Verso una Chiesa "liquida"*

Scritto da Arnaud Join-Lambert.

I cambiamenti nel rapporto Chiesa/ società rimettono in questione il modello tradizionale della parrocchia. Si assiste a tentativi di rinnovare la parrocchia. L’ipotesi è quella di applicare alle comunità cristiane la qualifica di “liquide”, presa in prestito dal sociologo Zygmunt Bauman. Questo permetterebbe di ritessere i legami fra le comunità cristiane e l’insieme della società.

Negli ultimi 50 anni, la fine della cristianità è stata annunciata e poi constatata da molti autori. La caratteristica di questa fine è la radicalità e l’irreversibilità del cambiamento nel rapporto fra Chiesa e società. I paesi più fortemente (in termini quantitativi) e profondamente (in termini qualitativi) evangelizzati assistono ormai a un riflusso e a una progressiva marginalizzazione delle Chiese, dei cristiani stessi e dei valori che rappresentano. La parrocchia era la struttura di base della cristianità fin dall’undicesimo secolo ed è quindi la parrocchia, oggi, a dover affrontare questo sconvolgimento. Alphonse Borras ha proposto, fin dal 1998, il termine “ristrutturazione” per caratterizzare questi cambiamenti (1). Con questo termine egli vuole indicare la progressività delle modifiche strutturali locali della Chiesa cattolica. Le più recenti ricerche sulle parrocchie dimostrano l’inizio di una nuova fase, decisamente più radicale.(2)

La sfida per la Chiesa allora consiste nel diventare una minoranza che resti cattolica (cioè aperta all’universale) e non chiusa su se stessa, una condizione di minoranza assunta e non subita. I vecchi modelli sono al limite, specialmente in termini di esaurimento di agenti pastorali (3). È comparso il vocabolario relativo a termini come “sagrato” o “soglia” per indicare questo slancio al di là delle mura parrocchiali. Ma resta comunque difficile “inventare le parrocchie di domani” (4). In questo contesto risuonano con forza le parole di papa Francesco:

Dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato risultati sufficienti a far sì che esse siano più vicine alla gente, che siano luoghi che vivono di comunione e di partecipazione e si orientano totalmente alla missione.(5)

Per questa riflessione sul futuro, proponiamo l’aggettivo “liquido”, preso a prestito dalla nozione di liquidità applicata alla società da Zygmunt Bauman nel 2000 e, poi, alla Chiesa, da Pete Ward, nel 2002 (6).

“Incubatori”, “start-ups” e Citykirchen: alcune recenti iniziative

La comparsa in questo scorcio di inizio secolo di rinnovate modalità di presenza della Chiesa in luoghi non parrocchiali è molto significativa. Sono realtà di Chiesa che presentano spesso una evidente fecondità e un reale dinamismo. Ci collochiamo al seguito di due opere recenti che hanno la caratteristica di rivolgere lo sguardo a ciò che cresce, lasciando da parte le disfunzioni e ciò che è moribondo.(7)

Per analogia, accosteremo questi vari progetti agli “incubatori” e agli “start-up”. Apparsi nella ricerca scientifica in collegamento diretto con l’industria o i servizi, gli incubatori sono concentrazioni di persone altamente qualificate ed impegnate nello sviluppo di progetti innovatori. Applicando il concetto al cattolicesimo attuale, gli incubatori sono progetti di una certa ampiezza, caratterizzati dall’innovazione, portati avanti da istituzioni ecclesiali, diocesi o congregazioni religiose, proprie dell’ambiente urbano. Favoriscono il cammino spirituale individuale, ma soprattutto l’incontro di persone intorno a tematiche comuni. Questi incontri generano a loro volta progetti, associazioni temporanee o durature fra cristiani o con non-cristiani “di buona volontà”.

