L'apostasia irlandese
Quando vengono sconfitti i princípi cristiani, a perdere è il mondo intero, perché andare culturalmente e storicamente contro la Parola di Dio specialmente ad opera o con un largo contributo della stessa comunità cristiano-cattolica significa necessariamente impoverirsi e non potersi realizzare esistenzialmente secondo quella pienezza di significato e valore che è costitutiva della vita come dono divino. Oggi è proprio un popolo cattolico come quello irlandese a voltare clamorosamente le spalle a Dio con l’approvare a larghissima maggioranza, per mezzo di un referendum, le cosiddette nozze gay ovvero i matrimoni tra persone dello stesso sesso. L’Irlanda è il primo paese del mondo che abbia deciso di legittimare e legalizzare quella che è e che resta una delle pratiche più perverse e aberranti dell’umanità.
C’è chi, anche intra moenia Ecclesiae, ha parlato di “rivoluzione culturale”, di “rivoluzione sociale” con cui ormai la Chiesa non dovrebbe far altro che confrontarsi e modificare non solo i suoi giudizi ma le forme stesse della sua comunicazione pastorale, per evitare di rimanere tagliata fuori dal processo evolutivo ed emancipativo in atto. Infatti, non sono solo il ministro omosessuale della salute Leo Varadkar o lo stesso cattolico premier irlandese Enda Kenny, secondo cui con questo referendum il popolo irlandese starebbe mandando al mondo “un messaggio pionieristico”, ad usare espressioni di questo tipo, ma anche l’arcivescovo di Dublino mons. Diarmuid Martin, il quale, sia pure con toni meno esultanti e più rassegnati, ha dichiarato che questo responso popolare è il frutto della cattiva educazione impartita per molti decenni ai giovani dalla Chiesa cattolica irlandese e che comunque ormai è necessario “mettersi in ascolto dei giovani, non potendosi negare l’evidenza” e non essendo più possibile ignorare “i diritti degli omosessuali”.
Ora, ancor più dello scellerato esito del referendum irlandese (altro che "evoluzione" ed "emancipazione"!), esito sulle cui cause e modalità reali occorrerebbe probabilmente soffermarsi in modo meno frettoloso di quanto la stessa Chiesa ad oggi abbia fatto, a preoccupare il mondo cattolico sono o dovrebbero essere proprio queste parole del suddetto arcivescovo: perché pur potendosi e dovendosi concordare sul fatto che certe scelte sbagliate dipendono anche dalla condotta e dai comportamenti della comunità ecclesiastica oltre che ecclesiale, è poi quanto meno ambiguo affermare che adesso la Chiesa deve mettersi in ascolto dei giovani come se ascoltare l’umanità sofferente di qualunque età non fosse uno dei suoi principali compiti apostolici e pastorali e come se ascoltare i giovani dovesse comportare necessariamente, sia pure alla fine di un sofferto e paziente rapporto dialogico, l’avallo o la giustificazione spirituale e sacramentale di determinate loro posizioni e scelte di vita.
E ancora più ambiguo è dire che non si può negare l’evidenza e che pertanto ci si deve ormai predisporre a rispettare “i diritti degli omosessuali”, quasi a voler esortare la stessa Chiesa ad adattarsi a questo nuovo dato di fatto, per non perdere il contatto con il mondo giovanile e il mondo tout court. Può darsi che le parole dell’arcivescovo di Dublino siano state riportate male, ma se cosí non fosse sarebbe incomprensibile che un eminente esponente della Chiesa e della stessa gerarchia ecclesiastica sia cosí arrendevole verso certe evidenze negative del mondo, e certo non ispirate dallo Spirito Santo, e non trovi il modo di ricordare evangelicamente, attraverso commenti appropriati, che il cristiano è nel mondo e deve vivere nel mondo, ma non è del mondo e non deve vivere per il mondo, specialmente in tempi e in circostanze di profondo sovvertimento storico della legge di Dio. Fa male poi che un alto prelato parli genericamente di “diritti degli omosessuali” senza precisare che gli unici diritti degli omosessuali sono gli stessi che riguardano ogni altro essere umano e nient’altro.
La Chiesa deve stare molto attenta a come parla, al modo in cui si rivolge alle masse, ma soprattutto, al di là dei suoi stessi errori ed omissioni, è chiamata a testimoniare continuamente e fermamente, senza cedimenti emotivi e senza calcoli di potere o preoccupazioni di come mantenersi a galla nell’audience mondiale, la sua fede nella Parola e nella Volontà di nostro Signore Gesù Cristo. Ma questo non significa esporsi a persecuzioni crescenti? Forse sí, ma è ben noto che la Chiesa vince realmente in Cristo non quando è osannata dal mondo e da un mondo impregnato di errore e di peccato ma quando è perseguitata dal mondo. Per amore di Gesù, ci sono anche oggi tanti cristiani che, in diverse parti del mondo, vengono perseguitati, umiliati e uccisi: perché noi cristiani occidentali non dovremmo essere pronti a subíre lo stesso destino?
Il popolo cattolico irlandese si è allontanato pericolosamente dalla fede in Gesù, anche se di quel popolo fanno parte anche persone rette che non hanno ceduto alla tentazione demoniaca di votare a favore di un progetto umano e sociale assolutamente empio e immorale, e quanti si sforzano ogni giorno di rimanere fedeli a Cristo, lungi dal deprimersi, dovranno pregare e adoperarsi affinché altri popoli, e più in particolare altri popoli di tradizione e fede cattolica, trovino la forza di non farsi soggiogare da questa e da altre scelte esecrabili e suscettibili di essere oggetto di anatema.
L’Irlanda cattolica che oggi apostatizza dalla fede in Gesù e dalla sua Chiesa è un esempio clamoroso di come la salvezza dell’umanità non sia mai scontata o a portata di mano per nessuno ma sempre e solo una meta impegnativa, che richiede sincera e costante capacità di pentimento, perseverante spirito di sacrificio e di dedizione al prossimo, ostinata fiducia nella giustizia e nella misericordia di Cristo.