Verità, giustizia e misericordia di Dio
Cosí come Dio partecipa affettivamente alle sofferenze e alle necessità fisiche e morali delle sue creature, che in quanto tali sono già costitutivamente insufficienti e imperfette, anche l’uomo, benché limitato e fallibile, è chiamato ad esser partecipe delle difficoltà e dei bisogni del proprio prossimo. Se Dio soccorre sempre e comunque chi avverte anche solo implicitamente di avere bisogno del suo aiuto, anche l’uomo, nell’ambito della sua specifica quotidianità, è tenuto a soccorrere il prossimo suo, ovvero colui o colei che si mostrino bisognosi di amore e di aiuto anche senza farne esplicita richiesta.
Dio si sente mosso gratuitamente a compassione verso la creatura in difficoltà ponendola in condizione di elevarsi verso di Lui e di tendere alla giustizia o alla legislazione divina e l’uomo, beneficiario della misericordia divina, dovrebbe sentirsi sollecitato in modo del tutto disinteressato a compatire il prossimo suo e a prendersene cura con tatto e intelligenza, sia pure nei limiti delle proprie possibilità.
Dio è amore, è ontologicamente misericordioso perché dotato di perfetta capacità di discernimento e di giudizio. Se Egli non fosse in grado di stabilire cosa esattamente è bene e male, giusto o ingiusto, la sua misericordia non potrebbe sussistere, perché il sentirsi vicini a chi è ferito, debole e bisognoso di cure, presuppone necessariamente che lo si ritenga un bene, presuppone che si giudichi giusto stare accanto a chi soffre e anela ad uno stato di benessere. Dunque, sarà anche vero, come dice papa Francesco, che la giustizia di Dio è la sua misericordia, nel senso che la prima implica la seconda, ma è altrettanto certo che la giustizia divina non è riducibile a misericordia, non si esaurisce in essa, perché questo significherebbe che Dio sia esclusivamente misericordioso, senza nessun riguardo per le sue altre proprietà che sono, come viene ripetutamente sottolineato nelle Sacre Scritture, la verità e per l’appunto la giustizia. Anche Gesù dice chiaramente di essere “via, verità e vita”.
Il criterio fondante della misericordia divina è l’essere verità di Dio stesso: Dio si rivela in primo luogo come verità e ci rivela la sua verità e, per mezzo di essa, ci insegna non solo a distinguere tra bene e male, tra amore vero e amore falso, ma anche a comprendere come la misericordia debba coniugarsi correttamente con ciò che è secondo verità e, di conseguenza, secondo giustizia. In tal senso, non è affatto vero che Dio sia misericordioso anche verso quell’uomo che, facendosi burla della misericordia divina o essendo ad essa intimamente indifferente si senta del tutto autosufficiente o comunque non si ponga il problema di come realmente convertirsi a Cristo: Gesù, al riguardo, è molto chiaro e preciso e non lascia margini di sorta a sempre possibili utilizzazioni ipocrite o strumentali della sua Parola. La verità di Dio, le sue leggi e i suoi insegnamenti, fanno da argine a ogni possibile forma degenerativa della misericordia divina e della stessa giustizia divina, a un concetto indiscriminato di misericordia, secondo il quale persino Satana potrebbe essere oggetto della misericordia di Dio, o viceversa ad interpretazioni riduttive e restrittive di quella giustizia di Dio che, per quanto irriducibile al suo pur illimitato amore misericordioso per le difficoltà e le debolezze o le miserie degli uomini, ad esso attinge incessantemente.
Sia la misericordia, sia la giustizia di Dio, derivano dalla sua verità, dal suo essere Logos ovvero Ragione divina che agisce come principio ordinatore dell'universo e della stessa vita umana, e a cui quindi tutte le cose e gli esseri creati devono conformarsi. Poiché questa Ragione è una Ragione incarnata, tutti i precetti e i valori che da essa emanano sono ben comprensivi delle reali necessità materiali e spirituali del genere umano e a tali necessità sono perfettamente finalizzati. E’ dunque agevole comprendere che la misericordia di Dio è innanzitutto per coloro che non mettono in discussione la sua Creazione, che non fraintendono la sua parola, che non contestano i suoi insegnamenti, che non reclamano alcuna autosufficienza; poi è anche per coloro che, pur peccando gravemente, si pentono con cuore sincero dei propri trascorsi sforzandosi con tutte le forze di conformare la propria esistenza alla sua volontà; e infine per coloro che, pur avendone ignorato in buona fede la dottrina, abbiano cercato di operare il bene aderendo a criteri universali di giustizia e aprendo il proprio cuore ad una dimensione trascendente di vita. La misericordia di Dio, invece, pur nella sua assoluta imprevedibilità, non è per coloro che lo usano per fini personali di dubbio valore morale e spirituale, per coloro che ne intendono la Parola alla luce e in funzione di false forme di umanitarismo e di istanze o preoccupazioni puramente mondane, e infine per coloro che riducono la fede ad un insieme di pratiche liturgiche e a forme molto tiepide di testimonianza religiosa.