In Francia, abbiamo l’esempio di tre grandi progetti: Notre-Dame-di-Pentecoste sul sagrato della Defense, Saint Joseph a Grenoble per la pastorale dei giovani, e il centro di accoglienza Marta-e-Maria, nel nuovo quartiere Humanicité a Lomme (Lille). Un nome abbastanza ricorrente ed adeguato per queste realtà è “casa Chiesa”. Ricordiamo anche la cappella della Resurrezione a Bruxelles, vicina alle istituzioni europee, “spazio” ecumenico molto attivo che genera svariati progetti.

A un altro livello, si osserva la comparsa di progetti cristiani di tipo start-up, a immagine di quelle imprese di servizi o di tecnologia, nate con pochi mezzi e portate avanti da poche persone, motivate dalla ricerca di innovazioni. Questi spazi, condotti da cristiani, possono essere uniti a un’attività economica, per esempio caffè o alberghi in cui prevale la dimensione dell’ospitalità.(8) L’analogia fra la Chiesa e una  ‘casa degli ospiti’ aiuta a rendersi conto che, senza questi ultimi, nulla è possibile. Partendo dalla nozione di ospitalità, queste iniziative si inscrivono in una spiritualità cristiana, in riferimento, per esempio, al vangelo della Visitazione. La creatività si dispiega a volte in maniera sorprendente, come nel caso della Church on the corner, riadattamento di un vecchio bistrot a Islington (Londra). Altri progetti sono di tipo associativo: biblioteche, tappe sul cammino di Santiago, ecc.

Il mondo germanofono è più avanti in questo campo. Lì si parla di Citykirchen. La caratteristica di questi progetti è di andare verso le ‘periferie’ esistenziali. Questi progetti, cattolici o protestanti, sono  particolari della nuova realtà socio-geografica della City, caratterizzata da una concentrazione di servizi e di commerci e da un riflusso dell’habitat familiare. In questo contesto di intensa frequentazione puntuale, compaiono luoghi aperti a tutti, descritti come “oasi di silenzio”, “luoghi di maturazione della fede”, “luoghi di pausa”.  Queste Citykirchen possono essere sia chiese (non parrocchiali o ex-parrocchiali) arredate in modo particolare, secondo le finalità del progetto, o con  spazi propri, sia costruzioni adatte al progetto. Le chiese storiche e mete del turismo sono, a volte, adatte a tale progetti. Una molteplicità di nomi manifesta una reale diversità, per esempio: Kulturkirche, Jugendkirche, Angebotskirche, Diakoniekirche.(9) Generalmente non sono parrocchie (luoghi dove una comunità di fedeli più o meno stabile vive il “tutto per tutti” parrocchiale), né  luoghi per l’assemblea domenicale. L’ambiente sociale circostante è spesso costituito da single ‘mobili’ e persone anziane’ immobili’, migranti e  individui precari. Questo fatto spinge a una “specializzazione” dell’offerta spirituale.

Quando gli agenti pastorali non sono più impegnati “per tutto” e “per tutti”, come nelle parrocchie tradizionali (soprattutto per i funerali, per i sacramenti e la catechesi), hanno più tempo e  energie libere per cose più creative, puntuali e legate a particolari eventi. Queste Citykirchen propongono anche mostre o concerti, come pure attività sociali (sostegno ai migranti, alle persone precarie ecc.) ed educative (formazione, conferenze, scambi ecc.). Internet e le reti sociali ne sono i principali strumenti di promozione e di comunicazione. Questa presenza aperta nella città, (come si definisce la Liebfrauenkirche a Francoforte) richiede dei mezzi: apertura non-stop, persone qualificate o volontarie per l’accoglienza e l’accompagnamento. Ciò implica un forte sostegno da parte dell’istituzione o l’impegno di congregazioni religiose. Inoltre è necessaria una certa flessibilità per creare progetti adatti al contesto e apertura mentale per fare emergere le innovazioni.

Sia per gli “incubatori” che per gli “start-up”, l’impegno principale sembra essere quello di provocare l’incontro e seguirlo nel suo svolgersi. Il contatto diretto e fisico con chi è lontano dalle parrocchie è l’obiettivo comune di queste iniziative. I luoghi sono quelli in cui passa il maggior numero di persone. Che siano o no impegnate direttamente in questi progetti, è chiaro che oggi le Chiese sono messe di fronte alla sfida della missione “per tutti”, missione che le parrocchie effettivamente non svolgono più.

