Non capisco, Signore!
Non capisco, non capisco, Signore! Non capisco perché alcuni tuoi ministri, ogni volta che la liturgia del giorno prevede la lettura di un brano evangelico in cui tu pronunci parole dure e non molto gradite a questo secolo del “politicamente corretto”, facciano finta di non averle sentite e non ne tengano affatto conto nella loro omelia. A dire il vero, persino il papa, oggi 20 aprile 2016, sia pure nell’Udienza Generale del mercoledì e dopo aver “saltato” (almeno per il grande pubblico) la messa di Santa Marta, ha ritenuto di dover parlare della tua misericordia facendo riferimento non già alla pagina evangelica di Giovanni 12, 44-50, prevista appunto dall’odierna liturgia, ma ad un’altra pagina evangelica, indubbiamente molto bella e toccante anche se talvolta usata in senso sentimentalistico, qual è quella di Luca 7, 36-50.
Qualcuno potrà dire: è l’anno della misericordia ed è perciò comprensibile che il papa tenda ad insistere su questo tema nelle sue riflessioni pubbliche con l’ausilio di brani che più si prestino ad un suo approfondimento teologico-pastorale. Ma, a dire il vero, una spiegazione del genere, Signore, posto che sia anche quella del papa, non mi convincerebbe molto, soprattutto perché è come se si volesse sostenere che l’episodio evangelico scelto da Francesco (quello in cui Gesù, ospite di Simone il fariseo, elogia la peccatrice perdonandole i peccati) sia ben più rappresentativo del tuo amore misericordioso rispetto all’episodio evangelico giovanneo, in cui Tu, mio Signore, proprio in ragione della tua infinita misericordia ti premuri di avvertirci molto per tempo circa il fatto che «chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno» (Gv 12, 48).
Se non fossi venuto nel mondo come luce, come verità risplendente, noi uomini saremmo rimasti nelle tenebre, nell’errore, nel peccato e infine nella morte, contrabbandando forme ambigue e superficiali di affetto e di amicizia per amore puro e disinteressato. Perché mai chi rifiuta scientemente la tua verità misericordiosa, i comandi certo esigenti del tuo amore viscerale per noi, la tua divina giustizia, dovrebbe poi ugualmente beneficiare della tua misericordia? Tu aiuti anche chi non ti ama, ma se chi non ti ama si ostina testardamente a fare confusione tra tenebre e luce, per quale motivo alla fine dovresti elargirgli la tua misericordia che lo costringerebbe a vivere prima o poi come non avrà mai desiderato di vivere sulla terra? Tu, Signore, hai fatto capire chiaramente, durante la tua predicazione, che Dio si concede a chi lo cerca, a chi ha bisogno di lui, a chi vuole vivere con lui nella sua luce e nella sua pace, a chi non ne mette arbitrariamente in discussione questo o quel precetto tradendo lo spirito della sua opera salvifica, a chi non si preoccupa minimamente di allineare esegeticamente il suo Logos con le false e sciatte logiche di questo mondo.
Ma Francesco sembra attardarsi a pensare che la tua misericordia, in fin dei conti, prescinda dalla tua verità e dalla tua giustizia, quasi che queste ultime non fossero esse stesse intrise di un interesse paterno sommamente misericordioso per la vita delle creature. Francesco sembra preoccuparsi troppo del fatto che questo mondo potrebbe non comprendere la perentorietà e la severità di certi essenziali moniti divini , che pertanto egli tende a tradurre in concetti etici più allineati con la mentalità corrente e con un umanitarismo tutto terreno e spesso unilaterale.
Non capisco, Signore, perché la tua santa misericordia, stando a gran parte della predicazione pontificia, dovrebbe riversarsi molto più su immigrati e indigenti extracomunitari, omosessuali e prostitute, divorziati e risposati, atei e non credenti in Cristo, disabili e infermi, peccatori recidivi di ogni specie, che non su quell’esercito non meno imponente e spesso senza dimora di poveri e di disperati che risiedono nelle nostre città occidentali, su tanti eterosessuali frustrati e infelici, su tante donne virtuose ma sole e abbandonate, su tante persone sposate che non cedono alla tentazione di facili avventure per non tradire soprattutto il Signore, su tanti sacerdoti pedofili letteralmente e spesso ipocritamente cancellati dalla comunità ecclesiale di appartenenza, su tanti soggetti non necessariamente martiri in senso cruento ma faticosamente e umilmente impegnati nel testimoniare con parole e opere la verità cristiana e nel custodire la purezza della fede in Gesù, su peccatori consapevoli delle loro colpe e costantemente protesi ad ottenere il perdono salvifico di Dio.
