Angelo Secchi scienziato e uomo di Dio
Astronomo, astrofisico, geofisico, Angelo Secchi nel campo della fisica stellare, fu il fondatore della spettroscopia astronomica, avendo classificato le stelle in quattro tipi spettrali, anche se il sistema da lui elaborato, pur ancora valido, sarebbe stato poi integrato in un sistema più completo come quello successivamente elaborato dall’università di Harvard. Notevoli sono anche i suoi studi sulle nebulose e sulla struttura dell'Universo. Egli era profondamente convinto dell’esistenza di altri mondi abitati e a questo argomento dedicò parte non trascurabile della sua ricerca.
La questione dell’esistenza di altri mondi nell’universo e della loro abitabilità e quella connessa dell’esistenza di esseri intelligenti benché diversi dagli uomini su altri pianeti simili o almeno somiglianti alla terra è una vecchia questione che già si ponevano epicurei (molti mondi) e aristotelici (un solo mondo), un filosofo-teologo come Alberto Magno nel XIII secolo, e poi il grande Niccolò Cusano e, infine, sulla scia dell’eliocentrismo matematico di Copernico, un eccentrico ma geniale pensatore come Giordano Bruno, secondo il quale la terra non poteva considerarsi l’unico pianeta abitato e abitabile essendo al contrario molto probabile l’esistenza di altri pianeti aventi le sue stesse caratteristiche (“le altre terre”, come lui le chiamava) nell’infinità del cosmo.
Come si vede, tale questione non solo non è recente ma storicamente appare ben presente anche in un movimento di pensiero di ispirazione chiaramente cristiana, benché al suo interno non omogeneo. In questa stessa tradizione di ricerca viene collocandosi nell’ ‘ottocento’ per l’appunto l’astronomo gesuita, nonché direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, Angelo Secchi il quale riteneva «assurdo considerare i mondi che ci circondano come deserti inabitati e cercare il significato dell’universo in questo nostro piccolo mondo abitato».
La Chiesa cattolica, pertanto, anche nel XX secolo sarebbe venuta manifestando il suo concreto interesse teologico e scientifico per una problematica cosí rilevante non solo sotto il pressante influsso di tanto innovativo pensiero scientifico laico, ovvero ancorato a visioni agnostiche o atee del mondo, ma anche e forse soprattutto alla luce delle indagini suggestive e rigorose di scienziati e pensatori cattolici che con i loro studi avrebbero consentito alla stessa esegesi cattolica di stabilire che in realtà nella Bibbia il termine “terra” e il termine “universo” non sono affatto sinonimi, anche se questo non incide né direttamente né indirettamente sulla credenza dogmatica relativa alla salvezza universale del genere umano operata su questa nostra terra da Cristo Gesù, e di pervenire a risultati ermeneutici non solo interessanti ma suscettibili di sempre nuovi sviluppi.
Tutto questo è vero anche se non si può non tenere in considerazione il duplice avvertimento del padre gesuita George Coyne, anche lui astronomo di primo rango, che, in un’intervista rilasciata nel 2002 a Giovanni Caprara (Non possiamo essere un’eccezione), sottolineava che «la scienza per un credente», in ogni caso «non demolisce la fede ma la sprona», sebbene non sia mai lecito parlare di “un’evoluzione della fede” quanto piuttosto di un continuo processo di approfondimento dell’atto di fede e dei suoi contenuti e sia piuttosto da lamentare come «gli studi nei seminari non offrono una formazione scientifica» che possa consentire al sacerdote di cogliere alcune profonde implicazioni della fede stessa attraverso una adeguata conoscenza degli sviluppi più significativi del sapere scientifico contemporaneo.
Ma, ritornando ad Angelo Secchi, bisogna dire che non fu l’amore per la scienza ad aprirlo alla fede in Cristo, perché al contrario fu quest’ultima il solido e stabile perno su cui si sarebbe venuto innestando «il suo amore per una scienza fondata sul rigore metodologico e sull'onestà intellettuale». E, per questo stesso motivo, «in un’epoca che vide il sorgere di critiche al contenuto della Sacra Scrittura il cui insegnamento veniva posto in conflitto con l'evoluzionismo darwiniano, Secchi non esitò a difendere la verità della Scrittura, precisando quanto ancora restasse insoluto nella teoria, non poggiandosi solo sulle affermazioni della dogmatica, ma soprattutto sulla base delle evidenze sperimentali, che egli riteneva, nella forma disponibile al suo tempo, mettessero in luce la debolezza della teoria scientifica. Numerosi furono in quel periodo gli scritti apologetici di alcuni religiosi, impegnati a contrastare il pericolo di ateismo insito nelle nuove teorie scientifiche. Pur elogiando le buone intenzioni di tali autori, Secchi ne indica anche gli errori di fisica commessi, profondamente convinto che la Verità non può contraddire se stessa. I punti di partenza per una discussione, secondo l'astronomo gesuita, non erano tanto le questioni di principio, inevitabilmente soggettive, ma i dati sperimentali» (Ileana Chinnici, Angelo Secchi 1818-1878, in Disf.org., 2002).