Si tratterebbe di moltiplicare luoghi come  questi che,  senza  pretesa di coprire tutte le necessità, offrirebbero incontri intorno a una dimensione esistenziale, un’ospitalità, una convivialità o un sostegno. Se è relativamente facile mettere a disposizione “edifici di riferimento”, spesso emblematici nei centri urbani, è costoso per molti aspetti investirvi, sia per riadattarli materialmente che per mettere a disposizione personale volontario e qualificato per quel tipo di missione. Appellarsi ai laici e incoraggiarli ad agire nei loro ambiti di competenza,  secondo i loro desideri e preferenze, permette di sviluppare questa nuova presenza nella società. Ciò che già esiste prova la fondatezza di simili impegni. La Chiesa deve proiettarsi in un modo diverso di svolgere la sua missione che chiameremo “parrocchia liquida”, figura concreta di una Chiesa diventata liquida.


Dalla società liquida alla Chiesa liquida

A partire dalla riflessione di Zygmunt Bauman sulla società liquida, la nozione di liquidità è stata applicata in numerosi campi. Una società liquida è caratterizzata dal primato delle relazioni, della comunicazione, della logica di rete, a differenza di una società solida che privilegia le istituzioni e la stabilità socio-geografica. Nel nostro caso, sono interessanti le riflessioni di alcuni teologi anglosassoni, fra i quali Pete Ward. Applicata alla Chiesa, la liquidità vuol significare numerosi  specifici  cambiamenti, fra i quali una vita cristiana basata sull’attività spirituale e non sulle strutture, un decentramento delle funzioni domenicali, una parte sempre maggiore di persone che cominciano e ricominciano, rispetto ai fedeli di sempre, e il passaggio limitato nel tempo in seno a una precisa chiesa.

Il problema non sono quelli che vengono ancora nelle parrocchie solide, ma tutti quelli che non ci vengono! Ora, quelle parrocchie misurano il loro successo dal numero di “praticanti”, anche quando affermano di preoccuparsi per tutti. Rispondendo solo ai bisogni religiosi di alcuni, esse ignorano o trascurano de facto la sete spirituale della maggioranza.(10)  Le ristrutturazioni attuali delle parrocchie arrivano solo a poche nuove persone , rinnovando tuttavia a volte l’impegno di quelli e di quelle che ancora vengono. (11)  Secondo Ward, quando la Chiesa comincia ad assomigliare a un club, è urgente riformarla. Questa Chiesa-club risponde alla domanda terribilmente reale posta da Ward: perché così poca gente vede la Chiesa come un luogo dove trovare ciò che cerca? Le parrocchie solide sarebbero di fatto incapaci di soddisfare il desiderio di autentiche espressioni spirituali che si manifesta fuori di loro, lasciando il compito a comunità religiose, vecchie o nuove, che risultano schiacciate dall’enormità della sfida.

A partire da questa costatazione, comunemente condivisa, osserviamo una divergenza riguardo la funzione o la permanenza delle attuali parrocchie solide. La metafora della liquidità si può declinare in tre figure. Ward non si occupa più della solid church e prende in considerazione una totale liquidità nella quale il cristianesimo si disperderà per dare senso alla vita degli uomini di oggi (come il sale si scioglie nell’acqua). È una specie di uscita da sé, per un destino comune, che può dare il gusto di Cristo.

Nel suo libro Aquachurch (12), Leonard Sweet sviluppa la figura della Chiesa come “barca”. Essa conserva una parte di solidità in un mondo diventato fluido, ma non ha più ancoraggi sociali o culturali. Sweet insiste sul cambiamento di contesto più che sui cambiamenti da fare nella Chiesa. La Chiesa diventa, in questo caso, una specie di nuova arca di Noè.