La sensazione è, infatti, che il papa, pur parlando molto della sconfinata misericordia divina, finisca poi inavvertitamente per ridimensionarla tutte le volte che le sue aspre critiche di fariseismo assumono una direzione univoca contro talune comunità occidentali che non saprebbero capire, tollerare, accogliere, sfamare, amare, quasi che non vi fossero né stolti, né ipocriti, né malfattori, né corrotti e viziosi, nelle categorie predilette della sua comunicazione, ovvero immigrati, poveri o carcerati, peccatori incalliti e donne traviate, liberi pensatori e credenti non cristiani. Può darsi che in cuor suo il pontefice non sia affatto riduttivo e le sue prese di posizione, in realtà, siano più ecumeniche di quel che sembra; può darsi che, nella sua privata intimità, egli preghi per tutti indistintamente, ma questa è la fastidiosa sensazione che sembra talvolta veicolare, insieme a tante riflessioni davvero profonde e originali, il suo modo di comunicare e illustrare il vangelo di Cristo.
Anche quel suo sistematico e quasi ossessivo puntare il dito contro quegli ipotetici cristiani che si sentono ipocritamente giusti rischia, nella sua comunicazione, di essere percepito come fuorviante e persino demagogico ove non sia accompagnato, e non sempre lo è, dalla preoccupazione di chiarire che, tuttavia, bisogna sforzarsi di essere giusti e fare cose giuste, cosí come, pur senza pretendere di giudicare in modo assoluto e definitivo gli altri, bisogna sforzarsi di esercitare correttamente la propria capacità di discernimento, di valutazione e di giudizio, perché questo e non altro è il senso più profondo dei moniti divini a non sostituirsi a Dio, e anche perché, in caso contrario, il primo a non poter ottenere l’ascolto di nessuno sarebbe proprio il pontefice della Chiesa cattolica.
Signore, mi riconosco limitato e quella parziale insufficienza di linearità apostolica che mi sembra di rinvenire nella complessiva attività dottrinaria e pastorale di Francesco potrebbe dipendere senz’altro dai miei limiti personali, ma Tu sai che non ho mai ritenuto corretta quella forma di fede in Cristo che scaturisca non già da un diligente e sereno lavoro spirituale di coordinamento tra i vari aspetti della Parola divina ma dall’abitudine di estrapolare dai sacri testi tutto quello che possa supportare tesi precostituite o modi soggettivi di accostarsi ad essi. Ed è in tal senso che, nel sentire i discorsi del papa, talvolta divento inquieto.
Egli, ad esempio, fa bene a ricordare soprattutto a noi cristiani la tua profonda avversione per l’ipocrisia e la superbia umane, ma poi accade che siano le interne articolazioni delle sue affermazioni a suscitare perplessità e riserve. Tu, mio Signore, ci hai certo insegnato a non presumere di essere superiori agli altri e di poter giudicare in modo tassativo e ultimativo la vita o il comportamento delle persone, ma, vangelo alla mano, mi sembra altrettanto evidente che questo non implichi affatto nelle tue intenzioni un volerci tappare la coscienza e la bocca, un volerci indurre ad una specie di mutismo spirituale e civile, un volerci invitare a farci i fatti nostri. Anzi, a nessuno tu hai mai concesso di disinteressarsi con parole e opere alla vita della propria comunità religiosa e sociale e, persino, al comportamento dei propri fratelli. Tu aborri gli indifferenti, “i tiepidi”. Senonché, non hai mancato di notare giustamente che solo se uno ha la costanza di lavorare ad estrarre o ad estirpare dal proprio occhio le sue “travi”, sarà poi nella condizione di aiutare gli altri a liberarsi dai propri vizi o dai propri errori. E’, senza dubbio, necessario guarire se stessi, non una volta ma sempre, prima di poter pensare a guarire gli altri.