Dio è infinitamente buono e giusto ad un tempo, anche se le modalità del rapporto tra il suo amore misericordioso e la sua perfetta giustizia non possono essere pienamente comprese dall’intelligenza umana, alla quale resta preclusa la possibilità di indagare nei recessi più remoti dell’anima umana. Ma è essenziale precisare che amore divino e giustizia divina non sono equivalenti, non sono sinonimi, benché tra essi sussista un rapporto simbiotico o di continua interdipendenza sia pure nei limiti della loro comune dipendenza dalla verità divina, in quanto, per dirla con Tommaso d’Aquino, “una misericordia senza giustizia è madre di dissolutezza”, di lassismo spirituale, di permissivismo morale e, alla fine, di iniquità, cosí come “la giustizia senza misericordia è crudeltà” . Di conseguenza, anche gli esseri umani potranno essere certi di agire e vivere evangelicamente solo se il loro comportamento rifletterà, in stretto rapporto con la verità divina (i comandamenti di Dio rettamente intesi), questa feconda compresenza di misericordia e giustizia.
Dio è sempre pronto a perdonare anche il più ingiusto degli uomini a condizione che riconosca sinceramente il suo peccato e si disponga a cambiare profondamente vita, perché è il rispetto di tale condizione, ovvero il rispetto della verità divina, che rende giusto quel che prima era ingiusto. Sarebbe assurdo che la misericordia divina non domandasse innanzitutto giustizia e beninteso una giustizia né rigida né formale e tanto meno ipocrita, una giustizia che è base necessaria di vita morale e sociale in cui deve regnare il Bene. E, anche per quanto riguarda gli uomini, chi vuole essere davvero misericordioso dev’essere innanzitutto giusto e deve avvertire in sé quella “fame e sete di giustizia” di cui Gesù parla nel discorso della montagna. Bellissimo e significativo è quel salmo 10 che cosí recita: “Giusto è il Signore, ama le cose giuste; gli uomini retti vedranno il suo volto”. I “puri di cuore” che vedranno Dio sono certo persone caritatevoli ma sono innanzitutto persone limpide, oneste, giuste, che chiamano sempre e comunque coraggiosamente le cose con il loro vero nome e che si comportano di conseguenza.
Il primo nome di Dio è la sua onnipotenza, il secondo nome di Dio è la verità, il terzo e quarto nome di Dio sono la misericordia e la giustizia. Quest’ultime sono contenute nella verità di Dio onnipotente e in essa trovano la loro unica giustificazione. E’ auspicabile che nel mondo cattolico, specialmente nell’anno della misericordia, non si ingeneri confusione e disorientamento nella coscienza dei semplici attraverso affermazioni o discorsi forse emotivamente coinvolgenti ma privi di effettivo riscontro biblico-evangelico. Quando si parla di misericordia divina, non si può omettere di ricordare o tener presente che sia il Dio veterotestamentario sia il Dio neotestamentario è un Dio che ama il diritto e la giustizia e che pertanto la sua misericordia, il suo perdono e il suo amore, non solo non ne prescindono ma ad essi si richiamano e si ispirano come alla fonte stessa del loro valore.
E’ noto come Gesù, mite e umile di cuore, sia venuto a salvare il mondo sotto le sembianze del “buon Pastore”, del “medico” e soprattutto della “Vittima” sacrificale, ma è altrettanto noto che proprio questo Gesù non esita a condannare vizi e perversioni, a sferzare i profanatori del tempio, a puntare il dito contro scribi e farisei ipocriti, a muovere aspri rimproveri ai suoi stessi seguaci, a disconoscere coloro che pretenderebbero di credere in lui in modo “tiepido”, ad escludere dal Regno quanti non lo abbiano amato o lo abbiano seguito superficialmente, a maledire nell’ultimo giudizio chi non abbia amato e non abbia soccorso il suo prossimo tutte le volte che ne abbia avuto la concreta opportunità.