Per rispettare la complessità del rapporto solido/liquido, noi proporremo qui piuttosto l’immagine del precipitato chimico. La mescolanza di due liquidi adatti provoca un precipitato dagli effetti solidi, visibili e duraturi (anche se a volte instabili). Nella post-modernità, i due componenti, società e Chiesa, sono liquidi. Per il secondo, si tratta di adattarsi e diversificarsi affinché l’incontro con il primo susciti una reazione, un precipitato solido (anche se instabile) e visibile, in diversi ambienti e culture. Una Chiesa che andasse verso le periferie, con uno stile appropriato, potrebbe veder nascere un senso e una speranza là dove non ci sono.

Una Chiesa “per tutti”

Il problema dell’auto-comprensione della Chiesa nel mondo attuale è cruciale per determinare le modalità della sua missione. Ci riferiamo in questo caso a Michel de Certeau quando delinea la figura dello straniero per descrivere il rapporto  della Chiesa con la società emergente. In quanto è, essa stessa, una società – la solid church secondo Ward -  “la Chiesa si costituisce differenziandosi: […] prevede un “al di fuori” perché possa esistere un “fra di noi”, delle frontiere perché si delinei un paese all’interno, degli “altri” perché prenda corpo un “noi” (13)”. Quindi, per de Certeau, già nel 1945, il rischio per la Chiesa era l’intolleranza e la chiusura in tutti i campi. Settanta anni dopo, la situazione accentua l’urgenza della sfida di quelle frontiere. Le parrocchie solide sono de facto riservate solo ad alcuni , anche se ciò è contrario alla loro ragion d’essere (in principio esse mirano ad essere “per tutti”). La soluzione, o conversione, proposta da de Certeau era di far posto a Dio come allo straniero, ad immagine dello straniero sulla via di Emmaus (Lc 24). Questo porta a una subordinazione e a una spoliazione come fattori essenziali per pensare l’essere umano. Allora, ogni incontro è pasquale nella fede, perché implica un’uscita da sé, a volta simile a una morte per un cambiamento generatore di un ‘di più’ di vita.

La figura dello straniero si sviluppa anche come caratteristica del cristiano in questo mondo. Nella Lettera a Diogneto (II sec.), il cristiano è chiamato paroikos (etimologia di parrocchia), cioè lo straniero che soggiorna nella città con dei diritti, ma senza essere cittadino. Il cristiano vi è descritto come uguale a ogni altro abitante, con un diverso attaccamento alle “realtà del cielo”, ma senza privilegi, disperso nel mondo come l’anima nel corpo. Diciotto secoli dopo, l’appartenenza dei cristiani a una Chiesa liquida non li colloca al di fuori  della società liquida, ma li invita a darle  senso, senza delimitazione.

La parrocchia in quanto tale non può sparire, se no i cattolici dovrebbero rinunciare a quello che ritengono il cuore della loro missione, così come la concepiscono da sempre: annunciare una buona novella per tutti, in tutte le nazioni. Ma la parrocchia non va ridotta alla figura storica degli ultimi secoli, comprese le sue forme attuali. “Essa possiede una grande plasticità, può prendere forme molto diverse che richiedono docilità e creatività missionaria da parte del pastore e della comunità (14).”

Per questa ragione la parola “parrocchia” può essere conservata, ma con l’aggiunto di un qualificativo, solida o liquida, per indicare sia la struttura ereditata dall’undicesimo secolo, sia una nuova realtà di cui la precedente non sarebbe che una parte.

 

Una Chiesa in rete

Non è qualcosa di inedito applicare alla Chiesa la nozione di rete. Si tratta di un rovesciamento nell’addossarsi in modo nuovo la vecchia missione della parrocchia solida e nel far proprie in modo diverso le componenti del “tutto” e “in un solo luogo”. Le parrocchie solide non sarebbero più che una componente delle parrocchie liquide. Considerata la vita ecclesiale attuale, si potrebbe progettare una strutturazione di queste parrocchie liquide (reti) secondo tre dimensioni.