Non è forse questo, Signore, che hai voluto dirci? Prima di giudicare, di rimproverare, di criticare (mai, però, di sparlare o calunniare), dobbiamo badare a noi stessi, alla nostra pulizia interiore, alla sincerità e all’onestà dei nostri giudizi; ma, per l’appunto, questo continuo ispezionare se stessi, lungi dall’essere semplicemente fine a se stesso, è anche funzionale al duplice dovere evangelico di prendere chiara e inequivoca posizione contro i molteplici e ricorrenti travisamenti mondani della verità di Cristo e di scuotere energicamente, se necessario, e sia pure in spirito di profonda umiltà, la coscienza del fratello e della sorella manifestamente inclini all’errore e al peccato. Ho capito bene, Signore? Correggimi, se sbaglio, ma, poiché sai che la mia domanda è una preghiera non retorica e non ipocrita d’aiuto, fà che il tuo Santo Spirito venga presto incontro a questo mio bisogno di chiarezza.
Peraltro, la malapianta dell’ipocrisia non la si vede crescere solo tra i cristiani, ma anche fra ebrei, musulmani, buddisti e atei, e forse, ogni tanto, il capo terreno della nostra Chiesa, potrebbe e dovrebbe ricordarlo e sottolinearlo. Inoltre, ci si muoverebbe certamente in linea con il mandato affidato da Gesù a tutti i suoi seguaci, se talvolta noi cristiano-cattolici rivolgessimo chiaro e forte, in termini assolutamente espliciti, a tutti i popoli e agli uomini della terra, senza preoccupazioni diplomatiche non necessariamente utili o fruttuose, l’invito a convertirsi a Cristo e ad accogliere il suo vangelo. Che, francamente, se la memoria non mi inganna, è quel che Francesco sinora non ha mai fatto.
Perdonami Signore, se lo spirito polemico rischia mio malgrado di prevalere su uno spirito di umiltà. Io non intendo negare che Francesco stia facendo anche cose molto buone e forse utili al futuro della tua Chiesa, e anzi ne sono personalmente ammirato, né condivido le accuse preconcette e sprezzanti che al suo pontificato vengono sistematicamente rivolte con intenti talvolta strumentali da settori ed esponenti cattolici, ma devo confessarti che non mi è sempre facile condividerne pensieri e atti.
Non tutti i farisei sono ipocriti come Simone: non bisogna dirlo, Signore? Ci sono farisei, i Nicodemo, i Giuseppe d’Arimatea, tanti altri rimasti anonimi che, con tutti i loro limiti, ti hanno sinceramente amato! Né tutte le prostitute, o per meglio dire non tutte le donne di facili costumi furono nel tuo tempo e sarebbero ancor oggi disposte a versare lacrime di vero pentimento al tuo cospetto e ad asciugarle con i propri capelli dopo averle versate sul tuo santo corpo! E’ forse sbagliato pensarlo? Ed è forse lecito presumere che chi viva lontano da te debba necessariamente esserti più vicino di quelli che si sforzano, pur tra errori e contraddizioni ricorrenti, di vivere vicino a te?
L’immagine del peccatore o della peccatrice animati da una fede sincera, pur suggestiva e ben presente nei vangeli, non è altrettanto realistica e significativa, sotto il profilo evangelico, di quella relativa a quei peccatori che resistono per tutta la vita alla tua grazia salvifica e rispondono picche alla tua chiamata? Non è anche per quest’ultimi che Tu, Signore, facendo chiaramente capire che la tua misericordia coesiste e si fonda mirabilmente e misteriosamente con la tua giustizia, hai annunciato pene terribili per l’eternità? Ecco, un’altra cosa che forse manca nelle omelie di Francesco: il riferimento ad un Dio cosí buono e misericordioso da offrire se stesso pur di strapparci alle pene terribili, anch’esse ben contemplate nell’annuncio evangelico, che aspettano inevitabilmente per l’eternità coloro che non sappiano utilizzare al meglio il suo sacrificio salvifico. Illuminami, illuminaci, Signore!