Il suo atteggiamento teorico-metodologico era equilibrato come è dimostrato ulteriormente dal fatto che anche in un campo particolarmente complesso e in pieno sviluppo come quello biologico, egli non venne assumendo mai posizioni aprioristiche di opposizione nei confronti delle teorie evoluzionistiche, quanto di dialogo e di confronto. Ma, a differenza di certo evoluzionismo ateo, era proprio in considerazione dell’onnipotenza divina che egli non escludeva la possibilità di altre forme di vita nell’universo e non esitava anzi a bollare come puerile sciocchezza il richiamarsi a un astratto e indimostrabile principio di casualità per spiegare il complesso processo biologico-evolutivo della vita in tutte le sue forme.
Ma, se fu attaccato da ambienti scientifici atei, non meno veementi furono le critiche che dovette subire, all’interno stesso della Chiesa, da parte di alcuni religiosi timorosi che le sue teorie scientifiche potessero inficiare alcuni capisaldi della dottrina cattolica: si pensi, per esempio, al gesuita tomista Giovanni Maria Cornoldi che accusò Secchi di aver fatto proprio l’atomismo democriteo in fisica e la teoria cartesiana dei vortici in astronomia, anche se quest’ultimo, già nella prima edizione della sua opera sull’ “Unità delle forze fisiche” del 1864 (p. VII), aveva dichiarato significativamente: «In quest'opera io non ho la pretensione di creare una novella filosofia della natura, ma solo di esporre quella che oggidì va prevalendo dietro lo studio de' fenomeni», mostrandosi consapevole del valore intrinseco della conoscenza scientifica, di fronte alla quale non occorre ritrarsi, ma alla quale, al contrario, occorre dare un contributo, perché «anche i religiosi devono occuparsi di ciò che può esser utile alla società» (SV, FS-Mon, 170). Tale opinione fu condivisa dai numerosi credenti e sacerdoti, non solo gesuiti, che nell'Ottocento si impegnarono con successo in varie discipline scientifiche.
L'amarezza provocata a Secchi da alcuni attacchi provenienti da certuni ecclesiastici fu notevole; egli infatti veniva cosí a trovarsi tra due fuochi, da una parte l'anticlericalismo laico e dall'altra un certo intransigentismo religioso: «Mentre alcuni vedono l'incredulità e l'ateismo nei miei scritti, altri vi vede invece un'esaltata teologia che falsifica la fisica per appoggiare la bibbia [...]. Chi si lamenta di non trovarvi le scoperte che aspettava, chi non vi trova la fisica di s. Tommaso. A questi dirò solo che la fisica dopo s. Tommaso ha camminato un poco, e che se s. Tommaso fosse stato a' tempi nostri, non avrebbe adottato la fisica che adottò ma avrebbe preso quella adesso in uso nelle scuole ai tempi nostri, come allora prese quella in uso a tempo suo. [...] Coi suoi progressi però la scienza non è arrivata a fare a meno di Dio, né quelli che speravano che la scienza vi arrivi avranno mai, né essi né i loro successori, questo» (SV, FS-Mon= Specola Vaticana, Fondo Secchi, ex Moncalieri). La storia di Secchi è la storia di uno scienziato integerrimo e di un uomo di Dio altrettanto incorruttibile che, proprio per questo, avrebbe finito per scontentare sia i teorici di un sapere scientifico senza Dio sia i fautori di una fede incapace di riconoscere nella scienza un grande «dono di Dio» (APUG=Archivio della Pontificia Università Gregoriana, Fondo Secchi, p. 17).
Un dono, affermava perentoriamente Secchi, che va invocato quale preziosissimo dono dello Spirito Santo, al fine di comprendere l'opera creatrice di Dio e glorificarne la grandezza: «È dunque dono di Dio anche l'intelligenza nelle scienze ed uno dei doni del Santo Spirito. Allora, pertanto con coraggio, e dirò quasi con un certo diritto, potremo chiedere questo dono a Dio quando nei nostri studi noi ci proporremo lo scopo che si deve prefiggere ogni cristiano. Cioè non la vanità di superare gli emoli, non la boria o la superbia dopo averli superati ma solo col chiedere il lume dell'intelletto a comprendere le opere del Signore, a conoscere le sue grandezze e i nostri doveri» (ivi, p. 13).