In primo luogo, l’accompagnamento nel corso di tutta la vita, la vicinanza, le radici sarebbero la caratteristica del luogo stabile per fasi, punti di riferimento sul lungo periodo nel corso di esistenze dinamiche. Sarebbe anche il luogo dell’eucarestia regolare. Questo resterà di competenza delle vecchie parrocchie solide che dovranno quindi rinunciare alla vana illusione di voler coprire ogni esigenza. Un po’ dovunque in Europa, esse conoscono già delle novità missionarie che lentamente le modificano (gruppi di preghiera, Percorsi Alfa, gruppi biblici ecc.). Si constata vivendole che queste iniziative rinnovano i fedeli all’interno, rendono maggiormente assidui qualcuno dell’esterno,  ma fanno fatica ad andare oltre. Fra i semplici tentativi, all’interno delle attuali parrocchie, è positiva la moltiplicazione delle “domeniche diverse” (15). Ovviamente ciò contribuisce a costruire una nuova vita di Chiesa per coloro la cui presenza è abituale e per qualcun altro intorno: va dunque incoraggiato.

La seconda dimensione è quella dell’evento, dello sviluppo dei carismi, della creatività. Gli studi empirici sulle parrocchie solide attuali mostrano la loro incapacità – con poche eccezioni – di suscitare quello slancio verso le periferie esistenziali, che è al cuore della cultura contemporanea. Arrivano solo al sagrato, alla soglia. Più ‘in là’, in luoghi reali e virtuali, si vive e si sviluppa l’incontro, in particolare con “l’altro” che le parrocchie solide non arrivano ad intercettare. L’esperienza del dialogo in questo caso è centrale, esperienza che cambia ogni interlocutore, che a volte sconvolge e apre su l’ “Altro”. Essenziale in queste iniziative è la circolazione della parola che, per il cristiano, non è mai molto lontana dalla Parola. La caratteristica di questa dimensione è la creatività e il moltiplicarsi delle iniziative: cose che i cristiani fanno derivare da un ascolto attivo dello Spirito Santo. Nelle grandi città questo slancio è fondamentale; è qui che avrà più risonanza l’eco dell’esortazione di papa Francesco: “La pastorale in termini di missione esige l’abbandono del comodo criterio pastorale “si è  fatto sempre così”.”

La terza dimensione, raramente trattata dagli autori attuali e poco considerata nei progetti pastorali, è quella della ‘mistica’. Questa dimensione è necessaria per diminuire il rischio di una polarizzazione sterile fra le due prime dimensioni, da una parte, e per fare spazio, dall’altra, a una più intensa vita spirituale, sia nell’esperienza  particolare, che nell’approfondimento progressivo. In case di preghiera e di salutare solitudine, storicamente, della dimensione mistica si fanno carico i religiosi e le religiose che sostengono spesso la parrocchia  fin dalle sue origini. Anche in questo caso, bisogna stimolare la creatività per rinnovare le modalità di presenza nel mondo di una vita consacrata, in collegamento con le altre dimensioni. Per esempio, potrebbe essere rivista la nozione di “clausura monastica”.

Bauman insiste  sull’effetto negativo della post-modernità: una crescente insicurezza  e un crescente isolamento dell’individuo. Secondo lui è problematica la possibilità stessa di fare comunità; un tale desiderio sarebbe ormai utopico (17). I cristiani sono dunque di fronte alla sfida impegnativa di continuare a proporre diverse modalità per rispettare la formula “per tutti”. Annunciare il Vangelo riguarda, ora più che mai, il prendersi cura della piccola comunità, della famiglia ooikos cristiana, per riprendere un termine rivalorizzato da Don Pigi (“inventore” delle Cellule parrocchiali di Evangelizzazionenella loro variante cattolica).

Questa centralità delle relazioni umane nell’azione evangelizzatrice permette di alimentare comunità, permanenti o passeggere, che possono dare un senso alla vita delle persone. L’espressione “famiglia di Dio”, così presente per delineare l’orizzonte delle comunità cattoliche in Africa, non dice niente di diverso. La centralità della relazione è una vera occasione per il cristianesimo, perché fa parte proprio della sua natura (certo senza pretese di monopolio) prendere sul serio e accompagnare concretamente l’essere umano come “essere in relazione”.

