre di Gesù si deduce ovviamente la grandezza della sua fede, ma anche cosí non appaiono ancora chiari ovvero pienamente esplicitati i motivi specifici della ineguagliabilità della sua fede.
In che modo Dio è stato percepito da Maria sino al punto di poterlo accogliere nel suo corpo oltre che nella sua anima? In che modo Maria ha creduto nelle promesse divine quali erano contenute nelle Sacre Scritture? In che modo Maria si è affidata alla misericordia e alla giustizia di Dio? Per la sua fede ha sperimentato la paura umana, il dubbio e l’angoscia di ogni altro essere umano, o è rimasta sostanzialmente impermeabile ad ogni vero e serio urto dell’esistenza terrena? La sua fede è stata un privilegio sovrannaturale o è stata una faticosa conquista umana? E’ possibile a qualcuno di noi credere come ha creduto Maria o bisogna pensare che una domanda del genere non possa avere altro che una risposta negativa?
Sono interrogativi per diversi aspetti impegnativi e fortemente problematici. Ma il credente sincero, indipendentemente dal suo grado di cultura o di preparazione religiosa e teologica, non può non porseli, con la dovuta umiltà, al fine di capire quale sia la vera natura della sua fede e del suo rapporto con Dio. Credente per antonomasia è Maria perché ella “permane” nel credere o è “permanentemente” nella fede, crede cioé qualunque cosa accada, crede nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, subendo come tutti gli urti violenti della vita e sperimentandone contrarietà e tragedie ma continuando a reagire, anche allo stremo delle forze fisiche e morali, con fede inalterata e indomabile.
Maria non crede semplicemente in quanto pensa che Dio c’è e che prima o poi ognuno dovrà rendergli conto delle sue azioni ma in quanto sente Dio in un rapporto assai ravvicinato di prossimità, percepisce la potente alterità di Dio non come qualcosa di esterno o di estraneo alla propria vita ma come qualcosa che abita e opera nella sua stessa interiorità. Maria, già prima di concepire Gesù, viveva Dio non come un Essere impersonale o comunque distante da lei, troppo astratto per poter essere percepito come persona, ma come un Dio-Amore, giusto e misericordioso, che non governava astrattamente la storia dei popoli e la vita delle creature ma si prendeva concretamente e amorevolmente cura di lei come di tutti coloro che, come lei, l’avessero accolto in un rapporto di totale abbandono e incondizionata fiducia.
Il credere di Maria è proprio il credere biblico che «non riguarda l'ordine dell'opinabile, dove non si è certi di ciò che si crede, per cui l'idea creduta è una opinione che può convivere con il suo contrario, ma l'ordine della certezza, dove l'abbandono a colui che non delude è senza incrinature per la forza dell'amore che, come vuole il Cantico dei Cantici, è “forte come la morte” (Ct 8, 6)» (C. Di Sante, Maria di Nazareth, La credente, in www.notedipastoralegiovanilesalesiana.it).
Se l’uomo e la donna comuni, a contatto con esperienze di vita oltremodo traumatiche e stressanti, tendono generalmente a precipitare in una sorta di stanchezza spirituale e a smarrire la loro fede, pur nella persistenza di abitudini religiose esteriori o meccaniche, Maria è colei che dice a noi tutti: io so cos’è la paura, l’angoscia, la solitudine, ma non ho mai messo in discussione il mio Dio; io ho fatto persino esperienza della morte di Dio, cioè di mio figlio, ma, pur travolta da momenti di umanissima disperazione, ho sempre continuato ad avvertire un profondo bisogno di Dio, del suo amore e della sua grazia, certa e non semplicemente convinta che persino la morte non avrebbe potuto separarmi da lui.
Maria è la «credente» per eccellenza perché si è abbandonata a Dio e si è fidata di lui sempre, non ponendo al centro della sua esistenza il suo io, il suo «cuore» e la sua «mente», ma ciò che Dio le mostrava e le chiedeva attraverso lo snodarsi quotidiano degli accadimenti (ivi). Non c’è dubbio che questa creatura prescelta da Dio per il suo piano salvifico sia stata capace di vedere e sentire la presenza di Dio come nessun altro, anche se il privilegio divino da lei ricevuto consiste sostanzialmente in una capacità oblativa più impegnativa di quella richiesta a qualunque altro essere umano, la cui fede peraltro viene valutata da Dio non secondo criteri rigidamente standardizzati ma secondo specifiche e irripetibili caratteristiche esistenziali individuali, ma questo non toglie che ognuno di noi, per quanto la sua fede sia verosimilmente meno costante e meno granitica nel corso del tempo rispetto a quella di Maria (fede in senso estensivo), possa essere capace di atti di fede altrettanto significativi e graditi a Dio (fede in senso intensivo).
Si pensi a una donna sola, senza affetti e senza adeguati mezzi economici, distrutta dalla fatica e dal dolore, che si rivolga a Dio dicendo intimamente: “Signore non ho più niente e nessuno accanto a me, adesso solo tu puoi prenderti cura di me; sono certa che, qualunque cosa mi succeda, tu mi farai vivere per sempre nel tuo regno di luce e di amore: salvami Signore!”; o ad un uomo che, non avendo potuto fare a meno di rivolgersi ad un tribunale per difendere se stesso e la sua famiglia dalla prepotenza reiterata di un determinato individuo e vedendosi dar torto da un giudice impreparato o disonesto, si rivolga a Dio cosí: “Mio Dio, dammi la forza di non odiare né quell’individuo né quel giudice, aiutami a sopportare quel che mi sta accadendo e rendimi capace di ripetere sino alla fine della mia vita la preghiera di Gesù: ‘non la mia, ma la tua volontà sia fatta’ ”. Non sarebbero due casi emblematici (ma ovviamente molti altri esempi potrebbero essere fatti) di immensa fede? Di una fede pari a quella avuta da Maria in ogni momento della sua esistenza terrena? Di una fede gradita al Signore proprio come quella di Maria?
Non dobbiamo temere di apparire presuntuosi o blasfemi: è proprio Maria che desidera ardentemente di essere imitata dai suoi figli e dalle sue figlie, che spera incessantemente che ognuno di noi si abbandoni completamente a suo Figlio sentendosi quotidianamente amato e protetto da lui. E’ Maria che ci sollecita maternamente a fare del nostro rapporto di fede con Dio non un rapporto muto, impersonale, abitudinario o puramente pensato e recitato ma una relazione d’amore singolare e personale, realmente sentita e vissuta, sensibilmente sperimentata nel corpo e nell’anima; una relazione d’amore, di totale abbandono e di assoluta fiducia, com’è quella che ha un bambino verso il papà e la mamma. Solo cosí si può essere veri “credenti”, credenti secondo Maria.