La sfida delle parrocchie liquide consiste nell’alimentare e mantenere la comunione fra le comunità, nelle varie dimensioni qui abbozzate. In gioco è molto più di una semplice articolazione; qui parliamo di comunione. Di conseguenza, la cosa influenza il modo di trattare la questione connessa, e complessa, della leadership e delle responsabilità.

Cinque figure di autorità

Al “tutto, per tutti, in un unico luogo” della parrocchia solida, la parrocchia liquida aggiunge un “per mezzo di tutti”, che vorrebbe essere un appello a tutti i battezzati, con la possibilità per ciascuno di sviluppare ciò di cui è capace per l’annuncio del Vangelo. La parrocchia liquida di domani sarà la concreta realizzazione di molte affermazioni del concilio Vaticano II. Si tratta infatti di valorizzare effettivamente  i carismi e le vocazioni, espressi nei desideri, e riscoperti nella Chiesa, una vera realizzazione del “sacerdozio comune” di cui tanto si parla da cinquant’anni. Ma questo “per mezzo di tutti”, non potrà dispiegarsi se non intorno a persone con autorità che siano al suo servizio. Realisticamente, stiamo pensando all’intensificazione dei consigli e dei gruppi attuali, nelle tre dimensioni della parrocchia liquida, con  leader ben individuati.

Per non sprofondare in una sterile utopia, dobbiamo tener ben presenti gli elementi reali. La dimensione del quotidiano e della vicinanza (l’attuale parrocchia solida) sarebbe affidata alla figura del parroco; la dimensione dell’uscita verso le periferie a quella del cappellano  (una figura diaconale?); la dimensione della vita spirituale e mistica a quella del monaco/monaca o direttore/direttrice spirituale (l’ “esperto” spirituale come un genere di leadership). Verrebbe conservato così nella Chiesa cattolica un trittico familiare, ma articolato senza gerarchie, né priorità. La sfida preminente riguarda la ri-configurazione del ministero parrocchiale, pensato fino ad ora per  occuparsi di tutto.

Una quarta figura è relativa alla comunione. Se il vescovo ha, ed avrà sempre, il ministero della comunione nella Chiesa locale e con la Chiesa universale, come ri-pensare questo ministero a livello delle parrocchie liquide? Non sarà quello di un vescovo, a meno di non suddividere le diocesi per dieci o per venti. Questo nuovo e specifico ministero ha bisogno delle competenze riconosciute per gestire una realtà complessa. Potrebbe essere il caso di un “coordinatore di professione”, senza decidere qui se dovrà essere ordinato o no.

Vediamo bene come  le riforme “parrocchiali” non possono correre il rischio di arenarsi per riflettere sulle riforme diocesane. Il realismo spinge a considerare l’attuale livello del decanato come quello dello sviluppo della parrocchia liquida. Il coordinatore (decano/a) assume allora un ministero aggiunto al ministero pastorale del vescovo, con il compito primario di vegliare sul buon andamento delle tre dimensioni. In questo schema, la presidenza eucaristica è innanzitutto quella del vescovo della Chiesa locale, ma anche quella del sacerdote-parroco:non è possibile concepire la prima dimensione del trittico se non strutturata intorno all’assemblea eucaristica. Le modalità di accesso al ministero presbiterale e il suo esercizio vanno considerati come un grande cantiere aperto, causa il crollo del numero dei sacerdoti-parroci.

Nelle parrocchie liquide ci dovrebbe essere spazio per una quinta figura, quella del teologo. Infatti, se nessuno si preoccupa di mettere in prospettiva, di esplorare le teorie della scienza prospettica, del discorso razionale in dialogo con le scienze, le parrocchie liquide non potranno svilupparsi adeguatamente nelle culture post-moderne.

“Prendi il largo“ (Lc 5,4)

Ghislain Lafont, nel 2011, sottolineava l’illusione che “le riforme di struttura fossero sufficienti a rinnovare la faccia della Chiesa e ad assicurare l’evangelizzazione”.  Certo, ma bisognerà pure andare avanti perché la Chiesa non diventi un museo o il rifugio di qualche individuo motivato o abitudinario. Il tempo della pastorale che dava la priorità al parroco e al suo gregge su di un piccolo territorio ben delimitato, è definitivamente finito. È l’ora della polivalenza, dei cambiamenti di orientamento, delle trasformazioni rapide.

Il merito di una riflessione sulla liquidità sta nel proporre alcune ipotesi affinché il Vangelo possa continuare ad essere annunciato a tutti, fin nelle più piccole pieghe della società occidentale, secondo le modalità di socializzare e di esprimersi culturalmente del nostro tempo. Ci rendiamo anche conto che le nostre proposte sono meno adatte al cattolicesimo in ambiente contadino. Ma dovunque, per richiamare la lontana Lettera a Diogneto, i cristiani sono pienamente nel mondo e sono soggetti alle stesse leggi antropologiche. Cominciare dei progetti è essenziale per la loro missione, ma non ha senso se non tenendo presenti le “leggi straordinarie e veramente paradossali della loro repubblica spirituale”.

 

* Pubblicato in Koinonìa, aprile 2015

 

Note

(1) Autore di una ventina di articoli sull’argomento, tra cui “La parrocchia e oltre....” ETUDES, giugno 2005, pag.783.793

(2) A.Join-Lambert, “Evoluzione e futuro delle parrocchie e delle Chiese. Compendio delle ricerche e delle riflessioni recenti”. Ephemerides Theologicae Lovanienses, 90 (2014), pag. 127-151

(3) Vedi “Burn-out. Esaurimento degli agenti pastorali”, Lumen vitae, 68/3 (2013)

(4) Tema del sinodo provinciale delle diocesi di Lille, Arras e Cambrai /2013-2015)

(5) Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), n.28

(6) Z.Bauman, Liquid society, Cambridge, Polity Press, 2000; P.Ward, Liquid Church, Eugene O.R. Wipf & Stock, 2013 (1° ed. 2002).

(7) P.Goudreault, Chemins d’espérance pour l’avenir de l’Église, Lumen vitae/Novalis, 2010; C.Henneke, Glänzende Aussichten: Wie Kirche über sich hinauswächst, Münster, Aschendorff, 2011

(8) Vedi Kirche als Gasthaus. Rivista Diakonia 44/1 (2013).

(9) www.citykirchenprojekte.de, rete che raggruppa 62 progetti, con un congresso ogni due anni.

(10) Vedi “la logica dello sportello”, secondo Laurent Villemin “Servizio pubblico di religione e Comunità. Due modelli di ecclesialità per la parrocchia”, La Maison-Dieu, 229(2002/1), pag.59-79; logica conosciuta nel mondo anglo-sassone comeparish-hop parish shop and hop.

(11) Come dimostra il recente studio condotto in Bretagna da L.Plouchart, in La parrocchia, comunità e territorio. Costituzione e ricomposizione del tessuto parrocchiale, dir. E.Merdrignac (e.a.). Presses Universitaires di Rennes, 2013, pag.19-63.

(12) L.Sweet, Aquachurch: Essential Leadership Arts for Piloting Your Church in Today’s Fluid Culture, Loveland Colo, 1999. Poco prima, l’autore sfruttava la stessa metafora della liquidità in Soultsunami: Sink or Swim in New Millennium Culture.

(13) M. de Certeau, “Lo Straniero o l’unione nella differenze”. Études, gennaio 1945, pag.402

(14) Évangelii gaudium n. 28

(15) Vedi H.Derroitte (e.a.). Les formes de cathéchèse communautaire. Fondaments, balises (limiti), évaluations. Lumen vitae, 2015 (di prossima pubblicazione)

(16) Évangelii gaudium, n.33

(17) Z.Bauman, op.cit. pag.37